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Utøya 22 juli

Pubblicato il 20 febbraio 2018 da Matteo Galli

VOTO:

Utøya 22 juli

Se si decide di girare un film su un atto inaudito come la strage di Utøja che ebbe luogo il 22 luglio del 2011 e nel corso della quale persero la vita settantasette persone, dove ci furono centinaia di feriti e molte persone sopravvissute e per sempre traumatizzate, forse lo si può girare solamente nel modo in cui lo ha fatto il regista norvegese Erik Poppe nel film laconicamente intitolato Utøja 22. Juli, ossia provando a creare una forma altrettanto inaudita: dei novanta minuti di durata del film, ben settantuno sono in un unico piano sequenza, i settantuno minuti che corrispondono alla durata del secondo e più tremendo attacco compiuto dall’estremista di destra Anders Breivik all’isola di Utøja appunto, situata a una trentina di miglia da Oslo. I primi due minuti invece raccontano, ricorrendo, a materiale documentario ricavato da telecamere a circuito chiuso, l’attentato nel quartiere governativo di Oslo (otto dei settantasette morti), subito dopo ci si sposta sull’isola, da molti anni di proprietà del Partito Laburista Norvegese dove è stato installato un campeggio estivo, pochi minuti in cui facciamo conoscenza con un piccolo gruppo di personaggi, ma soprattutto con Kaja (interpretata dalla spettacolare Andrea Berntzen, che, a quanto pare, ha solo diciannove anni), dal cui punto di vista e per lo più dal cui punto di ascolto, dopo pochissimi minuti, ci vengono raccontate tutte le raccapriccianti vicende della strage, dal momento del primo colpo e delle primissime scene di panico, con i ragazzi che si nascondono in un bungalow, e sentiamo salvo brevi intervalli quelli materialmente necessari per ricaricare le munizioni, un numero spaventoso di colpi d’arma da fuoco, ora più lontani ora più vicini e da un certo punto in avanti si vedono anche ragazzi feriti, moribondi oppure morti, la macchina da presa segue costantemente Kaja ora insieme ad altri già conosciuti prima, ora insieme a giovani in fuga random come lei, ora da sola, segue tutti i tentativi di capire che cosa stia succedendo, un attentato? quanti sono gli attentatori? oppure sono semplici esercitazioni della polizia? o cos’altro ancora? con la ricerca spasmodica della sorella che al momento del primo colpo era ancora in tenda dove ha lasciato il cellulare, ma che ora non si trova più, fuga nel bosco, fuga dal bosco, tentativo di fuggire dall’isola a nuoto, a guado, circumnavigare l’isola, provare ad aiutare una moribonda, sostenere psicologicamente un ragazzino, parlare con la madre, piangere, gridare, tremare di freddo, di paura, di dolore, tutto con questi colpi che a raffiche si avvicinano si allontanano, Breivik ne sparò quasi 190 colpendo, come è stato ricostruito, ciascuna vittima in media un numero di volte appena inferiore a tre, in un caso addirittura otto volte, e poi ci fu un morto precipitato da una roccia e uno annegato, trentatré vennero feriti ma non morirono, fin quando alla fine dopo un tempo lunghissimo arriva una barca dove i sopravvissuti vengono caricati, alla fine le barche furono numerose e riuscirono a mettere in salvo centocinquanta ragazzi, poi Breivik venne catturato e nel 2012 condannato a ventuno anni, l’ergastolo in Norvegia non c’è, proviamo così, senza mai andare a capo e senza fare uso di punti fermi, a restituire timidamente la forma, la forza, la violenza del film: l’uso del piano sequenza, l’assenza di ellissi è in grado di far capire, come succede pochissime altre volte in un film, che alle ellissi continuamente ricorre, la potenza della dimensione temporale, quei settantuno minuti lo spettatore li sente tutti tutti in corpore vili e per sentirli era necessario che Poppe decidesse, pur coadiuvato, legittimato e autentificato da tre sopravvissuti, di non girare un documentario ma un film di “fiction”, poi qualcuno potrebbe dire che il cinema deve fare altro e che la tensione, o se vogliamo l’effetto autenticamente thriller comunicato dal film è sul piano etico insostenibile, secondo noi, invece, è giusto così e speriamo che qualche riconoscimento per tanto coraggio etico ed estetico il film, in concorso al festival di Berlino, lo ottenga.


CAST & CREDITS

(Utøja 22. Juli). Regia: Erik Poppe; sceneggiatura: Siv Rajendram Eliassen, Anna Bache-Wiig; fotografia: Martin Otterbeck; montaggio: Einar Egeland; sound design: Gisle Tveito; interpreti: Andrea Berntzen (Kaja), Alksander Holmen (Magnus); produzione: Paradox Film 7, Oslo; origine: Norvegia 2018; durata: 90’.


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