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Venezia 59 - Le boite magique

Pubblicato il 22 agosto 2002 da Alessandro Izzi


Venezia 59 - Le boite magique

Sorta di Nuovo Cinema Paradiso in versione tunisana, La Boite Magique paga tutti i suoi debiti ad un modello, quale è quello del film nel film, che, da Truffaut in poi, è diventato una sorta di nuovo luogo comune su cui vanno a rompersi le ossa innumerevoli filmakers (non ultimo lo sfortunatissimo e, sinceramente brutto Full Frontal di Soderbergh). Raccontare il Cinema e la sua magia può rivelarsi, infatti, una trappola letale se non si hanno alle spalle una buona dose di coraggio e un notevole talento. Facile, infatti, arenarsi sulla poesia d’accatto e sul facile patetismo che sembra essere una conseguenza inevitabile di chiunque voglia accostarsi al mondo del Cinema cercando di raccontare il proprio stupore bambino di fronte alle magie delle immagini in movimento. Altrettanto facile, poi, concentrarsi sul fenomeno del divismo con quella finta cattiveria, che altro non è che un ennesimo archetipo narrativo, che vuole essere denuncia e si riduce, molto spesso, a mera autocelebrazione. Per sua e per nostra fortuna, Ridha Behi riesce ad evitare quasi tutte le trappole dell’ovvio e del già detto con la storia (che funziona su molti livelli contemporaneamente) di un regista cui viene chiesto di realizzare un film in cui narrare della sua infanzia e di come sia nata la sua voglia di raccontare per immagini. Man mano che il personaggio rievoca i momenti salienti del proprio passato in una serie di ovvi, ma efficaci flash-back, è costretto, con dolore a confrontarsi con la sua situazione matrimoniale che aveva sempre immaginato felice e che, scopre, ora, alle soglie del collasso. Alla rievocazione nostalgica del passaggio non sempre indolore dall’infanzia al mondo adulto, il film accompagna una riflessione mesta sul rompersi delle illusioni, sul rendersi conto che quelle ombre che si agitavano sullo schermo in un tripudio di luci e colori, altro non erano che delle semplici immagini, del tutto incapaci di produrre un reale e duraturo effetto sulle tragedie della vita vera. Ed è un momento di autentica commozione quello in cui il bambino, dopo che il padre, verso cui pure nutriva quell’odio avverso tipico della sua fascia d’età, è stato arrestato dalla polizia, cerca aiuto dalla zio proiezionista perché interceda con Zorro, che è il suo eroe preferito, trovando al suo posto solo il costume vuoto ed informe sul duro pavimento della realtà quotidiana. Al rompersi tragico delle illusioni del mondo infantile, si accompagna, quindi, anche il non meno tragico dissolversi delle illusioni sulle quali si era costrutito il mondo adulto in un reciproco ripecchiarsi tra passato e presente risaputo, ma interessante. Ed è in questo suo dovere costantemente scendere a patti con la realtà, e non solo con quella esistenziale, ma anche, paradossalemente con quella politica e religiosa che costanetemente si affacciano nel racconto come ingombranti fardelli (il protagonista, cresciuto, diventerà un regista politicamente impegnato) che La boite magique si rivela superiore al film verso cui il regista si dichiara apertamente debitore: Nuovo Cinema Paradiso, appunto! Ma i modelli da cui l’autore attinge per comporre questo bel mosaico della storia di una vita si trovano in moltissimo altro cinema non solo italiano e non solo d’autore, su tutti: Otto e mezzo di Fellini con la sua storia di una crisi creativa e dell’ansia non tanto della pagina bianca, quanto, piuttosto, dell’inquadratura vuota. Certo, si può obiettare, alla visione del film che è tutto già visto e già descritto da molti altri, ma, altrettanto innegabilmente, non si può negare che l’opera non abbia momenti di ispirazione e le diverse scene oniriche che affollano il racconto hanno un discreto fascino figurativo che riscatta alcune ingenuità risapute. Si esce dal cinema non certo cambiati, ma, se non altro, con qualcosa in più su cui pensare.

(La Boite magique); regia: Ridha Behi

(agosto 2002)


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