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Venezia 72 - I sogni del lago salato - Venice days

Pubblicato il 12 settembre 2015 da Alessandro Izzi

VOTO:

Venezia 72 - I sogni del lago salato - Venice days

Un viaggio è al centro de I sogni del lago salato di Andrea Segre. Un viaggio che non è un semplice attraversamento dello spazio, ma che è anche un vero e proprio percorso nel tempo, un’incursione nella mente e tra i ricordi personali dell’autore e quelli collettivi di una nazione, come la nostra, dalla memoria sempre troppo corta. Un viaggio per certi aspetti forzato - almeno all’inizio - e non del tutto volontario, costretto, quasi, da dinamiche produttive che l’autore non sente del tutto proprie, ma che vanno comunque analizzate, comprese e fatte proprie.
Andare, infatti, sulle strade sterrate a metà tra Aktau e Astana in Kazakistan, filmare la realtà dei giacimenti petroliferi sorti a ridosso del Mar Caspio e sondare l’iper-modernità della neo capitale kazaka non dovevano essere esattamente delle priorità per il regista di Io sono Li e di La prima neve.
E il bisogno della ENI, su sollecitazione di RAI Cinema, di andare a raccontare il boom economico che sta sconvolgendo il popolo kazako non sembrava essere, per Segre, una sollecitazione abbastanza significativa al bisogno di dire.
Lo stimolo, probabilmente assente sulla carta, l’autore lo trova, quindi, a contatto con la Realtà che va filmando e il film che emerge, tassello dopo tassello, sogno dopo sogno, diventa, da un certo punto in poi, proprio lo stupore di scoprire, in una materia apparentemente distante, lo spazio per un discorso non solo importante, ma anche personale, intimo e quasi familiare.
I sogni del popolo kazako che sente odore di soldi e comincia a pensare in grande lasciando le casette immerse nella steppa e sognando lavoro in capitale, diventano per Segre lo spunto per disegnare un’immagine allo specchio nella quale riconoscerci senza smarrire il sentimento dell’altro.
Perché questa crescita apparentemente inarrestabile dell’economia kazaca, questo affollarsi di desideri di un futuro migliore, l’Italia l’ha conosciuto già negli anni ’60, come ha poi sperimentato il successivo infrangersi del sogno sugli scogli della crisi.
Con l’ausilio di una voce narrante necessaria a dare il senso dell’operazione di questo accostamento intellettuale di situazioni economiche e sociali così distanti eppure così vicine, Segre compone una complessa catena di raccordi di sguardi in cui passato e presente, ricordo e memoria collettiva si osservano a distanza stentando spesso a riconoscersi. E quando i livelli temporali non fissano lo sguardo l’uno nell’altro, sono i personaggi a guardare nella stessa direzione, fuori dell’inquadratura, oltre l’intervistatore, verso un sogno apparentemente così a portata di mano, ma ugualmente destinato al boato discreto delle bolle di sapone che implodono nel nulla di fatto.
La dinamica del montaggio alternato tra passato, presente e illusione di futuro (come somigliano le strade vuote di chi sogna oggi in Kazakistan a quelle abbandonate dagli italiani alla fine del sogno!) è spesso didattico e potenzialmente intellettuale, ma rivela la sua vocazione più profonda in un’insospettabile e bella attualizzazione del pensiero leopardiano sulle magnifiche sorti e progressive.
Così se l’aderenza tra il natio borgo di Segre che comincia a sognare ai tempi del boom e quello kazako di oggi rimanda alla compenetrazione tra politico e familiare del poeta recanatese, allo stesso modo, l’idea della cieca fiducia nel progresso delle persone più umili e sprovvedute rilancia in nero il cupo pessimismo leopardiano.
E l’immagine in finale, della capitale kazaka che somiglia a tutte le capitali del sogno (con evidenti affinità con l’impero così come lo filma Reggio nella trilogia Qatsi) è un monito profondo e bello con il cartonato pubblicitario dell’uomo arrivato che guarda negli occhi il sogno mentre ai suoi piedi lavora, stanco, uno spazzino.
Da questo punto di vista si fa grande, dopo questo Dialogo tra un venditore di almanacchi e un passegere, il finale con il suo pastore errante che ripete il suo lavoro, annoiato come la luna, e che, nel vuoto che lo circonda, ci ammonisce con la sua poesia discreta, ma non per questo meno potente.


CAST & CREDITS

(I sogni del lago salato); Regia: Andrea Segre; fotografia: Matteo Calore; montaggio: Chiara Russo; musica: Sergio Marchesini; produzione: Ambleto Film, Jolefilm, Rai Cinema; distribuzione: ZaLab; origine: Italia, 2015; durata: 72’


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