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Venezia 77 - Notturno

Pubblicato il 9 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - Notturno

Anche in programmazione nelle sale italiane.

L’idea da cui si sviluppa Notturno non sembra essere quella di girare un film, né tantomeno quella di documentare la realtà: peregrinando fra le macerie della cosiddetta “primavera araba”, Gianfranco Rosi crea una costellazione discontinua in cui ogni immagine ne genera un’altra – quasi si trattasse di comporre una pala d’altare.
Sospeso a metà strada fra cinematografia e pittura, il regista elenca i quadri di genere di cui si compone la guerra ai giorni nostri. Estraniante è l’assoluto silenzio a cui il pubblico, già a partire dai primi fotogrammi, viene sottoposto: ma un tale mutismo non è mai del tutto privo di suono, e infatti la pellicola s’apre proprio con l’assordante alternanza di rumore e quiete.

Il sipario si solleva sul quotidiano marciare delle truppe, solo per introdurci nella ben più estenuata ronda delle madri che hanno perso i loro figli. I due dipinti s’intersecano fino a fondersi completamente, e così il grido sincopato dei soldati si trasforma nell’angosciata litania con cui le donne a lutto evocano i propri defunti. Da qui in avanti, il ritmo della bobina accelera e rallenta a seconda della vicinanza al fronte – una vicinanza non solo fisica, ma anche e soprattutto psicologica ed emotiva.
I conflitti, le rivolte, il terrorismo: nulla accade sotto l’occhio attento della cinepresa, l’azione si svolge a miglia e miglia di distanza, oppure si cela nello sguardo di chi, pur tacendo, racconta. Sulla larga striscia che intercorre fra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, la vita continua a scorrere con una regolarità tanto anomala quanto agghiacciante. Due giovani innamorati si dedicano frasi d’amore sotto un cielo terso, fingendo di non sentire le mitragliatrici tossire all’orizzonte.
All’alba di ogni nuovo giorno, un ragazzino si alza e accompagna nei campi deserti i cacciatori. I militari fanno irruzione in edifici distrutti, attraversando città fantasma nelle quali ancora si percepiscono il caos e la paura che le ultime presenze umane hanno lasciato passando di lì. E in un ospedale psichiatrico, un film nel film ci illustra i fatti: colonialismo, attentati, dittature, devastazione, i numerosi frutti degli specchietti per allodole occidentali.

A sillabare la narrazione è la voce assente di quattro pazienti, impegnati a memorizzare una serie di ruoli che non gli appartengono in uno spettacolo scritto da altri (in questo caso, dal direttore della clinica). Perfino nei loro accenti è percepibile una sorta di sofferta apatia, e dalla sala si ha come l’impressione che la guerra sia diventata una faccenda privata. Ciò che succede in battaglia, come in questa routine devastata, viene mostrato soltanto da terzi: attraverso lo schermo di uno smartphone, alcune donne si riguardano aprire il fuoco contro il nemico. La loro espressione è la stessa di chi non riesce a riconoscersi completamente, tant’è che nei volti riflessi sul vetro ritroviamo il medesimo torpore già intravisto nelle movenze con cui i malati recitano il copione assegnatogli.
Una madre ascolta i vocali ricevuti da sua figlia, finita fra le mani dell’ISIS. Nelle prigioni, nelle caserme, fra vie desolate o sul bordo di torrenti in secca, le persone incedono come sonnambuli. Su tutto e su tutti cala la notte, qui nei panni di una generale inerzia che sembra trainare a fatica migliaia di vite. Nessuno parla, ad eccezione dei piccoli profughi scampati ai terroristi: in questa nuova sinfonia dell’orrore e del silenzio, la sequenza più nitida è composta proprio dai disegni con cui i bambini riproducono ciò a cui hanno assistito.

Gianfranco Rosi si limita dunque a tracciare una fragile cornice, contestualizzando un’esperienza che non conosce equivalenti in termini verbali. La parola viene lasciata altrove, d’importanza essenziale è l’immagine nelle sue sfaccettature crepuscolari. Così lo spettatore conosce, di quei luoghi, anche ciò che è andato perduto: le origini ancestrali, la sacralità profanata, gli antichi rituali, l’acqua, il vento, la terra.
La pellicola si compone di istantanee al presente e al passato, ogni inquadratura porta con sé le sue ombre, in un incessante crescendo e calando d’intensità. Nonostante l’estetica fortemente pittorica del regista, l’effetto è di grande veridicità e di onesta chiarezza: mai una volta l’obbiettivo perde di vista il quadro d’insieme, ma tenta al contrario di ricongiungerne le sfumature e di ricostruirne le fondamenta. Nell’eterno e immoto Notturno messo in scena da Rosi, non esistono avvenimenti, ma soltanto le tracce da essi lasciati in un ininterrotto sorgere e calare del sole.


CAST & CREDITS

(Notturno); Regia: Gianfranco Rosi; sceneggiatura: Gianfranco Rosi; fotografia: Gianfranco Rosi; montaggio: Jacopo Quadri con Fabrizio Federico; produzione: Stemal Entertainment, 21Uno Film; origine: Italia, Francia, Germania 2019; durata: 100’


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