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Venezia 77 - The world to come

Pubblicato il 7 settembre 2020 da Francesca Pistocchi

VOTO:

Venezia 77 - The world to come

In un Festival tutto giocato sui lacci emotivi che intercorrono fra diverse vite, l’ultima prova cinematografica della giovanissima Mona Fastvold sembra segnare una nuova tappa: reduce da una piccola esperienza in I am the other woman e dal recente debutto The sleepwalker, la regista esibisce un tatto e una gravità spesso difficili da congiungere. The world to come non si limita a raccontare una bella storia d’amore, ma traccia la genesi di una comunità perduta – il titolo, che ci riporta ai dieci racconti di Jim Shepard, ne è un indizio.

Nella New York pre-newyorkese non esistono eroi, né eroine, ma soltanto volti anneriti dall’isolamento che li circonda: Abigail (Katherine Waterston) e Dyer (Casey Affleck) possono essere definiti come una famiglia già consunta dalla tragica perdita dell’unica figlia. Segregati in un mondo fosco da cui non c’è via d’uscita, i due cercano di mantenere intatta la loro unione occupandosi della fattoria e costruendosi piccole vie di fuga personali. In un universo parallelo o semplicemente ai giorni nostri, Abigail sarebbe una scrittrice, o quantomeno un’insegnante, ma le circostanze in cui si ritrova costretta la rendono poetessa. Il marito Dyer invece, più predisposto verso le discipline scientifiche, coltiva i suoi sogni costruendo minuscole macchinette per pelare le mele, o fabbricando piccoli utensili di uso domestico. Entrambi sono gli eredi di coloro che, a pochi decenni di distanza, piantarono le prime fondamenta della civiltà americana. Entrambi sono figli di una solitudine e di un’emarginazione da cui tutto parte e a cui tutto ritorna: solo così è possibile ricostruire lo spazio e il tempo. A sconvolgere l’angusta routine dei protagonisti è ovviamente lo straniero, qui nei panni di una giovane coppia dalle sembianze stravaganti: Finney (Christopher Abbott) e Tallie (Vanessa Kirby) sono vincolati da un legame inquietante, diverso e forse spietato. Tallie in particolare, con i suoi lunghi ricci rossastri e gli occhi color dell’acqua, sembra provenire da un’altra dimensione. L’estroversa ironia, i gesti lievi e decisi, l’insistente curiosità che la contraddistinguono sconvolgono e affascinano la schiva riservatezza della vicina Abigail. Le due donne s’incontrano, si comprendono, si ritrovano come dopo un lungo viaggio. Questo rapporto clandestino porterà alla luce ciò che di solito si usa celare: per esempio, la brutale possessività di Finney, travestita da mania religiosa. O la malinconica insicurezza di Dyer, a cui probabilmente è stata inculcata la burbera severità che dovrebbe caratterizzare la natura maschile.

Riprendendo le dinamiche quadripartite dei suoi "sonnambuli", Mona Fastvold mette in scena un microcosmo nel quale a nessuno è permesso dialogare, così come pensare in grande, o dipanare la fantasia verso contrade ancora inesplorate. Certo è che, da un giorno all’altro, Abigail e Tallie decidono di trascendere questo assioma, sovvertendo le tacite regole in esso comprese e osando immaginare qualcosa di più intenso – proprio come fecero le loro antenate. A costituire la chiave della relazione fra le protagoniste (e del film stesso) è una passeggiata primaverile: in tale occasione si parla di madri e di padri, di fantasmi venuti dal nulla e con nulla fra le mani. Il mito è lo stesso del far west, ma la logica è quella dell’anonimato, della gente comune, di chi nel grande libro del "mondo che verrà" è destinato ad essere dimenticato. Inutilmente le amanti cercheranno di opporsi a tale meccanica, inutilmente i mariti tenteranno di separarle. Infine, l’unica fessura tollerabile sarà quella del sogno ad occhi aperti, della rassegnazione a vivere due vite opposte, dell’attesa e di un continuo protendersi verso il futuro – futuro in cui per nessuno dei quattro protagonisti ci sarà posto.

La realtà cupa e per alcuni versi agghiacciante illustrata dalla regista norvegese riporta alla luce la vecchia America, le sue leggende e i suoi spettri discreti, le sue origini solitarie, il concetto di libertà assoluta che costantemente collima con quello di prigionia. L’universo di Abigail non ammette distorsioni, ad esclusione delle parole poste a riempire le pagine del suo diario. E nemmeno la quotidianità domestica di Tallie, nonostante l’indole ribelle e istintiva, può permettersi un cambiamento. Nessuno, lungo l’intero arco narrativo, si muove da dov’è: a ciò, forse, penserà l’avvenire.


CAST & CREDITS

(The world to come); Regia: Mona Fastvold; sceneggiatura: Ron Hansen, Jim Shepard; fotografia: André Chemetoff; montaggio: Dávid Jancsó; interpreti: Katherine Waterston (Abigail), Vanessa Kirby (Tallie), Christopher Abbott (Finney), Casey Affleck (Dyer); produzione: Sea Change Media (Casey Affleck, Whitaker Lader), Killer Films (Pamela Koffler, Christine Vachon, David Hinojosa, Ben Kuller) Hype Film (Ilya Stewart, Murad Osmann, Pavel Buria), Charades (Carole Baraton, Pierre Mazars, Yohann Comte), M.Y.R.A. Entertainment (Margarethe Baillou), Yellow Bear Entertainment (Andrew Morrison), Panasper Films, Ingenious Media; origine: USA 2019; durata: 98’


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