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Vikings (Stagione 4) - Teste di Serie

Pubblicato il 20 febbraio 2017 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Vikings (Stagione 4) - Teste di Serie

"Chissà come si lamenteranno i maialini, quando scopriranno quanto ha sofferto il vecchio cinghiale?"
- Ragnar Lothbrok

Le gesta dei padri si riverberanno sul futuro dei loro figli. La quarta stagione di Vikings, serie tv ideata e scenggiata da Micheal Hirst e prodotta tra tante da History e Metro-Goldwyn-Mayer, propone ai numerosissimi ammiratori una stagione raddoppiata nel numero di episodi (stavolta sono venti, a differenza dei dieci della terza e della seconda), omologandosi alla linea distributiva adottata da diversi network, dividendo il filotto di episodi in due blocchi, che potrebbero costituire perfino due stagioni da dieci episodi ben distinte, spalmate in un arco di tempo lungo un anno.

Questa scelta commerciale non va considerata casaule. Tale divisione consente alla quarta stagione di Vikings di chiudere un ciclo e aprirne un altro: nella prima metà di stagione si assiste al canto del cigno del valororo Ragnar Lothbrok (un Travis Fimmel completamente a suo agio nella parte, quasi come fosse una seconda pelle) che, ostinato a saziare i suoi appetiti di conquista e rivalsa nei confronti del fratello traditore Rollo (Clive Standen), si imbarca con tutta la sua flotta verso i flutti della Senna, per raggiungere di nuovo Parigi e massacrare gli assassini dei coloni vichinghi prima accolti su suolo francese e poi trucidati con l’inganno. La spedizione si rivela un fallimento, Ragnar scivola sull’orlo della follia, distrutto dal dolore e dall’impossibilità di ottenere vendetta e molti dei suoi uomini, soprattutto il fedele amico Floki (Gustaf Skarsgard, uno dei veri protagonisti di questa quarta stagione) e il primogenito Bjorn (Alexander Ludwig) cominciano a perdere fiducia in quel guerriero e condottiero un tempo creduto invincibile: impossibilitato ad acquietare i demoni nella sua testa, Ragnar perde giorno dopo giorno la sua aura divina, trasformandosi in un individuo emotivamente instabile, imprevedibile e obiettivamente verso il tramonto della sua gloriosa esistenza. Ma Hirst sa bene che Ragnar, nonostante i difetti e le ossessioni, è un padre orgoglioso dei suoi figli e lascia che il personaggio-motore della serie prepari il campo all’ascesa dei suoi eredi.

Così la seconda metà di stagione si presta nella duplice veste di intermezzo e spartiacque tra due generazioni: ora che Ragnar è trattato alla stregua di un pazzo senza alcuna possibilità di rivalsa, Bjorn, da sempre incline e favorevole ai sogni di conquista ed espansione di suo padre, prende le redini dell’armata vichinga, ergendosi a leggittimo successore di Ragnar. Ma Bjorn non è solo, poichè i suoi fratelli Hvitserk (Marco Ilso), Sigurd (David Lindstrom), Ubbe (Jordan Patrick Smith) e, soprattutto, Ivar (il figlio storpio di Ragnar, interpretato da Alex Hogh, psicotico e dall’indole violenta) decidono di vendicarsi di re Aelle (Ivan Kaye) e re Ecbert (Linus Roache), rei di aver tradito e ucciso Ragnar (in verità è lo stesso Ragnar che si consegna nelle mani nemiche per forzare la propria dipartita e spingere, così, i suoi eredi a perseguire i suoi sogni di gloria), conquistando il regno di Mercia.

Nonostante la prima frazione di stagione mantenga un tono allucinatorio, assecondando visioni di conquista, premonizioni di un infausto futuro e deliri di onnipotenza, ormai marchio di fabbrica della serie, la seconda parte viene costruita da Hirst con l’obiettivo di chiudere definitivamente un ciclo per aprirne un altro, in una sorta di sequel annunciato: il canto del cigno di Ragnar assume un duplice e intenso valore simbolico, nell’arrendersi allo scorrere del tempo e al proprio decadimento iconico e morale, e nell’affidare speranza alle nuove generazioni, che dovranno imparare a lottare non solo contro il mondo esterno, ma soprattutto a gestire una pesante eredità, un tempo nelle mani di un solo condottiero e ora divisa tra individui spesso immaturi, volubili e impulsivi.

Abbandonando sequenze oniriche e istrionismi narrativi, Hirst si concentra sui figli, sulle loro ambizioni, sul rapporto spesso difficoltoso e insanabile di personalità vulcaniche e ancora ancorate a tradizioni glorificate, ma pur sempre illusorie; con l’uscita di scena di Ragnar e re Ecbert (nell’analisi del rapporto padre-figlio c’è spazio, anche se in piccola parte, al legame tra Ecbert e suo figlio Aethelwulf, interpretato da Moe Dunfold), non c’è più spazio per riflessioni su divergenze di credo e culturali, ma solo campo aperto alla rabbia e alla sete di vendetta di nuovi condottieri assetati di sangue e affamati di terre da conquistare e depredare.

Un monito, quello lanciato da Hirst, che acquisisce un significato ancor più profondo, subordinando le campagne di guerra e la violenza a un’analisi spietata e sfrenata di una condizione ai vertici della scala gerarchica di comando descritta come ottusa e scellerata che, a quanto si preannuncia nell’ultimo episodio, poterà a una frammentazione tale da spingere l’epopea vichinga verso una inevitabile e ingloriosa fine. Perchè non sempre l’unione fa la forza, quando il peso delle eredità dei padri insostenibile.


(Vikings); genere: storico, drammatico, avventura; sceneggiatura: Micheal Hirst; stagioni: 4 (rinnovata); episodi quarta stagione: 20; interpreti: Travis Fimmel, Katheryn Winnick, Clive Standen, Jessalyn Gilsig, Gustaf Skarsgård, George Blagden, Gabriel Byrne, Alyssa Sutherland, Donal Logue, Alexander Ludwig, Linus Roache, Ben Robson, Kevin Durand, Lothaire Bluteau, John Kavanagh, Peter Franzén, Jasper Pääkkönen, Moe Dunford, Alex Høgh, Marco Ilsø, David Lindström, Jordan Patrick Smith, Jonathan Rhys Meyer, Ivan Kaye; produzione: Take 5 Productions, Metro-Goldwyn-Mayer, Octagon Films, History, Shaw Media, World 2000 Entertainment; network: History (U.S.A., 18 febbraio 2016-1 febbraio 2017), TIMvision, Rai4 (Italia, 2 marzo 2016-3 febbraio 2017); origine: U.S.A., 2016; durata: 60’ per episodio; episodio cult quarta stagione: 4x15 – All his angels (4x15 - All his angels)


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