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Volevo nascondermi

Pubblicato il 5 marzo 2020 da Gherardo Ugolini
VOTO:


Volevo nascondermi

Un film potente, di grande impatto emotivo, compatto e ben articolato in tutte le sue parti. Un’opera pienamente matura, che si regge sulla straordinaria interpretazione di Elio Germano, ma che risulta convincente anche nella sceneggiatura e nella fotografia. Dopo i successi riportati con Il vento fa il suo giro (2005) e L’uomo che verrà (2009), Giorgio Diritti presenta alla Berlinale il suo ultimo lavoro, un biopic sul pittore Antonio Ligabue, e incanta la platea del festival tedesco. Siamo solo alle prime schermaglie del festival ed è avventato formulare pronostici, ma ci pare impossibile che un film come Volevo nascondermi non raccolga alla fine qualche significativo riconoscimento.

La rievocazione della vita di Ligabue (1899-1965) segue un filo cronologico, ma con frequenti flashback che rimandano all’infanzia e all’adolescenza del pittore, nato in Svizzera da una donna italiana emigrata. La prima scena lo mostra già adulto mentre viene sottoposto a una visita medica per valutarne lo stato psichico: mentre il dottore si sforza di trattarlo con gentilezza, Ligabue-Germano si nasconde sotto un telo, mostrando di tanto in tanto uno sguardo impaurito e spaesato. Questa tendenza a nascondersi (da cui il titolo) sembra essere la chiave di lettura adottata da Diritti per mettere a fuoco la contorta personalità di Ligabue, fino a farne il caso emblematico di un uomo che vive soffrendo la propria diversità, ma attribuendo ad essa un valore inestimabile, con la voglia di essere sé stesso, di essere coerente col proprio sentire a costo di andare contro tutto e contro tutti.

Dopo la morte della madre, ancora bambino, è affidato a una coppia di genitori svizzeri, con i quali però non si stabilisce un buon rapporto. Tant’è che a un certo punto, a causa dei suoi comportamenti aggressivi, viene prima affidato a un istituto psichiatrico per ragazzi e successivamente viene espulso dalla Svizzera e mandato in Italia. Se nella prima parte, rievocata in poche efficacissime scene, si parla per lo più tedesco, anzi svizzero-tedesco, nella seconda risuona il calore del dialetto emiliano. Come nei suoi lavori precedenti, Diritti è estremamente attento al realismo della lingua in cui si recita. Ligabue è accolto sulle rive del Po, costretto per anni a un’esistenza di fame, freddo e solitudine. La pittura gli si offre quasi per caso come strumento per placare le ansie. Soprattutto l’incontro con lo scultore Renato Marino Mazzacurati (Pietro Traldi) lo spinge a dedicarsi completamente all’arte, l’unico modo a disposizione per emergere dalla disperazione e ritrovare un’identità. Accade così che quell’uomo solitario e sgraziato, schernito dalla gente e chiamato "el tudesc" a forza di dipingere e creare un proprio mondo artistico, fatto di colori vividi, di autoritratti, di paesaggi e di animali esotici, diviene Toni, un uomo accettato e rispettato, soprattutto quando coi quadri comincia a guadagnare soldi e comprarsi moto e automobili.

La qualità del film è data da un montaggio senza sbavature e dalla fotografia che incornicia i paesaggi emiliani del Po, tra Reggio Emilia e Gualtieri come non si vedevano dai tempi di Bertolucci. Abbiano già accennato alla grande prova attoriale offerta da Elio Germano, a 5 anni di distanza da Il giovane favoloso in cui assumeva i panni di Giacomo Leopardi. Germano riesce a penetrare la personalità di Ligabue senza concedere nulla alla retorica o allo stereotipo. Il movimento degli occhi, la mimica facciale, la camminata e la gesticolazione riproducono perfettamente quanto possiamo percepire dai documentari di repertorio che si possiedono e sui quali regista e attore hanno lavorato intensamente. Già il compianto Flavio Bucci (al quale il cast di Volevo nascondermi e i giornalisti della sala stampa hanno tributato un caloroso applauso) aveva interpretato egregiamente il personaggio di Ligabue nello sceneggiato tv di Salvatore Nocita del 1977. Ma Germano va oltre e riesce a trasmettere tutta la tensione di un’energia animalesca richiusa nella gabbia di un corpo brutto e goffo.

Di buoni biopic su pittori se ne sono visti tanti di recente (due anni fa alla Berlinale fu presentato Final portrait di Stanley Tucci su Alberto Giacometti). Nel caso di Volevo nascondermi la biografia di Ligabue va al di là della ricostruzione biografica fino ad assurgere simbolicamente a parabola di una graduale trasformazione che porta il protagonista, attraverso la magia dell’arte, al riscatto personale e sociale, alla riconciliazione col mondo e con i demoni che lo hanno perseguitato fin dall’infanzia.


(Volevo nascondermi); Regia: Giorgio Diritti; sceneggiatura: Giorgio Diritti, Tania Pedroni; fotografia: Matteo Cocco; montaggio: Paolo Cottignola, Giorgio Diritti; musica: Marco Biscarini, Daniele Furlati; interpreti: Elio Germano (Antonio Ligabue), Pietro Traldi (Renato Marino Mazzacurati), Orietta Notari (madre di Mazzacurati), Andrea Gherpielli, (Andrea Mozzali), Oliver Ewy (Ligabue da adolescente), Leonardo Carrozzo (Ligabue da bambino); produzione: Palomar, Rai Cinema; distribuzione: Rai Com; origine: Italia, 2019; durata: 118’


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