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Watchmen (Stagione 1) - Teste di Serie

Pubblicato il 18 dicembre 2019 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Watchmen (Stagione 1) - Teste di Serie

«Le maschere rendono gli uomini crudeli»
(Adrian Veidt/Ozymandias)

L’UOVO E LA GALLINA

Quando mesi e mesi fa uscì fuori la notizia che Damon Lindelof non solo si era messo a lavoro su una serie su Watchmen – pietra angolare della letteratura e di quella a fumetti della seconda metà del Novecento, frutto del genio critico smisurato di Alan Moore e Dave Gibbons -, ma che addirittura il lavoro del papà di The leftovers era quasi giunto a compimento, tutti i fan dell’opera mooriana rabbrividirono, al tempo stesso intimoriti per un flop indesiderato ed eccitati all’idea di scoprire cosa fosse bollito nella pentola mentale del coraggioso Lindelof.

Oggi, dopo nove episodi costruiti sequenzialmente in un crescendo di tensione e riflessione drammatica sul dramma – quello raccontatoci da Moore stesso e qui ripreso e approfondito dallo showrunner -, Watchmen di Damon Lindelof può essere considerato senza troppi giri di parole per quello che realmente è: l’opera magna di un autore ora entrato di diritto nell’Olimpo della serialità televisiva.

Perché, innanzitutto, lo show trasmesso dalla HBO – lode imperitura! – non è più soltanto Watchmen, ma “il Watchmen di Damon Lindelof”. E non si tratta di un superfluo nomigliolo vanaglorioso, ma la giusta accezione “del termine”, nonché riconoscimento, per ciò che lo sceneggiatore americano ha osato e saputo realizzare.

Opera ambiziosa e costruita con la cura maniacale di un esperto orologiaio, il Watchmen di Lindelof - necessariamente subordinata alla lettura dell’"opera prima cartacea" - ha la smisurata forza e l’attitudine di ergersi allo stesso tempo come prequel e sequel dell’opera d’arte di More e Gibbons: tale assunto coincide con la presenza e lo sviluppo della figura dell’eroe Giustizia Mascherata, che né nel Watchmen di Moore, né tantomeno nei successivi spin-off proposti dalla DC, aveva trovato la giusta dimensione e una degna costruzione-evoluzione narrativa individuale; stavolta, l’icona misteriosa di Giustizia Mascherata è una delle scintille che danno vita alla serie targata HBO e Lindelof si accolla in un colpo solo tutte le responsabilità del caso, affibbiando al precursore ideale dei leggendari Minutemen un nome, William Reese (interpretato da Jovan Adepo nella sua versione giovanile e da un mastodontico Louis Gossett Jr. in quella anziana, attore dotato di una presenza scenica totalizzante), un background credibile e catartico, perfettamente in linea con lo stile e la dimensione socio-politica degli altri personaggi inventati da Moore e, come se non bastasse, uno scopo perfettamente connesso con l’esplicito sottotesto critico rivolto all’operato delle forze dell’ordine – quindi dei controllori -, mai così attuale e spregiudicato e, ancora, indissolubilmente avvolto da un filo rosso sangue attorno all’altro ingranaggio essenziale dell’intera serie: il Dottor Manhattan.

Personaggio enigmatico e imprevedibile per antonomasia nell’opera di Moore e Gibbons, l’eterno Jon Osterman era il gioiello più prezioso e allo stesso tempo più fragile sul quale Lindelof potesse allungare le mani; trattare con un individuo in grado di vivere simultaneamente più linee temporali e, di conseguenza, (s)oggetto a paradossi, avrebbe fatto venire la tremarella alle ginocchia a chiunque. Non a Lindelof, che riprende “l’esaurito” Manhattan di Moore e riesce in un’operazione (forse) impensabile: umanizzarlo. Perché il Watchmen di Damon Lindelof poggia quasi interamente su questo rapporto di causa-effetto, ovvero sull’innamoramento di Jon/Manhattan (Yahya Abdul-Mateen II) con la poliziotta Angela Abar (magnifica Regina King!), vittima suo malgrado e indirettamente della vittoria e della conseguente conquista del Vietnam da parte del governo americano, per opera dello stesso Manhattan. Mai si era letto/visto di un Dottor Manhattan così emotivamente vicino agli esseri umani che lo idolatrano e temono come un dio; mai si era visto un essere superiore – proprio del termine che lo pone al di sopra degli altri – scendere a patti con i propri errori e vincolarsi a una forma di altruismo salvifica e innovativa nel genere, per il genere, come lo è la consegna e il passaggio dei poteri all’amata Angela.

Disseminato di easter-egg e meta-citazioni, il Watchmen di Lindelof si colloca alla perfezione nel contesto moderno, rielaborato e preso in prestito della società alienata e distopica immaginata da Moore. Ne è, con spregiudicatezza, la prosecuzione naturale; prodotto in grado di incanalare e modellare le criticità della nostra ambigua società – dall’odio razziale, alla presa di coscienza delle responsabilità di chi detiene il potere -, già tratteggiate con moralistico cinismo da Moore nel suo universo, il Watchmen di Lindelof si rivela prodotto d’autore fondato sull’introspezione dei protagonisti e, soprattutto, sull’incomunicabilità di questi con loro stessi – su tutti, l’incapacità di autosoddisfacimento di un Adrian Veidt/Ozymandias, interpretato da un memorabile Jeremy Irons a briglie sciolte, chiamato a una seconda strage, pur di salvare il mondo ancora, senza riuscirci con se stesso.

Sorretto da un impianto sonoro ipnotico e totalmente coinvolgente, a opera del duo delle meraviglie Trent Reznor e Atticus Ross, la serie HBO distrugge nel corso di nove episodi - forse piegati a una iniziale narrazione eccessivamente prolissa, ma non inficiosa – tutti i timori sulla volontà di riprendere un’opera sacra come lo è quella di Moore e Gibbons. E il merito é tutto di Damon Lindelof, il vero eroe di questo 2019 televisivo.


(Watchmen); genere: comic-movie, fantascienza, drammatico, noir; showrunner: Damon Lindelof; stagioni: 1 (in attesa di rinnovo); episodi prima stagione: 9; interpreti: Regina King, Yahya Abdul-Mateen II, Jeremy Irons, Tim Blake Nelson, Louis Gossett Jr, Jean Smart, Hong Chau; produzione: White Rabbit, Paramount Television, DC Entertainment, Warner Bros. Television; network: HBO (U.S.A., 20 ottobre-15 dicembre 2019), Sky Atlantic (Italia, 28 ottobre-23 dicembre 2019); origine: U.S.A., 2019; durata: 60’ per episodio; episodio cult prima stagione: 1x06 - This extraordinary being (1x06 - Questo essere straordinario); 1x08 - A god walks into Abar (1x08 - Un dio entra in un bar)


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