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Carta bianca (Conferenza stampa)

Pubblicato il 25 giugno 2014 da Antonio Napolitano


Carta bianca (Conferenza stampa)

Roma, Filmstudio, 19 giugno 2014. Dopo il successo di Falene, esce in sala Carta bianca, il secondo lungometraggio di Andrés Arce Maldonado, regista colombiano che vive da anni a Roma e che ha presentato insieme al cast tecnico e artistico il suo lavoro che esce in sala il 26 giugno con Distribuzione Indipendente. Ad introdurre il film è stato proprio Giovanni Costantino, fondatore e presidente della casa di distribuzione, che ha voluto ringraziare il Filmstudio e ha annunciato una partnership con la storica sala romana per la continuità del loro progetto. “Carta bianca” ha precisato Costantino, “è un film in cui crediamo e che si colloca nel filone di denuncia sociale che ha tanto riscosso entusiasmo e che abbiamo cavalcato quest’anno con titoli come Spaghetti Story, Red Krokodil, In Nomine Satan, titoli che trattavano tematiche molto distanti tra loro ma con uguale profondità a cui i media non danno la giusta e doverosa visibilità. I distributori non devono pensare solo all’incasso, ma devono essere anche operatori culturali proponendo film che fanno riflettere”.

Carta bianca come gli altri titoli citati, è un film difficile soprattutto per le oramai note questioni produttive come ha raccontato il regista, “ho provato a far leggere il copione a tanti produttori, anche amici, ma dopo mesi passati ad aspettare una risposta, ho deciso di investire di tasca mia quindicimila euro e, grazie alla collaborazione del cast tecnico e artistico, è stato possibile fare questo film che abbiamo girato in venticinque giorni in totale economia. Non c’era un piano B, sono molto orgoglioso del risultato, soprattutto perché ho dimostrato che non spreco le risorse. Se sei nel giusto emotivamente e moralmente quando rischi, la vita ti aiuta. Il difficile è riuscire a lasciarsi andare. Il film è stato rischioso nel vero senso della parola. Ad esempio nella scena finale al buio, dato che eravamo senza permessi, abbiamo rischiato costantemente di essere investiti”. Ma, oltre alle difficoltà produttive, il film si scontra anche con le difficoltà del quotidiano, infatti, continua il regista, “il film nasce da un articolo di cronaca nera che avevo letto sulla Gazzetta di Ferrara e che raccontava della morte di un immigrato marocchino, morto di freddo tra l’indifferenza dei passanti. Volevo scrivere qualcosa non tanto sulla vita ma sulla morte di questo immigrato e, intorno a questa storia, abbiamo sviluppato altre tre storie, che non sono solo storie di immigrazione, ma storie di esseri umani, racconti sulla natura umana, sulla paura che va oltre il razzismo o la xenofobia, sulla paura verso se stessi. Nella cronaca nera c’è una umanità liofilizzata, siamo al climax dell’esistenza dei personaggi con una fotografia di quel dato momento. E questa storia è paradossale perché non tratta di razzismo; un corpo per terra può essere di un italiano, di un immigrato, può essere chiunque, il problema in questo caso è l’indifferenza. Ho sentito la necessità di dover raccontare questa storia, da cui poi sono venuti fuori altri personaggi con altre storie dove c’è un rincorrersi senza soluzione, uno desidera l’altro che desidera un terzo e così via ma non ci si incontra mai. La motivazione di fondo è proprio l’amore”. Oltre che l’amore altro tema che lega i personaggi è la carta, come ha precisato lo sceneggiatore Andrea Zauli, “le tre vite rincorrono la carta che appare sotto varie forme ma che è il vero obiettivo di ogni personaggio e della storia che lo racconta. Che sia il denaro, il passaporto, il contratto di lavoro o il permesso di soggiorno, in quella carta c’è parte del loro futuro e parte del loro passato. La scrittura è stata complessa, con una struttura variegata dove tutte le storie si intrecciano, si sfiorano ma non si raggiungono e ogni volta finiscono con un cliffhanger. Il montaggio del film è figlio di questa scrittura che rappresenta tre punti di vista sulla stessa storia”.

Per ciò che riguarda l’interpretazione sono intervenuti alcuni dei protagonisti del film, quasi tutti attori di formazione teatrale e che hanno un passato professionale consolidato con Maldonado. Tra questi Tania Angelosanto, che sebbene italiana, è stata scelta per il ruolo di Vania, la ragazza moldava protagonista di una delle tre trame del film. “Ho voluto a tutti i costi questo ruolo, anche contro il parere di Andrés, che mi diceva che non avevo la stessa forza e la stessa urgenza di sopravvivere che ha Vania, il personaggio che dovevo interpretare. Ho lavorato tanto non solo sulla lingua, ma anche sul mio corpo, ho incontrato prostitute, ho provato a conoscerle ed è stata una grandissima esperienza”. Sulla stessa lunghezza d’onda Patrizia Bernardini che interpreta Lucrezia, un imprenditrice romana che finisce nei guai: “anche per me è stata una grande esperienza, sei in grado di girare un film del genere in venticinque giorni solo se ci credi realmente e se condividi questa esperienza a tutto tondo”. Esce invece dal coro Valentina Carnelutti, che ha un piccolo ruolo nel film e che lancia più che una polemica, un grido d’allarme nei confronti del sistema cinema: “Preciso che è importantissimo fare film con entusiasmo, ma non credo che giovi al nostro cinema fare tutto da soli e senza mezzi. Il cinema è un lavoro collettivo ed è importante che il cinema indipendente venga sostenuto. E non parlo solo da un punto di vista economico, ma parlo di aiuto in termini professionali, di mezzi e strumenti. Il cinema indipendente deve esserlo moralmente non perché povero. Ammetto che ho partecipato a questo film perché mi richiedeva solo un giorno di lavorazione, ma se avessi dovuto farlo per venti giorni, non avrei potuto accettare”.


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