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Conferenza stampa: Kitano Takeshi

Pubblicato il 18 settembre 2002 da Alessandro Borri


Conferenza stampa: Kitano Takeshi

Venezia. Dopo l’excursus americano di Brother lei torna al suo Giappone con un film diverso, meno violento, più dolce. Come mai?

Dolls è un film violento, ma in maniera diversa rispetto a Brother. Si parla di morte, morte ed amore, amore estremo. La morte che ho rappresentato è meno forte che in film precedenti, arriva improvvisa, quasi spontanea, ma non è meno dura. La mia è una sorta di sfida, non una dimostrazione culturale del Giappone, delle sue tradizioni o dei paesaggi.

Lei parla di morte, e questo sembra essere, in una storia che parla indubbiamente d’amore, il motore della vicenda..

Vede, in questo film ho attinto molto alla tradizione del teatro del Bunraku, il teatro delle bambole. Ho seguito un autore molto importante nella letteratura giapponese, Chikamatsu Monzaemon, straordinario narratore di coppie infelici, legate da amori impossibili e tragici. Mia nonna faceva bunraku, e sin da piccolo ho avuto familiarità con questa culturale nella quale è amore e morte sono inscindibili. Ho pensato per Dolls ad un teatro fatto dalle bambole per le persone, un bunraku umano nel quale tutto ciò che succede non è reale.

Lei ha scelto per il suo film stupendi paesaggi rurali. Come mai ha evitato gli scenari cittadini, a lei più familiari?

Avrei voluto girare in città, onestamente, ma ho trovato alcune difficoltà. Ho utilizzato per questo paesaggi diversi, limitando gli ambienti esterni come parti di un grande palcoscenico che ruota, come nel Bunraku. Le vallate, i boschi, i fiumi rendevano anche meglio l’idea di un teatro realizzato dalle bambole, non adattabile alla realtà. Questa è una versione contemporanea del Bunraku, gli eventi sono visti attraverso gli occhi delle bambole. La società attuale, la realtà, è mediata dal palcoscenico.

Nel suo film lei mostra tre storie diverse, indipendenti fra loro. Ci sono due innamorati legati da un filo, uno yakuza, una giovane cantante. Da cosa dipende questa scelta?

Le mie tre storie sono tre piccole vicende, rese vicine soltanto dall’ambiente. Sono storie da collegare nel film, nate per ragioni diverse. Quella dei due protagonisti legati da un nastro rosso che camminano senza tregua, per esempio, proviene dai miei ricordi infantili. Da bambino vicino casa mia c’era una coppia di vagabondi legati, ma non ho mai saputo perché fossero impazziti. Ho ripreso la loro storia, mi sembrava molto poetica.

Lei ha usato dei colori splendidi. Rossi, gialli, blu riempiono il suo film. Da cosa dipende la sua scelta?

Inizialmente mi ero orientato sui colori scuri, su blu e neri cupi. Poi, pian piano, ho visto che il mio film cominciava ad arricchirsi di colori, il giallo che da piccolo vedevo spesso nelle ambulanze che portavano ad ospedali per malattie mentali, il rosso, il verde. E mi è piaciuto, l’ho lasciato così.

Proseguirà su questa strada per il prossimo film?

Per il prossimo film vorrei spostarmi sui combattimenti di spada. Il Giappone ha una grande tradizione cinematografica su questo tema, a partire da Kurosawa, ma vorrei rompere con questa immagine che se ne ha. Poi, forse, un giorno tornerò a fare un film come Dolls, ma per ora ho altri progetti.

[5 settembre 2002]


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