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La sedia della felicità (Conferenza stampa)

Pubblicato il 21 aprile 2014 da Edoardo Zaccagnini


La sedia della felicità (Conferenza stampa)

Ci sono gli attori Valerio Mastandrea, Isabella Ragonese e Giuseppe Battiston; gli sceneggiatori Marco Pettenello e Doriana Leondeff. C’è il produttore Angelo Barbagallo e c’è Piera De Tassis che coordina l’incontro. Ci sono anche Marina ed Emilia, la moglie e la figlia di Carlo. La sedia della felicità è dedicato a loro due, ed è proprio Marina, anche storica collaboratrice di Carlo, la prima a intervenire:

Marina Mazzacurati: Carlo teneva tantissimo a questo film. Vi hanno lavorato le persone che più adorava. Ringrazio tutti per essere qui stamattina.

Poi tocca agli attori ricordare Carlo, l’uomo ed il regista. Rompe il ghiaccio Mastandrea.

Valerio Mastandrea: Non è vero che Carlo non stava bene sul set. Si sapeva della situazione, ma io ricordo soltanto un grande entusiasmo tutti i giorni. C’erano delle difficoltà, diciamo tecniche, fisiche, ma non ce ne siamo accorti, e credo non se ne sia accorto nemmeno lui. Un ricordo di Carlo? Io dico soltanto che avrei voluto lavorare con lui molto prima. Sono vent’anni che faccio l’attore e mi sarebbe piaciuto lavorarci già da tempo. Per lui evidentemente non era così: mi ha chiamato quando si è sentito pronto (ride..). Nonostante ciò, questi due mesi di lavoro (più qualche incontro in fase di sceneggiatura) mi hanno fatto capire quanto mi mancherà. Come uomo, come regista e come uno che ama il cinema in maniera profonda, molto più di quanto lo ami io. Per ciò avrei voluto imparare molto anche da questo punto di vista. Ricordo che insieme parlavamo del mio personaggio sempre in terza persona. Descrivevamo Dino come uno che avevamo visto per strada e al quale avevamo visto fare delle cose. "Ti ricordi quando lui?", "E quella volta che ha fatto così?" C’era una sorta di scollamento "anti metodo" da parte mia, chiamiamolo così, qualcosa che corrispondeva anche a Carlo. Lui non vedeva me in Dino, ma semplicemente Dino era una cosa esistente nel suo immaginario.

Giuseppe Battiston: Racconto un piccolo aneddoto. Penso sia sotto gli occhi di tutti la ricchezza del cast di questo film. Ci sono dei Cameo davvero preziosi. E mentre Carlo preparava il film diceva: "Mi piacerebbe far fare questo ruolo a Silvio (Orlando); questo ad Antonio (Albanese); questo a Fabrizio (Bentivoglio) e così via. E io gli dicevo: "Caspita, che meraviglia! Ma ce la faranno? Verranno?" E Lui: "Ma certo che vengono, vuoi che dicano di no a un povero malato?" Beh, credo che questa cosa racconti moltissimo Carlo, credo che descriva il suo spirito, il suo modo di affrontare le cose, non solo questo mestiere ma anche tutta la sua vita, il suo mondo. Ecco, questo era il suo occhio, umano e divertito.

Isabella Ragonese: Io l’ho conosciuto per poco tempo ma è stato un incontro molto importante. Tenderei ad evitare ogni retorica perché Carlo era allergico a tutte le frasi fatte che si possono dire in questi casi. Quando metti passione nelle cose, ti dimentichi di tutto, ed io non ho mai percepito nessuna difficoltà da parte di Carlo sul set. Mi piace addirittura pensare che questi ultimi mesi li abbia spesi non in un ospedale ma facendo la cosa che amava: il cinema, e stando con le persone a cui voleva bene.

Riprende la parola Piera De Tassis e visto che La sedia della felicità è un film che nasce da lontano, chiede la produttore e ai due sceneggiatori come sorse l’idea della pellicola, come si è modificata strada facendo e perché il vecchio titolo (La regina delle nevi) è stato poi sostituito. Il primo a rispondere è Angelo Barbagallo:

Angelo Barbagallo: Il titolo è cambiato grazie ad una splendida intuizione del figlio del montatore: un ragazzino di quattro anni grandissimo fan del film. L’estate scorsa siamo andati in campagna da Carlo per sistemare il montaggio, e a questo ragazzino non piaceva il titolo La regina delle nevi. E’ stato lui stesso a suggerirne un altro: La sedia della felicità, appunto, che in effetti racconta benissimo tutto il film. Per questo motivo, la sedia del film che tenevo nel mio ufficio, l’abbiamo regalata al montatore e a suo figlio come ringraziamento e come ricordo.

E’ poi Doriana Leondeff a raccontare la genesi del film:

Doriana Leondeff: Io ho lavorato con Carlo negli ultimi undici anni. Insieme abbiamo scritto quattro film. Il desiderio di leggerezza che lui è riuscito a esprimere così bene in questo ultimo film, nasce da molto lontano ed è assolutamente precedente alla malattia di Carlo. Quando poi è successo quello che è successo, paradossalmente il film ne ha acquistato in termini di lucidità e di buonumore. La malattia ha sgomberato il campo da tutto quello che era inutile e ha consentito a Carlo di arrivare al cuore allegro delle cose. Noi, in questo abbiamo cercato di supportarlo. Sul titolo ricordo che il precedente tutto sommato ci piaceva, ma quando è venuta fuori l’intuizione di questo bambino, beh, è piaciuto a tutti molto di più. A Carlo poi faceva impazzire di gioia l’idea che fosse stato proprio un bambino a sceglierlo. Tutto il trailer è costruito sul titolo.

Marco Pettenello: La sedia della felicità non è l’opera di uno che sapeva che sarebbe stato il suo ultimo film. Forse era il film di una persona a cui la vita stava dicendo: "Potrei finire...", ecco, questo può darsi, ma la riflessione fatta da Carlo per La sedia della felicità, e che forse la malattia ha stimolato, era di certo precedente a tutto quello che è accaduto, ed aveva a che fare con tutto ciò che Carlo aveva già raccontato con i film precedenti, aveva a che fare col disagio e la fatica di vivere in Italia negli ultimi anni, già descritti nei suoi film precedenti, aveva a che fare col racconto di un Paese andato un po’ in malora. Però, da un certo punto in poi, Carlo si era messo nell’ottica di dover dire una cosa: "Ok, ma in questi maledetti centri commerciali, in queste strade statali congestionate, con i panini, i surgelati e le televendite, con preti andati in disgrazia (per il video poker), in questo mondo del quale è diventato addirittura inutile parlare male, beh qui dentro c’è ancora della vita, ci sono ancora dei destini, c’è amore, c’è rabbia, c’è ancora roba da cui si può tirare fuori una storia. Una storia che si può raccontare a un bambino, perché questa era una cosa a cui Carlo teneva moltissimo, e infatti i nostri riferimenti per questo film erano Kiki - Consegne a domicilio di Hayao Miyazaky, Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson: film per bambini, insomma. Anche se poi quello raccontato da Carlo con questo suo ultimo film è lo stesso mondo descritto in Piccola Patria di Alessandro Rossetto: un film che parla malissimo, e giustamente, di questa parte di Paese, visto che i motivi per farlo non mancano. Ma Carlo aveva voglia di vedere che anche quella dei protagonisti del suo film è vita, e forse, come modelli per La sedia della felicità si può anche pensare ad alcune escursioni fatte nel surreale di Zavattini e De Sica.

Poi Angelo Barbagallo aggiunge qualcosa su Carlo Mazzacurati e La sedia della felicità.

Angelo Barbagallo: Voglio precisare che se si andava a cena con Carlo, beh, Carlo somigliava tantissimo a questo suo ultimo film. Lui era allegro, scanzonato, ironico, esattamente come lo è La sedia della felicità. Dopo arrivava un altro Carlo, ma il primo livello era quello della leggerezza e del divertimento. Ovviamente intelligente, profondo, con delle fondamenta solidissime, ma ripeto, Carlo era così, soprattutto quando si stava seduti insieme a cena o in qualunque salotto. Gli piaceva raccontare, era un bugiardo pazzesco che poi faticava non poco a tenere insieme le varie bugie. Ma battute a parte, io trovo che questo sia il film che lo rappresenti di più.

Marco Pettenello si inserisce nel discorso di Barbagallo:

Marco Pettenello: Questa è la terza commedia di Carlo. Le altre sono La lingua del santo e La passione. Ho avuto la fortuna di poter lavorare a tutte e due, ma in quegli altri due casi si partiva dicendo: "Facciamo un film allegro" e a un certo punto calava come un ombra di cattivo umore, di malinconia, che giustamente era il sentimento dominante di Carlo sul presente. Quelli sono film in cui ridi molto e poi c’è il momento malinconico, e invece qui è tutto fatto di un’unica pasta. Questo non è assolutamente un film stupido ma è un film spensierato. Noi non sapevamo che sarebbe stato l’ultimo, ma a posteriori è bello che il cammino fatto da Carlo finisca in allegria.

Altre domande ai protagonisti. A Isabella Ragonese viene chiesto del suo personaggio, di Bruna..

Isabella Ragonese: Posso dire come è nata. Carlo era uno che si divertiva molto anche a costruire esteticamente i personaggi, anche osando. Quindi questa estetista è anche da subito stata pensata come molto colorata, da subito una specie di sponsor per il mestiere che faceva: smalto, capelli a metà e shatusch. Ricordo lunghe conversazioni via skype anche con la costumista, e con Carlo, che ricordava tanto il personaggio di Silvio Orlando in La passione, a cui cadeva sempre la linea telefonica. Poi il lavoro è proseguito sul carattere di Bruna. Sia lei che Dino fanno due lavori nei quali incassano tutte le lamentele dei clienti, gli sfoghi umani delle persone che vanno da loro. Ecco, diciamo che a un certo punto lei ha la grande occasione di essere protagonista di una Storia e quindi compie questo grande passaggio, da rifugio per tutte le disgrazie dei suoi clienti a una vita d’azione nella speranza di questo grande colpo di fortuna. Prima si parlava dei riferimenti ad alcuni film di animazione. La cosa bella è stata che mentre si girava a un certo punto Carlo mi ha detto: "Sai, ora ho capito a chi somiglia Bruna, sembra una delle eroine dei film di Mihazaky." E da lì l’abbiamo pensata anche un po’ cosi, una di quelle ragazze normali senza un’età definita, umili, che poi si trovano in avventure rocambolesche e fiabesche nelle quali tirano fuori una grande grinta. E poi c’è questo rapporto con Dino, che rimane sempre sotto traccia e che poi esplode alla fine del film.


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