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Conferenza Stampa Rolf De Heer

Pubblicato il 1 giugno 2006 da Giampiero Francesca


Conferenza Stampa Rolf De Heer

Abbiamo incontrato, alla presentazione del suo ultimo film 10 Canoe, il regista Rolf de Heer autore, fra gli altri, di Bad Boy Buddy (1993 - Premio Speciale della Giuria e Premio Internazionale della Critica a Venezia) e del pluripremiato The Tracker (2002). Il regista collabora con Domenico Procacci, intervenuto anche lui alla presentazione, alla Fandango Australia.

Com’è nata l’idea di un film sugli aborigeni australiani?

Rolf De Heer: Sin da quando mi sono recato per la prima volta (poco prima delle riprese di The Tracker ndr) a Ramingining con il mio amico David Dulpilil, la popolazione locale mi ha chiesto di realizzare un film che parlasse di loro. All’inizio le idee erano piuttosto vaghe, doveva essere un racconto dei tempi antichi... Poi David mi ha fatto vedere le foto di Thomson.

Nel film si parlano numerosi dialetti e lingue, non crede si apra un forte “questione linguistica”?

Rolf De Heer: La lingua è certamente uno degli elementi fondamentali, forse il più rilevante. L’inglese e l’italiano, ad esempio, hanno molto in comune, appartengono allo stesso universo, hanno la stessa cosmologia. Nel caso degli aborigeni, l’universo di riferimento è completamente diverso e questo si riflette anche sulla lingua. Esistono concetti nel loro dialetto per noi intraducibili e viceversa.

Domenico Procacci: Sono concezioni del mondo completamente differenti. Per analizzare il mondo e i suoi fenomeni noi occidentali tendiamo a suddividerlo in piccole entità, le studiamo separatamente e poi ricomponiamo il puzzle. Per loro è impossibile. Loro sono un tutto indivisibile.

Rolf de Heer: Un esempio linguistico di questa differenza sono i pronomi. Noi abbiamo vari pronomi: io, tu, voi... loro no, ma possiedono ben sedici parole per dire noi.

Oggi gli aborigeni in Australia sono una minoranza schiacciata dalla popolazione bianca. Ci sono riflessi di questa loro condizione in 10 Canoe?

Domenico Procacci: Il tema della condizione aborigena oggi è stato trattato da Rolf in The Tracker. In 10 Canoe si fa riferimento ad un mondo molto lontano nel tempo, decisamente prima dell’avvento dell’uomo bianco.

Rolf de Heer: Non c’è alcun riferimento. Volevo raccontare ciò che la popolazione mi ha chiesto. La loro tradizione, senza alcun cenno alla loro condizione attuale. Tra l’altro, la situazione degli aborigeni in Australia è molto più complessa di quanto si possa credere. Ci sono aborigeni che vivono ai margini della società, in povertà, e ce ne sono altri che vanno all’università. Alcuni sono ancora legati alle tradizione. altri le hanno completamente superate.

A proposito di tradizioni: il racconto fa riferimento ad un epoca molto lontana, ha avuto problemi di datazione nello scrivere il film?

Rolf de Heer: Il problema c’è stato. Mi avevano chiesto di narrare un racconto ancestrale, che affondasse le sue radici nel passato più remoto. La questione è che loro identificano il passato remoto con l’epoca precedente al 1937, anno in cui Thomson arrivò qui. Io dovevo basarmi su datazioni molto precedenti. E’ raro sapere che i primi scambi commerciali di queste popolazioni risalgono a cinque, sei secoli prima. Riguardavano per lo più il baratto di armi, ma credo che lo spettatore si sarebbe trovato spiazzato se gli aborigeni avessero impugnato asce ben tornite.

E’ stato difficile lavorare con un cast indigeno di non professionisti?

Rolf De Heer: All’inizio sì. Come dicevo, fra noi e loro ci sono enormi differenze. Le faccio un esempio: eravamo alla ricerca di una donna che interpretasse una delle mogli di Minygululu. Avevo bisogno di una ragazza fra i 25 e i 35 anni, piuttosto forte. Dopo numerosi tentativi, gli uomini della tribù, a cui dovevamo fare riferimento, mi dissero che non c’era nessuno che corrispondesse. Questo mi stupiva, c’erano molte donne adatte. Poi capì. Non la trovavano perché cercavano la mia “attrice” fra quelle che realmente erano le mogli di Crusoe Kurddal, l’attore interprete di Minygululu. Questo perché nella loro cultura non c’è differenza fra realtà e finzione. Tutto ciò che viene narrato, che è degno di essere narrato, è vero.

Lei ha una lunga filmografia. Esiste un filo rosso che lega i suoi film?

Rolf de Heer: Se esiste è proprio la differenza che li separa. Fare il regista è un lavoro molto difficile, se dovessi fare sempre lo stesso film penso che diverrebbe un compito troppo oneroso, insopportabile. Lavorare su nuovi mondi, nuove storie, conoscere idee e persone mi affascina e mi diverte, solo così posso continuare a girare dei film.

A questo proposito, ha nuovi progetti?

Sì, una commedia muta in bianco e nero, Dr.Plonk. Avevo bisogno di qualcosa che fosse facile da produrre e veloce da realizzare, per girare 10 Canoe ci sono voluti tre anni. E così, proprio per sperimentare linguaggi diversi, ho pensato ad un muto.


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