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Conferenza stampa: Theo Eshetu

Pubblicato il 12 novembre 2004 da Mazzino Montinari


Conferenza stampa: Theo Eshetu

Sulmona

The Creation Trilogy esprime una grande gamma di significati. Uno di questi ha molto a che fare, se così si può dire, con la storia del cinema e con il suo progressivo sviluppo tecnologico.

Questo progetto non ha niente di autobiografico se non che è animato dai miei pensieri e studi sulle molteplici forme del video, dal cinema alla videoarte. E’ indubbiamente un’apertura verso le svariate possibilità tecnologiche di catturare immagini in movimento, dall’uso del 35mm al 16mm fino al super8, il Vhs e le piccole videocamere digitali. E’ un lavoro libero, nel senso che mi sono preso la libertà di inserire ogni tipo di immagine presa con l’uso di qualsiasi supporto, senza che questo variare pregiudicasse la coerenza del film.

Una coerenza che non cerchi di imporre attraverso una narrazione lineare.

Quello che evidentemente questo film non contiene è una storia intesa in senso classico con tanto di sceneggiatura. E’ una celebrazione della creazione nei suoi differenti aspetti. Il film è diviso in tre parti: Nativity, La Madonna di Theo Eshetu, Body & Soul V.3. Le prime due sono state realizzate molti anni fa mentre l’ultima, che ho presentato a Venezia, è stata prodotta recentemente. C’è dunque una variazione nello stile tra i primi lavori che sono più lunghi e con un ritmo lento e quest’ultimo che invece ha un andamento differente. Ma al di là della diversa realizzazione nel tempo, è stato il tema stesso della creazione a farmi variare stile e modo di comporre le immagini. Quando si affronta il tema della creatività si ha a che fare con contenuti diversi: la natività, la creatività femminile e quella maschile, l’anima e il corpo. Mi sembrava interessante, quindi, affrontare i diversi momenti della creatività per poi unirli in un unico film.

Un ruolo importante nel tuo film è svolto dalla musica.

E’ un film che non ha testi parlati né suoni reali, la musica è dunque l’unica guida oltre al flusso di immagini. In molte occasioni è un contrappunto che produce l’effetto opposto, quello di complicare la visione delle immagini. Gioco molto sulle dissonanze come quando ad esempio ho inserito una musica jazz sul ballo di alcuni danzatori africani, o quando mescolo le musiche e le immagini riferite al Che con quelle di una statua del Cristo. E’ un contrappunto che d’altra parte riproduce una situazione che appartiene a tutti noi, quella di trovarsi a ballare una musica che non è la nostra.

Consideri il tuo lavoro interno a una scuola o comunque a un modo determinato di concepire il cinema?

L’Underground americano degli anni ’50 -‘70 mi ha indubbiamente influenzato, e forse nei miei lavori meno recenti questo debito si nota di più. E’ anche vero, però, che se si trattano gli stessi argomenti e si fa riferimento a un comune linguaggio sperimentale, si arriva inevitabilmente a produrre esiti simili, ma questo non significa che vi sia l’intenzione esplicita di citare altre esperienze cinematografiche. Ormai, il mio è un percorso di ricerca autonomo.

Nel tuo percorso, in futuro, è inclusa un’incursione nella fiction?

Sono tanti anni che sperimento un certo tipo di linguaggio e certamente mi piacerebbe fare altre esperienze. Vorrei esplorare altri luoghi non tanto per la voglia di fare cinema in senso tradizionale, quanto per cercare di vedere come la mia estetica delle immagini potrebbe integrarsi con una forma narrativa compiuta. In un certo senso, sarebbe anche un modo per alleggerire il mio lavoro e la conseguente visione, ad esempio fornendo allo spettatore un’azione che segua il nesso della causa effetto.

[novembre 2004]


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