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Episodio II

Pubblicato il 5 settembre 2015 da Mazzino Montinari


Episodio II

Vedere in rapida successione (si fa per dire!) il brasiliano Boi neon (Orizzonti) di Gabriel Mascaro, In Jackson Heights (Fuori Concorso) di Frederick Wiseman e poi l’opera prima israeliana con partecipazione danese, Mountain (Orizzonti) di Yaelle Kayam e, infine, Sobytie (The Event, Fuori Concorso) di Sergei Loznitsa, è un po’ come salire sulle montagne russe. Ci si arrampica sul mondo per poi scendere vorticosamente in picchiata verso un luogo dove c’è spazio solo per la propria intimità, e forse neanche per quella. I due maestri del cinema documentario con In Jackson Heights e Sobytie catturano ed esibiscono uno spazio pubblico che, nel primo caso, prende la forma di un quartiere di New York “ripreso in diretta”, popolato da cittadini di ogni provenienza, estrazione sociale e identità sessuale; nel secondo, assume le fattezze delle piazze di Leningrado dell’agosto 1991, durante il tentato colpo di Stato che, contro le intenzioni dei golpisti, decretò il definitivo crollo dell’Unione Sovietica.
In un certo senso, con il loro cinema, Wiseman e Loznitsa istituiscono luoghi dove le esistenze umane accedono, dove possono irrompere e mettersi in relazione. Contemporaneamente, quelle stesse esistenze con il loro apparire formano uno spazio pubblico, un mondo, un cinema. È il doppio verso di quei film che sanno cercare la vita e che sono pronti a farsi trovare dalla vita stessa. Non ci sono tesi da dimostrare, non ci sono testimonianze a supporto. Solo incroci, imprevisti, tracce da seguire o abbandonare, sentieri nei quali entrare o uscire.
Boi neon e Mountain, per parte loro, raccontano un’altra storia, un altro sentire la vita. Mostrano la frattura di uomini e donne che esistono non più in relazione agli altri, che non tendono più alla reciprocità dei rapporti.
Mascaro intercetta e rielabora in un film a soggetto, con un taglio talvolta documentario, un microcosmo popolato da mandriani che lavorano all’organizzazione di rodei. Non c’è alcuna tensione al collettivo anche se il gruppo protagonista del film vive insieme dando l’idea di una comune. Si tratta di condividere cose per necessità o per soddisfare bisogni fisici, dal lavarsi al fare sesso. Ognuno, senza neanche volerlo e rimpiangerlo, probabilmente, è rintanato nella propria esistenza, nel proprio desiderio, nel proprio sogno.
E se in Boi neon, comunque, si può ancora cogliere un’idea di vita che potrebbe condurre quei mandriani ad apparire in un quartiere simile a quello di Jackson Heights o alle piazze di Leningrado, la protagonista di Mountain (il Monte degli Ulivi a Gerusalemme) procede spedita verso la morte e non perché la sua casa sorga sul limite di un cimitero. Fuori dalla città, con un marito che la priva di ogni attenzione, con una famiglia della quale a stento si sente parte, incrocia di giorno un operaio che lavora al cimitero, e di notte papponi, prostitute e clienti che si ergono a unici rappresentati della vita. Troppo poco per risalire. Il giro sulle montagne russe è terminato. Il mondo non c’è più.


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