X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Episodio III

Pubblicato il 10 settembre 2015 da Mazzino Montinari


Episodio III

«Ci muoviamo su un terreno minato. Camminiamo sull’orlo dell’abisso. Dietro ogni angolo è in agguato l’imprevisto, l’inimmaginabile. Il futuro vive solo nella nostra fantasia. Non possiamo dare niente per certo: né fra un giorno, né fra un’ora, e nemmeno fra un minuto. Potrebbe finire tutto di colpo, nel modo che meno ci aspetteremmo».
«A volte alla fine dell’udienza vince la verità. Ma non sempre. E comunque non lo sappiamo quasi mai con certezza».
La prima frase è la nota di regia di Jerzy Skolimowski autore di 11 Minuti, la seconda è quella di Christian Vincent che con L’hermine ha forse realizzato uno dei migliori lavori tra quelli selezionati nel Concorso della Mostra. Note di regia che sono utili per porre un paio di domande.
Siamo liberi? E se anche lo fossimo, c’è un prezzo da pagare? O forse siamo un piccolo meccanismo che se si rompe non pregiudica il funzionamento della macchina ma solo quello nostro e di chi incidentalmente sta intorno?
A vedere 11 Minuti di Jerzy Skolimowski parrebbe di sì. C’è un prezzo da pagare e non siamo altro che uno dei pixel nel grande schermo del mondo. Ci muoviamo pensando con atto di superbia di essere soli al mondo (anche quando parcheggiamo in doppia fila!), fieri della nostra indipendenza, ma poi un’azione lontana dalle nostre intenzioni provoca una reazione vicina alla nostra realtà. E allora, altro che solitudine.
Il caos ordinato e dettagliato di Skolimowski è quanto di più vicino alla visione di un dio dispettoso che se la ride della nostra piccolezza, del nostro futile impegno a vivere, continuamente frustrato dal classico vaso che cade dal terzo piano proprio mentre noi camminiamo con l’aria di chi sa esattamente dove sta andando. E il regista osserva e ricostruisce, permettendosi di montare pezzi di storie umane quasi fossero tasselli di un puzzle: la contingenza da un lato, la visione d’insieme dall’altro; le micro realtà individuali che assomigliano a cellule impazzite e la ricomposizione di queste miriadi di storie in un quadro unico. Metafisica, e a buon mercato, un po’ come quella di Laurie Anderson che attraverso il suo fantomatico cane naviga tra l’al di qua e l’al di là dell’uomo e del mondo, aiutandosi con qualche citazione di Søren Kierkegaard e Ludwig Wittgenstein prese dal sempre verde Bignami della filosofia.
Se Skolimowski sembra divertito e rapito dal delirio di onnipotenza con il suo sguardo dall’alto che trasforma l’agire presente in un passato immediatamente archiviato nel database universale del già esistito da sempre, su un versante opposto sta Vincent con il suo L’hermine. In questo film vi troviamo una visione più aderente alla nostra realtà di individui esposti all’incedere di un accadere che possiede dei motivi definiti nelle nostre scelte e che contiene in sé, però, degli esiti imprevedibili perché, appunto, anche quando non ce ne accorgiamo, siamo sempre insieme agli altri e aperti all’infinitamente possibile.
Con tocco leggero, ma non per questo semplice e superficiale, è sublime l’accostamento tra il mondo della giustizia e quello dell’amore. Due pianeti che sembrano compiere orbite distinte e distanti. E invece la sentenza di un processo è simile a quel sentiero che si percorre quando innamorati ci esponiamo all’altra/o. Non la verità ma il senso dell’esistere siamo tenuti a risalire, e tante volte si tratta di uno sforzo che ci troviamo a sostenere controcorrente. I giurati come gli innamorati devono cogliere alcune sfumature e accettare l’idea di poter convivere con l’errore, con la verità incerta. Ma errare, in ogni caso, non significa subire il castigo divino. E per un attimo, ma proprio breve, torna alla mente Looking for Grace di Sue Brooks e l’idea punitiva che se scappi e fai sesso con uno sconosciuto o provi a soddisfare una curiosità con la bella collega di lavoro, arriverà un tir a donarti il senso di colpa per il resto dei tuoi giorni!
Nel nostro esistere non siamo affatto dei sovrani. Siamo liberi senza condizioni e dunque fragilmente esposti alla contingenza, al vaso in testa e al sorriso di un amante che ha appena indossato il vestito che desideravamo mettesse. Traiettorie della vita.
Ad ogni modo un consiglio: state alla larga da uomini con un estintore in mano.


Enregistrer au format PDF