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Fantasticherie di un passeggiatore solitario - Conferenza stampa

Pubblicato il 17 novembre 2015 da Stefano Colagiovanni


Fantasticherie di un passeggiatore solitario - Conferenza stampa

Siamo alla Casa del Cinema, nel bel mezzo di un venerdì mattina soleggiato e dopo la visione del film Fantasticherie di un passeggiatore solitario (che uscirà nelle sale dal 26 novembre, per un totale di dodici copie distribuite), segue la conferenza stampa nella quale partecipa quasi tutto il cast al completo: il poco più che trentenne ed esordiente regista Paolo Gaudio e gli attori Luca Lionello, Lorenzo Monaco, Angelique Cavallari e Fabrizio Ferracane. Sembrano tutti un pò emozionati, ma il desiderio di presentare una pellicola fantasy realizzata per metà in stop motion stuzzica l’interesse dei presenti. E Paolo Gaudio è un vulcano di idee e rimandi cinematografici!

Come nasce questo film? Perchè è apprezzabile che in un mercato come quello italiano si riesca a portare a compimento un’opera così particolare...

Paolo Gaudio: Il film nasce dalla grande passione per gli effetti speciali e per l’animazione. Sono cresciuto con il mito di Ray Harryhausen e Stan Winston, quindi ero convinto che la mia strada dovesse essere proprio quella degli effetti speciali. In realtà, ben presto ho incontrato registi come Tim Burton, Terry Gilliam, Joe Dante, esponenti di quella Hollywood che lavora sulla fantasia e l’avventura. Così mi sono convinto che anche io avrei potuto fare il regista. Ho sempre lavorato sul fantastico e l’animazione. Così dopo aver lavorato a un corto, rivelatosi poi un enorme fiasco, senza riuscire a raggiungere i dodici minuti di durata, mi sono detto che avrei potuto provare a raggiungerne novanta! Ho chiesto aiuto a Leonardo Cruciano, perchè ho frequentato il suo workshop e dato che studiavo a Cinecittà, ho avuto l’opportunità di conoscerlo meglio e gli ho chiesto consigli su molti aspetti del film. Inizialmente era tutto meraviglioso, poi la situazione si è fatta più complessa...quasi un viaggio allucinante!

Un film così particolare, oltre a essere un singolare biglietto da visita per un regista italiano giovane ed esordiente, rappresenta un palcoscenico diverso e intrigante anche per gli attori che vi prendono parte. Quali sono state le vostre impressioni?

Lorenzo Monaco: Per me è stata un’esperienza fantastica. Io e Paolo ci conosciamo da molto tempo e questo genere mi appassiona da sempre. La recitazione in film come questo è abbastanza complessa, perchè bisogna entrare prima nella mente del regista e poi bisogna dar corpo a un personaggio fantastico e questa è una sfida stupenda, perchè non ti poni dei limiti e qui conta molto l’immaginazione stessa dell’attore. Theo è un personaggio bello e duro e mi sono dovuto allontanare un bel pò dal mio vero io.

Luca Lionello: Paolo è un regista straordinariamente dotato, anche un pò bizzarro, divertente e interessante. Questa sua opera prima non andrebbe nemmeno intesa come tale, perchè traspare già una certa esperienza e una lucidità nel progetto che molti altri registi, dopo svariati film, ancora non acquisiscono.

Angelique Cavallari: Per me è stata un’esperienza unica, perchè il mio personaggio (la moglie dello scrittore Renou) oscilla tra il reale e una dimensione fantastica. Paolo è riuscito a trasmettere un’aura nostalgica, quasi mistica senza troppe parole.

Fabrizio Ferracane: Per quanto mi riguarda, ho ritenuto buona cosa il passaggio da realtà professionali diverse. Ho vissutto giornate piacevolissime sul set e mi ha fatto piacere apprendere cose del tutto nuove per me, essendo ignorante in materia per quanto riguarda questo tipo di film. Sono rimasto a bocca aperta, ero come un bambino al luna park.

Tra tutti gli altri esponenti e professionisti degli effetti speciali, a chi ti ispiri maggiormente?

P.G.: Tra tutti quelli che frequentato, Swag Meyer è uno di quelli a cui mi ispiro molto, sia in merito al periodo dei cortometraggio, che a quello dei film in stop motion. Quello che apprezzo di Swag Meyer e che mi piace ritrovare nei miei film è la fantasia sfrenata, che non si pone limiti di contenuti: si può affrontare la morte, il senso di colpa, il fallimento, la perdità dell’umanità, il mostruoso con la stessa leggerezza con la quale si sorride, si fantastica. Quello che ci separa è l’attitudine, perchè la mia è legata maggiormente al mondo pop. Tuttavia, se dovessi rivelare qual è l’animatore che preferisco in assoluto, dico Phil Tippet: tutto il suo lavoro mi ha estremamente condizionato, da Star Wars, a Robocop, ad Atto di forza...sono tutti piccoli gioielli.

Parliamo del comparto tecnico che contraddistingue Fantasticherie di un passeggiatore solitario...

P.G.: Innanzitutto va detto che il Passo Uno (lo stop-motion) è utilizzato in maniera trasversale, così in ogni sua incarnazione: abbiamo sfruttato la carta, così come altri materiali semplici, passando poi a lavorare sui pupazzi animati per poter riuscire a tenere insieme tutti gli elementi a mia disposizione, per risaltare gli istinti bambineschi con quel sentimento opprimente che caratterizza il personaggio di Theo. L’importante per me è riuscire a utilizzare la stop-motion per esaltare quel senso di realtà che pervade un personaggio-fantoccio animato, proprio come se fosse vivo.

Perchè questo finale un pò tronco?

P.G.: Il finale è oggettivamente incompiuto, poichè tutta la pellicola è basata sul concetto di incompiutezza. L’intera struttura del film è pensata così, perchè ogni punto d’arrivo è, in realtà, un nuovo putno dal quale ripartire.

Sta per uscire il nuovo film della saga di Star Wars. Cosa ti aspetti dal comparto tecnico-digitale di un film di tale portata e cosa pensi riguardo alla presenza sempre meno vistosa dell’artigianato concepito un pò come vecchia scuola?

P.G.: Mi aspetto molte cose stupefacenti. Da quel poco che ho visto, mi è parso che J.J. Abrams si sia ricordato della trilogia classica di Star Wars o, per lo meno, abbia voluto omaggiarla. E’ chiaro che mancherà l’anima di Jim Henson o il modo di lavorare di Frank Oz con il suo Yoda, molto pupazzesco e meno computerizzato. Però va considerato che questo primo capitolo della terza trilogia è rivolto maggiormente ai nativi digitali, che pretendono un Millennium Falcon cha vada al massimo, non a quello vecchio su cui ha lavorato Tippet, seppure sia un modellino straordinario.

Considerati i rimandi a favole classiche come Alice nel paese delle meraviglie e Pinocchio, o all’inserimento citazionista della figura di Franz Kafka, nel film il protagonista assoluto è il libro (l’ultimo) che Jean-Jacques Rousseau scrisse prima di morire (Le fantasticherie di un passeggiatore solitario). Qual’è il rapporto tra il libro di Rousseau e quello presente nel film?

P.G.: Io sono laureato in filosofia e con alcuni colleghi all’università avevo questa passione per i libri incompiuti, perchè ci soffermavamo sul fatto che il libero arbitrio in ambito creativo non esiste, perchè è la vita stessa che ti concede il tempo di fare una cosa, o te lo toglie. Nel film vengono citati anche Nietzsche, Flaubert, Dostoevskij, tutti autori di libri incompiuti. "Le fantasticherie" di Rousseau è un libro sul quale mi sono soffermato parecchio in passato, perchè era un’opera che non mi piaceva, la detestavo, trovandolo il punto più basso della sua carriera. Inoltre uno degli aspetti che più mi incuriosiva era proprio la figura del passeggero solitario che, in ambito filosofico, ritorna spesso e ricopre un ruolo fondamentale: dietro la passeggiata c’è la riflessione e dietro la riflessione non c’è l’approdo, ma il viaggio, il partire insieme con questi personaggi, restare lì con loro.

Come capita spesso per i film fantasy, Fantasticherie di un passeggiatore solitario può avere mercato un pò ovunque. Come si proseptta la distribuzione e quanto è stato difficile per te realizzare un’opera del genere in Italia?

P.G.: Per quanto riguarda la scelta di realizzare il film in Italia, è dovuta a una questione anagrafica, essendo nato in Italia. Il film volevo realizzarlo a tutti i costi, essendo la mia passione lavorare con questo genere, avendone divorate di opere così da bambino. Mi verrebbe difficile lavorare su un altro genere, così come è difficile convincere chi di dovere che film così si possono realizzare, anche in Italia. Questo aspetto nel corso degli ultimi anni mi ha fatto soffrire di più, per colpa di un pregiudizio diffuso, nonostante un autore del calibro di Matteo Garrone abbia illuminato la scena con Il racconto dei racconti. E’ un peccato, perchè secondo me c’è tanto spazio per chi volesse approcciarsi con film di fantasia. E’ chiaro che non si possono raggiungere i livelli degli autori hollywoodiani per tutta una serie di motivi, ma nessuno ci vieta di correre il rischio. Manca un pò di coraggio in questo ambiente...

In merito al montaggio un pò frenetico e dinamico, quanto era stato già prestabilito in sceneggiatura e quanto è stato deciso successivamente?

P.G.: In verità era già tutto scritto. La sceneggiatura è stata scritta in maniera decostruita, incastrata così come appare sullo schermo. Ringrazio molto Massimiliano Cecchini che, non frequentando il set e non affezionandosi a ciò che giriamo, effettua delle scelte e dei tagli di cui io non sarei mai capace. Quindi alcune delle idee di incastro sono venute successivamente.


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