X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Festa del cinema di Roma 2007 - In viaggio con Patrizia - Extra

Pubblicato il 20 ottobre 2007 da Alessandro Izzi


Festa del cinema di Roma 2007 - In viaggio con Patrizia - Extra

Al tempo in cui non c’era la pellicola esisteva “un pensiero nascosto nella testa di ogni cinematografaro pronto a scattare sempre come un incubo ossessivo al momento delle riprese: quando si preme il bottone del motore che fa girare la pellicola, volano via dei biglietti da centomila lire e ci si chiede se quello che si sta filmando vale quei soldi che vengono spesi (…) Questo meccanismo mentale è quello che fa accettare il fatto che l’economia costringa la vita che viene filmata in una dimensione che è appunto quella consentita dal denaro” [3] Così parlava Alberto Grifi nel 2000, nel pieno di quella che, forse erroneamente, viene considerata la rivoluzione del digitale. E non possono non tornare alla nostra mente le frasi non meno pregnanti di Stan Brakhage che ha sempre fatto dell’amatorialità delle riprese, della libertà dai limiti imposti dalla produzione un vessillo autoriale il cui impatto sulla storia del cinema è ancora lungi dall’essere debitamente calcolato.
Grifi, e lo dimostra anche questo breve (appena cinquanta minuti) film postumo presentato nella sezione Extra della seconda edizione della Festa del Cinema di Roma, ha sempre combattuto per un ideale di film che fosse immune da questo terribile ricatto del denaro. Perché, e sarebbe sciocco cercare di negarlo, è l’economia a dettare le leggi della grammatica del film così come noi la conosciamo e la studiamo nelle università. Checché se ne dica sono le contingenze produttive, in ultimo, a dettare sempre le regole dell’estetica. Giammai viceversa.
Costruire un cinema che sia libero dal ricatto dell’industria significa, quindi, sottomettersi ad un vero e proprio voto di castità assoluta. Significa accettare di doversi accontentare, per realizzare la propria opera, degli scarti di pellicola avariata che le grosse produzioni considerano ormai inutilizzabili, significa legarsi a doppio filo con i tapes e le cassette dei sistemi di registrazione analogici che non costano niente e permettono al regista di diventare senza troppi problemi il produttore di se stesso oppure, in ultimo, significa lavorare con l’estrema leggerezza dei dvd e dei computers che portano il livello di manipolabilità dell’immagine a livelli inauditi fino a pochissimo tempo fa.
Liberati dall’incubo del denaro gli autori possono così finalmente esperire il proprio specifico linguaggio ed operare le proprie scelte estetiche in assoluta incontrovertibile libertà. In viaggio con Patrizia è un esempio lampante di questa estetica che libera il linguaggio cinematografico dall’obbligo di dover rappresentare una storia e di dover “dire” per forza un qualcosa che sia abbastanza semplice da essere comprensibile per tutti.
È un film criptico, quello di cui stiamo parlando. Estremo nella libertà con cui coniuga tutti gli infiniti possibili linguaggi dell’audiovisivo. Fa proprie le regole del filmato domestico, familiare con tutto l’ingombro che gli deriva dall’affrontare un tema personale ed intimamente sentito (la magnificazione, in questo senso, dell’autobiografia tradizionale). Si addentra nelle possibilità di sperimentazione tipica di certo cinema (o video) di poesia definitivamente svincolato da ogni logica narrativa ed immerso in una dinamica assolutamente musicale in cui a contare sono le associazioni di idee (a livello di immagini) e di suoni (abbondanza, in colonna sonora, di parole onomatopeiche, di frasi ripetute soggette a minime variazioni più di suono che di concetto, la superba musica improvvisata da Paolo Fresu e così via). Punta, infine, sulle strutture di un vero e proprio road movie perché (e ce lo diceva già il titolo) ad essere raccontato è appunto un viaggio, uno spostamento nel tempo prima ancora che nello spazio visto che a cambiare non sono solo gli scenari che scorrono da finestrini di automobili d’epoca, ma anche le visioni dell’animo.
Il linguaggio del film è di una fluidità sorprendente tale da accomunare l’esperienza della visione a quella del sogno puro e semplice. Un’opera incompiuta, quella di cui stiamo parlando, resa difficile per lo stesso autore che ci ha lavorato per anni (il completamento del lavoro è postumo sulla base di indicazioni comunque molto precise lasciate dal regista) non tanto dall’estrema libertà di un linguaggio che si addentra, come sempre in Grifi, in territori del tutto sconosciuti, quanto piuttosto dalla carica autobiografica che sottende il tutto. Un percorso la cui libertà è resa possibile proprio dal costo zero (o quasi) del materiale impiegato per le riprese e in cui il reale non si misura sulla falsariga dell’economia trasformandosi in merce. Assume allora un ulteriore motivo di interesse il fatto che questo film sia stato messo in programma da Sesti insieme al breve documentario conversazione di Tornatore su Freda che è, all’opposto, il rappresentante più illustre di un regista completamente legato alla dinamica del potere dei soldi (amava dire di sè si essere il più pagato tra i cinematografari italiani). Parte di un’industria, Freda ha sempre lavorato per sostenere, coi suoi trucchi economici, quell’industria del potere contro cui Grifi si è opposto strenuamente fino a poco tempo fa.


CAST & CREDITS

(In viaggio con Patrizia); Regia: Alberto Grifi; musica: Paolo Fresu; origine: Italia 1965/2007; durata: 50’


Enregistrer au format PDF