Fuocoammare (Concorso)
Un film «politico a prescindere» l’ha definito Gianfranco Rosi nel corso della conferenza stampa che è seguita alla prima proiezione del festival berlinese. E subito ha specificato il senso di tale definizione: non un film che voglia lanciare messaggi, sposare tesi o incitare alla mobilitazione per qualcosa. Fuocoammare si propone come «testimonianza di una tragedia che sta accadendo davanti ai nostri occhi, forse dopo l’Olocausto la più grave tragedia del dopoguerra, davanti alla quale il mondo politico internazionale dovrebbe assumersi le proprie responsabilità». Lo statement del regista non poteva essere più chiaro, e ci voleva il suo film – unico italiano in concorso quest’anno – perché si materializzassero sugli schermi della Berlinale le immagini dei “rifugiati”, questione divenuta cruciale negli ultimi mesi per la società tedesca ed europea, ripetutamente evocata nei primi giorni della kermesse cinematografica tedesca (dal direttore artistico Kosslick, dalla presidente della giuria Meryl Streep e perfino da George Clooney nel suo incontro con la cancelliera Angela).
Dopo il successo inaspettato e clamoroso di Sacro GRA (Leone d’oro a Venezia nel 2013), Rosi propone un raffinato e intenso documentario dedicato a Lampedusa, alla sua gente e all’angoscioso problema dei rifugiati che da due decenni tormenta la vita dell’isola. La pellicola ha richiesto un meticoloso lavoro di preparazione, con sopraluoghi, incontri e approfondimenti d’ogni tipo. Originariamente Rosi aveva progettato di girare un cortometraggio, ma la permanenza di oltre un anno sull’isola, l’intensità delle esperienze vissute sul «confine più simbolico d’Europa», e la mole del materiale girato, l’hanno convinto a produrre un film di più ampio respiro. La tecnica è quella solita di Rosi, che mescola documentazione pura e fiction così da coinvolgere lo spettatore portandolo con garbo e leggerezza dentro il cuore della tragedia.
La narrazione è articolata su due diversi piani che tendenzialmente restano separati. Da un lato c’è il mondo dei lampedusani con la loro normale vita quotidiana fatta di pesca e di lavoro, di donne anziane che cucinano e puliscono, di radio locali che dedicano canzonette. Dall’altro c’è la vicenda di chi sull’isola ci arriva per scappare da guerre e devastazioni, spesso incontrando la morte (400 mila sono le persone sbarcate negli ultimi vent’anni e almeno 20 mila i deceduti). L’orrore dei barconi alla deriva e dei corpi abbandonati in mare è sostanzialmente risparmiato allo spettatore, chiamato piuttosto a riflettere sulla difficile e costante attività di accoglienza messa in atto dalle forze dell’ordine e dagli abitanti di Lampedusa. Rosi prende le distanze dall’immaginario consueto dell’isola, quello raccapricciante veicolato dai telegiornali. Ci sono naturalmente i corpi denutriti e disidratati di chi viene portato in salvo dopo ore trascorse nella stiva di un barcone, ma ci sono anche e soprattutto la allegre partite di calcio nel Centro d’accoglienza, e la gioia del dottore che diagnostica due gemelli alla donna africana da poco sbarcata in Italia.
Il punto di vista adottato dal regista è quello di un bambino, Samuele, dodicenne vivace e curioso che a Lampedusa trascorre un’esistenza apparentemente normale e tranquilla: va a scuola, studia l’inglese, si accanisce in guerre a colpi di fionda contro nemici invisibili. Il padre pescatore e la nonna lo proteggono dal contatto potenzialmente traumatizzante con la tragedia dei profughi, alimentando piuttosto le reminiscenze del passato (le durezze del dopoguerra). Ma qualcosa inevitabilmente filtra nel ragazzo, e il disagio dell’isola si manifesta in piccoli disturbi somatici. Ce n’è uno che assume valenze sul piano simbolico. L’oculista diagnostica a Samuele un deficit di acutezza visiva a un occhio, il cosiddetto “occhio pigro”. Si tratta semplicemente di un occhio che si è disabituato all’uso e che va forzato perché torni pian piano alla piena funzionalità. Nessun’altra metafora poteva essere più azzeccata di quella dell’occhio “pigro”. Samuele – e con lui tutti noi spettatori disattenti e disorientati – dobbiamo imparare a guardare la realtà con uno sguardo nuovo superando l’inerzia e l’apatia dei nostri occhi e delle nostre menti.
(Fuocoammare); Regia e sceneggiatura: Gianfranco Rosi; fotografia: Gianfranco Rosi; montaggio: Jacopo Quadri; musica: Stefano Grosso; interpreti: Samuele Pucillo, Mattias Cucina, Samuele Caruana, Pietro Bartolo, Giuseppe Fragapane, Maria Signorello, Francesco Paterna, Francesco Mannino; produzione: Stemal Entertainment (Roma), 21uno Film (Roma), Rai Cinema (Roma), Les Films d’Ici (Paris), Arte France Cinéma (Paris); distribuzione: Doc & Film International (Paris) origine: Italia, 2015; durata: 107’