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GEORGE LUCAS, L’ULTIMO DEI SITH

Pubblicato il 27 maggio 2005 da Riccardo Protani


GEORGE LUCAS, L'ULTIMO DEI SITH

Potendolo fare, i modi per valutare adeguatamente Episode III arriverebbero addirittura a tre: Revenge of the Sith considerato per il valore intrinseco, come film a se stante; o, anche, come tassello finale (?) di una Trilogia recente e lontana nel tempo e nello spazio dallo stesso universo che Lucas ha creato quasi tre decenni fa; oppure proprio in rapporto alla Trilogia classica. Qualsivoglia guisa scelta (e perché no tutte e tre insieme?), rappresenterebbe comunque il metro più adatto per misurare quanta distanza separa il cinema, il mondo e il mito di ieri da quelli di oggi. Vedere la nascita di Darth Vader a quasi trenta anni dal suo debutto sugli schermi è davvero di un effetto dirompente, ma se alla fine degli anni ‘70 George Lucas fosse stato messo alle strette nel dover fornire le origini di tutto il suo universo, difficilmente avrebbe concepito le sue avventure a partire da una crisi galattica cominciata per colpa di dazi doganali. Episode III apre comunque ulteriori ed inaspettate vie sulla strada di una nuova genealogia di personaggi, tutti figli legittimi del nuovo millennio (con relativi spettatori, ovvio): Lucas ha praticamente cambiato tutto per non cambiare nulla e in tre film ha preferito far vedere una nuova/vecchia generazione di cavalieri concepita apposta per una giovanissima generazione di nuovissimi appassionati. Eppure anche chi c’era trenta anni fa rivede le stesse sequenze spettacolari di combattimenti, androidi e pianeti lontani, solo moltiplicate nei punti di vista e nelle possibilità espressive offerte dai più recenti softwares per gli effetti speciali digitali. Che questo possa piacere ed intrigare assai è indubbio. E infatti sia neofiti che fedelissimi in questo senso potrebbero forse solo obiettare che, per vicende vissute quasi mezzo secolo prima dei “classici” Luke e Leia, siano stati concepiti combattimenti, astronavi e avventure più “moderne” rispetto a quelle de L’Impero o Il Ritorno dello Jedi. E’ l’elemento narrativo ad aver spiazzato, in realtà. Se per la prima Trilogia le battute di uno sceneggiatore come Lawrence Kasdan avevano reso credibili personaggi come Jabba o gli Ewoks, Lucas dal 1999 ha dimostrato che a voler fare tutto da solo non solamente arranca, ma in alcuni punti stanca addirittura. D’altronde Mastro George è sempre stato molto più portato ad immaginare vicende e ad improvvisare nuovi modi di filmare, piuttosto che valorizzare con dialoghi e raccordi ad effetto situazioni davvero epocali come la morte di una Repubblica e la nascita di un Impero. E in questo senso nemmeno Revenge of the Sith si salva. Lucas è stato meno logorroico, è vero, rispetto a Episode I e II, ed è stato geniale nel concepire come pegno d’amore verso moglie e figli il passaggio al Lato Oscuro di Anakin Skywalker. Eppure tra Jedi dallo psicologo (sempre Anakin a colloquio con Yoda), esami del sangue per verificare le qualità latenti di un potenziale Cavaliere (i famigerati midiklorian...) e Jedi concepiti quasi come agenti speciali di una Repubblica in decadenza, l’impressione che soprattutto i vecchi fans ricavano è che ogni nuovo/vecchio personaggio sia stato “segnato” dall’inizio da un destino che più che dal punto di vista “esistenziale” è stato vincolante da quello narrativo. Un destino cioè, che essendo stato sbozzato già nel 1977 era ormai divenuto troppo palese per permettere scarti di profondità ulteriori. E forse di questo anche Lucas in persona se ne è reso conto. In fondo, lui voleva solo spiegare cosa e come è avvenuto il Tutto prima della Morte Nera. E lo ha fatto impiegando sei anni e tre film, inventando storie di dazi doganali, interminabili sequenze di consulte senatoriali, voti e amori sottobanco per impedire “conflitti d’interesse” tra politica (principesse) e vita privata (Jedi). Ai tempi de Il Settimo Sigillo Bergman in un film solo aveva reso più appassionante una partita a scacchi, ma tant’è. In Episode III l’elemento rivoluzionario vero è comunque il messaggio politico di Lucas: quelle sequenze così adulte in cui il collage tematico di pianeti, colori e scene di battaglia paiono trasposizioni del pensiero-Lucas su Desert Storm e Vietnam (nelle foreste del pianeta di Chewbacca come nei deserti di Tatooine). Insomma, un’iperbole parossistica di perizia tecnica - Lucas è questo, d’altronde - in cui rimandi storici e tematici con la storia recente americana (che è storia bellica ma anche storia del cinema e della propria Trilogia classica) si fondono e si confondono: il Lucas che rifà Coppola (il montaggio parallelo stile Il Padrino nello scempio finale di Anakin e la nascita dei suoi figli) è da applaudire, il Lucas politico che attraverso Amidala afferma che “E’ tra gli applausi che muore la libertà” fa riflettere. Perché trenta anni fa, e dopo il sempre suo THX 1138, rimandi così contemporanei mai li avrebbe concepiti e mai sarebbero stati così necessari. E allora, riflettendo per davvero su Episode III, viene da domandarsi se in realtà ad essere cambiati in tre decenni non siano stati il mondo, Lucas e noi con lui, invece che Star Wars. In fondo Anakin diviene cattivo per Amore, Amidala muore per Amore e lo stesso Impero nasce per Amore. Quasi che il concetto di Amore fosse divenuto qui ciò che la Forza ha rappresentato per la prima Trilogia. O forse si è trattato sempre della stessa immutabile e perenne energia, con George Lucas e noi con lui ad accorgercene perduti e sognanti soltanto adesso...

[Maggio 2005]


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