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I nuovi Orizzonti della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

Pubblicato il 13 settembre 2010 da Salvatore Salviano Miceli


I nuovi Orizzonti della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

Il cinema è anche industria. È questa una realtà innegabile sin dalla nascita del mezzo. Spesso la grandezza di un film è fatta dalla capacità di coniugare esigenze economiche e produttive con le tensioni artistiche di ogni singolo autore. Capita piuttosto di frequente, quindi, che, durante i Festival cinematografici più importanti, le opere di maggior interesse e pregio gravitino in sezioni parallele a quella, certamente più riconosciuta, dedicata alla competizione ufficiale tout court.
Orizzonti nasce, all’interno del programma della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nel 2004 ritagliandosi immediatamente uno spazio da dedicare a circuiti lontani dal mainstream, a pellicole cioè più aperte alle contaminazioni ed alle sperimentazioni. Nella edizione appena conclusa si è inaugurato una nuova via ancora più smaccatamente rivolta (ed usiamo le stesse parole dei curatori) a rappresentare e testimoniare le “nuove tendenze” del cinema contemporaneo. Il punto di forza della rinnovata sezione sta, probabilmente, proprio nella libertà di formati, di poetiche, di direzioni e di sguardi.
Medio e lungometraggi, documentari o film di finzione, comunque la ricerca è stata mirata a scovare le mutazioni ed i “naturali” sconvolgimenti del linguaggio cinematografico specie quando a contatto con le arti visive. Il programma ha assunto così una eterogeneità, figlia delle scelte dei selezionatori, in grado di diventare una riflessione sul valore e sul senso dell’immagine.
Da bravi italiani noi ricordiamo El Sicario – Room 164, documentario sulla vita di un killer messicano giunto alla “rivelazione religiosa”, a firma di Gianfranco Rosi, vincitore nel 2008 proprio di Orizzonti con il bel doc Below Sea Level, e Malavoglia, rilettura in ottica contemporanea del romanzo di Verga ad opera di Pasquale Scimeca, nuovamente al lavoro sulle pagine dello scrittore siciliano dopo Rosso Malpelo.
Il premio principale se lo è aggiudicato il messicano Nicolás Pereda con Verano de goliat, dramma intimo e familiare in cui la morte di un personaggio scatena, tra incontri casuali e derive spirituali e mentali, un viaggio pellegrino tra dolore e perdita. Anche in questo caso difficile riuscire a scomodare definizioni di genere e trovare una linea di confine netta tra finzione e realtà. Premiati anche The Forgotten Space (Premio speciale della giuria), di Noël Burch e Allan Sekula, doc sul trasporto marittimo e sui disastri ad essi legati, Coming Attractions (Cortometraggio) di Peter Tscherkassky, in cui si toccano, sino ad assomigliarsi, cinema d’avanguardia e cinema delle origini, Tse (Mediometraggio) di Roee Rosen, dove la violenza fisica esorcizza quella ideologica, e Jean Gentil (Menzione speciale) di Israel Cardenas e Amelia Laura Guzman, piccolo ritratto di incomunicabilità e solitudine.
In una edizione della Mostra che ha messo in luce una qualità mediamente buona dei film presenti in programma, con un Leone d’Oro tanto inaspettato quanto, probabilmente, un po’ frettoloso, le “pellicole” che hanno animato “Orizzonti” hanno avuto il pregio, chi più chi meno (in alcuni casi è giusto ricordare come fin troppo spinta fosse la deriva verso un cinema che perdeva le proprie caratteristiche), di consegnare a chi osservava in sala un sapore differente. Interrogativi piuttosto che rassicuranti certezze. È questo non è mai banale.


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