X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Venezia 67 - The nine muses - Orizzonti

Pubblicato il 13 settembre 2010 da Giovanna Branca


Venezia 67 - The nine muses - Orizzonti

Le nove muse nacquero dall’unione di Zeus con Mnemosine, la dea della memoria. L’assunto di partenza del film-esperimento visivo di John Akomfrah – The Nine Muses – è proprio che l’arte è memoria. L’opera esplora tutte le nove arti ispirate dalle nove muse della tradizione mitologica. Epica, storia, musica, poesia lirica, tragedia, poesia corale, danza, commedia e astronomia.
In questa esplorazione il filo conduttore è costituito da un uomo vestito di giallo (di cui non vediamo mai il volto) che attraversa dei meravigliosi paesaggi innevati. Alle sue immagini si alternano vari filmati di repertorio, che coprono un lasso di tempo che va dagli anni Quaranta ai Settanta e che costituiscono l’essenza vera e propria del lavoro di Akomfrah, da anni membro del British Film Institute. Attraverso le immagini d’archivio il regista ghanese mira a costruire una sorta di vero e proprio poema epico sulla memoria, in particolare quella legata alla condizione dei neri in Inghilterra e negli Stati Uniti. Lo stesso Akomfrah parla di un’ispirazione “proustiana” che dà al film un taglio di libera associazione mentale, visiva e sonora, scandita da citazioni letterarie: dalla Divina Commedia all’Odissea, passando per opere di Joyce, Beckett, Milton, Elliot, Shakespeare e così via. L’Odissea è tuttavia la vera “musa” ispiratrice di questo film tutto incentrato su un viaggio alla ricerca delle proprie radici (africane) e di una patria verso cui si è spinti dallo stesso nostos alla base del girovagare interminabile di Ulisse.
L’opera tocca vertici di grande lirismo, specie in alcune trovate visive veramente notevoli: come quando crea un effetto di eco tra le montagne innevate con la canzone “Motherless Child”, uno spiritual tradizionale afroamericano. Da una parte – dunque – la memoria, veicolata da un passato reso attraverso le immagini d’archivio altrimenti fagocitate dall’oblio, lo stesso che Ulisse fuggì nell’isola dei Lotofagi. Dall’altra gli sterminati spazi innevati, simbolo forse di un futuro su cui si inciderà la Storia e l’arte a venire. Ma perché questo avvenga la comunicazione tra presente e passato non deve mai essere interrotta, e in questo film prende la forma di un continuo rimando al passato generato da una “memoria aggressiva” ( il motore interno di La ricerca del tempo perduto) che genera una successione di visioni che traggono alimento dalle suggestioni sonore, letterarie e visive che si alternano sullo schermo.
Akomfrah ama molto la materia trattata, e questo risulta evidente da ogni singola inquadratura del film. Ma proprio questo amore è ciò che talvolta gli fa perdere le redini del discorso: The Nine Muses soffre di una natura un po’ troppo prolissa e talvolta si perde in associazioni alquanto cervellotiche che non rendono giustizia alla bellezza indiscutibile delle immagini. Se il regista avesse avuto il coraggio di fare qualche taglio alla sua monumentale opera di novanta minuti si sarebbe potuto parlare di una vera e propria perla nell’ambito delle sperimentazioni audiovisive.


CAST & CREDITS

(The Nine Muses) Regia: John Akomfrah; fotografia: : Dewald Aukema; montaggio: Mikka Leskinen; musica : Trevor Mathison; interpreti: Trevor Mathison, David Lawson, John Akomfrah; produzione : Smoking Dogs Films; origine: Gran Bretagna-Ghana; durata: 90‘.


Enregistrer au format PDF