X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Il gioiellino - Conferenza stampa

Pubblicato il 1 marzo 2011 da Simone Isola


Il gioiellino - Conferenza stampa

Prende spunto dal crack Parmalat la nuova pellicola di Andrea Molaioli, Il Gioiellino, nelle sale dal 4 marzo. Presso il cinema Adriano di Roma si è svolta la conferenza stampa del film, alla presenza del regista, degli attori protagonisti Toni Servillo, Remo Girone e Sarah Felberbaum, dei produttori Francesca Cima e Nicola Giuliano, della sceneggiatrice Ludovica Rampoldi e di Paolo Del Brocco, Direttore Generale di Rai Cinema (coproduttrice del film).

Quando le è nata l’idea di girare un film sul caso Parmalat?

Andrea Molaioli: Ho iniziato ad interessarmi a questi temi durante le prime fasi dell’ultima crisi economica mondiale. Insieme agli sceneggiatori abbiamo studiato molti casi di crac finanziari e quello il caso Parmalat ci è sembrato esemplare di una filosofia di gestione aziendale non solo di stampo italiano, ma direi di tutto l’Occidente. A quel punto abbiamo solo dovuto trovare la chiave drammaturgica e, per questo, abbiamo deciso di puntare sui personaggi di questa vicenda, cercando di tralasciare la parte di semplice inchiesta giornalistica. Le banche, la finanza, sono il fulcro nevralgico di tutto, è banale dirlo ma è così. E sono l’aspetto ai nostri occhi meno tangibile della nostra società, meno direttamente criticabile, perché non sappiamo bene cosa accada in quelle stanze, quotidianamente. Altri poteri, che magari comunque fanno lo stesso ciò che vogliono, sono almeno in parte monitorabili.

Ludovica Rampoldi: Un tratto che ci sembrava interessante era l’assoluta contraddizione tra la missione, i valori aziendali e la condotta dei dirigenti della società. Ad esempio nel caso della Enron l’amministratore non mostrava ipocrisia nel dichiarare il denaro e il profitto come unico fine del suo lavoro, incitando tutti i sottoposti a pensare altrettanto, facendo graduatorie ed eliminando i dipendenti meno produttivi della lista. Dalle parti di Colecchio si proclamava quasi disprezzo per il denaro. Dice Rastelli, così come Tanzi: “Il denaro è una cosa che serve a rovinarne molte altre”. Ci siamo trovati di fronte a un’umanità scissa che valeva la pena raccontare. Persone sempre sull’orlo dell’abisso e sempre pronti a voltarsi dall’altra parte e sorridere.

Avete avuto qualche particolare fonte di ispirazione, ad esempio il cinema italiano degli anni Sessanta?

Andrea Molaioli: Non c’è stato un riferimento forte, anche se la nostra formazione risente anche di quel cinema. Un film che ci siamo rivisti, una sorta di santino personale, è stato Il caso Mattei di Rosi. C’è anche una piccola citazione del film che vi sfido a ritrovare…

Una domanda per gli attori: come si lavora su dei personaggi che hanno dei riferimenti nella realtà?

Remo Girone: Ci siamo trovati benissimo. I personaggi sono stati rielaborati dagli autori, e avere a disposizione la fonte creativa di un testo è la cosa migliore che nel cinema possa capitare ad un attore.

Toni Servillo: Sono d’accordo con Remo. Rispetto al suo personaggio il mio è ancora meno esposto alle cronache. Mi è capitato ultimamente di interpretarne alcuni molti noti al pubblico. In questo caso è venuto meno il confronto diretto con la realtà; l’intenzione di Molaioli era quella di farci conoscere questi personaggi in una sfera che esula dal racconto fatto dalle inchieste giornalistiche, mostrandoli nel quotidiano, nell’intimo, dove le loro coscienze montano le strategie finanziarie con tutte le conseguenze che il film racconta. Io sapevo davvero molto poco del personaggio di Tonna ma grazie agli sceneggiatori avevo comunque molto materiale; come nel caso de La ragazza del lago, la grazia di Andrea mi ha permesso di curare la creazione del personaggio quotidianamente, senza appiattirmi sulla cronaca.

Una domanda per Sarah Felberbaum: quali sono i reali motivi per cui il suo personaggio, quello di Laura Aliprandi, nipote di Rastelli, si concede a Ernesto Botta? Interesse, carriera?

Sarah Felberbaum: Dal mio punto di vista, il personaggio di Laura non si concede a Ernesto Botta per fare carriera. Credo di aver interpretato una donna che prova dei sentimenti sapendo però scindere le due cose, privato e lavoro. Credo che tra il mio personaggio e quello di Botta ci sia un’attrazione soprattutto mentale, che muore molto facilmente, nel momento che lei ha un altro obiettivo su cui concentrarsi.

E’ molto interessante la rappresentazione della religione in quanto finanza e in quanto elemento centrale della vita di questi manager/imprenditori.

Andrea Molaioli: L’elemento religioso era molto funzionale a rappresentare la facciata perbene di chi si dichiara portatore di certi valori. Valori che poi vengono contraddetti clamorosamente. Questo atteggiamento caratterizza molta imprenditoria e politica. E’ un atteggiamento che preserva dalle critiche successive, quando si viene colpi in fragrante e si dice, a mo’ di giustificazione: “Io rappresento comunque dei valori” oppure “Se fermate me, mettete in crisi tutto un sistema sociale e tanti posti di lavoro”. Si vuol dare l’immagine di anteporre l’interesse degli altri di fronte al proprio, cosa che poi regolarmente non avviene. In ciò il valore religioso diventa, anche dal punto di vista della comunicazione, un potente elemento di consenso.

Il ruolo della moglie di Rastelli e in generale delle donne nel film, tranne il caso di Laura, è decisamente subordinato a quello maschile.

Andrea Molaioli: Questo piccolo nucleo di imprenditori e manager non ha nei confronti della donna una grande considerazione, e credo che questa concezione sia diffusa anche in altri livelli e ambienti. Il ruolo della moglie è quello dell’angelo del focolare, non ha il potere di dire alcunché sulle vicende dell’azienda, intrattiene un ruolo secondario nel film.

Remo Girone: Rastelli è un uomo assolutamente fedele… E’ l’unica cosa che lo avvicina a me.

Perché avete creato un brand di fantasia e non usato il nome stesso della Parmalat? E perché non avete girato nei luoghi reali della vicenda da cui trae ispirazione Il gioiellino?

Francesca Cima: Sinceramente non abbiamo neanche tentato di rendere tutto così legato alla vicenda Parmalat. Abbiamo fatto dei sopralluoghi e alla fine abbiamo trovato una location in Piemonte, ad Acqui Terme, dove abbiamo girato praticamente tutto anche grazie all’intervento della Film Commission del Piemonte. Non ci sembrava necessario essere così immersi nella realtà. Nel film non si parla esattamente di Parmalat per una necessità di prudenza anche in confronto a dei processi che sono in corso, sia perché l’obiettivo era quello di prendere spunto da quella vicenda per raccontare altro. Non volevamo accanirci contro i protagonisti reali, ci interessava raccontare un fenomeno, una vicenda esemplare. Il caso Parmalat ci offriva da un lato un’aderenza ad alcune dinamiche della finanza che sono uguali in tutto il mondo, dall’altro alcune peculiarità estremamente interessanti. Ad esempio il fatto che una serie di persone che non vanno oltre diploma di ragioneria si ritrovano a gestire ingenti capitali, ad offrirsi al mercato e ad avvinghiare i risparmiatori che sono le principali vittime di questa vicenda.

Quanto le è pesato pronunciare la battuta “Comunisti di merda!”?

Toni Servillo: Non mi è pesato per nulla, è la battuta di un personaggio. Non ho avuto difficoltà, almeno nella circostanza (sorride).

Nel film non compare mai il mondo esterno, ad esempio i risparmiatori truffati dai bond e dalle azioni Parmalat.

Andrea Molaioli: Il nostro film si ferma un attimo prima che le conseguenze di ciò che raccontiamo diventino effettive, prima che la crisi si manifesti in tutta la sua potenza. Quello è un aspetto tristemente molto noto, il film ha scelto come punto di vista quello di rimanere all’interno del contesto strettamente aziendale. I risparmiatori nel nostro racconto sono fuori da quelle stanze e in quelle stanze di fatto non ci sono mai entrati.

Un episodio curioso del film è quello nel quale Rastelli/Tanzi si reca dal Presidente del Consiglio per chiedere soldi e si ritrova a vendere un suo calciatore…

Ludovica Rampoldi: Alcune fonti ci hanno raccontato di questo incontro tra Tanzi e Berlusconi. Tanzi chiaramente era andato a batter cassa, e Berlusconi si era ritrovato a parlare di calcio intavolando una trattativa per l’acquisto di Gilardino, che però non avvenne in quel momento, ma qualche mese dopo. Era buffo che un personaggio che va a chiedere denaro si ritrovi persino scippato del suo miglior giocatore, del suo gioiellino.

Al di là dell’episodio ci sono altri riferimenti al calcio e al figlio di Rastrelli, mostrato come un giovane dedito alla bella vita ma che alla fine non sa nemmeno chiamarsi un taxi.

Andrea Molaioli: L’elemento del calcio fa parte della nostra quotidianità e spesso e volentieri è utilizzato dagli imprenditori come biglietto da visita, visto che si dice che con il calcio non ci si guadagna. I riferimenti a Tanzi, al figlio e alla gestione della squadra sono elementi che non abbiamo voluto rappresentare sino in fondo. La figura del figlio è emblematica di una seconda generazione di imprenditori che stancamente segue le orme paterne senza nemmeno grande considerazione da parte di chi ha creato un struttura e non vuole abbandonarla per nessuna ragione al mondo, perché è diventata la ragione stessa della propria esistenza.


Enregistrer au format PDF