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Il nome del figlio (Conferenza stampa)

Pubblicato il 20 gennaio 2015 da Antonio Napolitano


Il nome del figlio (Conferenza stampa)

Roma, Cinema Quattro Fontane, 16 gennaio 2014. Da Alessandro Gassmann a Valeria Golino, da Rocco Papaleo a Luigi Lo Cascio, da Micaela Ramazzotti al Premio Strega Francesco Piccolo (in veste di sceneggiatore del film), c’è il cast al gran completo alla presentazione de Il nome del figlio, remake della pièce teatrale Le prenom e ultimo film di Francesca Archibugi che ritorna alla regia dopo sette anni di assenza da Questione di cuore. E qualora non fossero sufficienti i personaggi citati per riempire la mattinata della conferenza stampa, si aggiunge un moderatore davvero speciale, Paolo Virzì, che oltre ad essere produttore del film, tiene a precisare di essere lì in quanto presidente del Francesca Archibugi Fan Club.

Paolo Virzì: Sono onorato oggi di fare il cerimoniere e sono tra coloro che hanno lavorato per convincere Francesca Archibugi a cimentarsi in questo lavoro quando è venuta fuori la proposta di mettere le mani sulla commedia francese. Francesca, ci puoi raccontare come ti sei avvicinata alla lavorazione del film e soprattutto: mica ti sei pentita?

Francesca Archibugi: Sono contentissima di aver fatto questo film e sarò grata per sempre a Paolo e a tutti gli altri produttori che mi hanno spinto a rimettermi a lavoro. È stata un’esperienza che assomiglia essa stessa a questo film perché dimostra che i legami profondi di amicizia professionale di una vita hanno un valore. La lavorazione è stata come un viaggio transoceanico, siamo stati tutti un equipaggio e non parlo solo degli attori, che nonostante siano delle vere e proprie star del panorama italiano, hanno lavorato con l’umiltà degli attori alle prime armi. Abbiamo lavorato in modo molto pignolo e meticoloso su ogni cosa per poi lasciare grande spazio all’improvvisazione di ognuno. E questo film è pieno di regali personali di ognuno di loro. Eccetto Micaela che è più giovane, bisogna anche dire che gli altri quattro attori sono anche dei registi bravissimi e hanno dato il meglio della loro forma creativa. Il mio compito era difficile, perché sono tutti attori differenti e la forza di un film è riuscire ad uniformare il tono recitativo. Loro ci sono riusciti.

Alessandro Gassmann: E’ stata davvero una bella esperienza. Per quel che mi riguarda posso dire che Paolo, il mio personaggio rappresenta una fetta molto ampia della popolazione italiana che incontri per strada o che puoi anche avere tra i tuoi amici. Ma ritengo che questo personaggio sia molto importante perchè incarna un aspetto del male di questo Paese perché non sai mai chi sono realmente.

Paolo Virzì: Forse per la prima volta coraggiosamente ricordi così fortemente quel importante babbo che ha avuto il grande merito di raccontare quell’Italia. Anche perché il personaggio che interpreti ha un padre mitologico e questa cosa faceva pendant con qualcosa di biografico tuo.

Alessandro Gassmann: Ho avuto l’occasione di trovare qualcosa di ben scritto e questo aiuta. Inoltre compio a febbraio cinquant’anni e come successe a mio padre, mi sta aumentando la lordosi. Forse anche questo aiuta ad esprimere dolori interni in maniera più efficace.

Luigi Lo Cascio: Spero che invece il mio personaggio sia quanto più lontano da me. Una persona molto distratta, molto concentrata su di sé che si rinchiude nell’attività compulsiva di twittare in continuazione. Alienato per i suoi insuccessi, finisce per scontare su di sè la frustrazione che tutto quello di cui si occupa in fondo non interessa a nessuno. E la sua forma di vendetta è rinchiudersi in se stesso. E questa cena diventa un’occasione di riconoscimento di se stesso. È un film in cui siamo sempre tutti e cinque insieme e tra di noi è stato bellissimo lavorare con la grande capacità di orchestrazione di Francesca.

Rocco Papaleo: Questo film mi ha confermato che il lavoro e la precisione sono qualità fondamentali per ottenere dei buoni risultati. Di solito quando mi rivedo in sala, e lo dico senza falsi pudori, non mi piaccio. Ma stavolta trainato dallo spirito di Francesca, non è accaduto. Forse anche grazie al personaggio che interpreto che in quanto doppio e forse anche triplo, mi ha permesso di essere in bilico e di essere ambiguo, caratteristiche che a me piacciono tanto. Inoltre ho lavorato con questo cast di professionisti che oserei addirittura chiamare amici.

Micaela Ramazzotti: Se non avessi sposato Virzì, forse avrei sposato la Archibugi. Per me è molto speciale sin da quando mi ha scelto per fare la ragazze madre in Questione di cuore e anche adesso mi ha fatto interpretare una donna incinta. Francesca è materna, ci ha adottato, coccolato sul set ed è una grande donna. Il personaggio di Simona che interpreto ha più strati, passa da essere la solita scema tutto trucco e abbigliamento, poi diventa la tigre di Casal Palocco che ruggisce e si ribella quando la offendono, per poi alla fine scoprire il suo vero talento come scrittrice.

Valeria Golino: Incontro professionalmente di nuovo Francesca dopo tanti anni da L’albero delle pere e ho accettato questo film senza se e senza me. Mi capita poco di leggere sceneggiature che mi fanno ridere e soprattutto che chiedono che io faccia ridere. Questa personaggio per questo mi allarmava e mi eccitava allo stesso modo. Il mio personaggio è una persona docile, affettuosa, ma anche remissiva. Ha una personalità che si adatta alle energie degli altri e che cerca un’armonia e soprattutto vuole sempre mettere tutti d’accordo. E questo è il suo pregio/difetto che la trattiene anche dall’essere una persona compiuta. Anche lei ha vari strati. All’’inizio ero un po’ a disagio, parlavo molto con Francesca perché mi sentivo ai margini della conversazione, ma Francesca mi ha fatto capire che quello era il disagio di Betta stessa. E rivendendo il film, mi sono molto piaciuta e sono molto contenta di parlarne.

Una cosa molto interessante è l’assolo che ha ogni singola protagonista in un film corale…

Francesca Archibugi: Sì, è comunque importante il fatto che la nostra scrittura parta dalla pièce teatrale di cui, dato che funzionava molto bene, abbiamo trattenuto la struttura ferrea a cui poi abbiamo dato carne e sangue nostri. Il bilanciamento dei personaggi poi è dovuto a delle scelte di sceneggiatura.

Francesco Piccolo: Io credo molto al fatto che le sceneggiature non debbano essere costruite con precisione. Noi abbiamo ricreato i personaggi nella sceneggiatura, ma abbiamo anche voluto lasciare molto spazio all’improvvisazione degli attori. La verità è che, per quanto possa essere buona la sceneggiatura, è fondamentale che i personaggi vivano di una vita propria e nel film questo accade. Ed accade per merito degli attori e del lavoro di Francesca. Un’altra cosa che voglio sottolineare è che anche se era un film che veniva da lontano, abbiamo comunque cercato di raccontare una storia che ci doveva appartenere tantissimo. E questo film ci appartiene.

È un film con tanti rimandi ad un certo cinema italiano…

Francesca Archibugi: Io sono sempre in contatto con tanti registi italiani come Paolo, e cerchiamo sempre di dare un’identità al cinema italiano, che, nonostante quello che si dice, una sua identità ce l’ha. Quando andiamo all’estero ci continuano a dire “beati voi che fate questo cinema così forte”, ma in Italia questo non accade. Naturalmente veniamo dopo i grandi e, rispetto a loro, siamo sempre niente, ma stiamo cercando disperatamente, e questa è una cosa che accomuna tanti di noi, di mantenere alta la bandiera della sala e cioè di fare un film per il pubblico. Il cinema che va in sala non deve morire e questo può anche significare perdere delle velleità autoriali, ma lo facciamo con gioia perché questo è il nostro mestiere.

Francesco Piccolo: A proposito di riferimenti devo dire che quando si pensa ad un film in una casa non si può non pensare a La terrazza di Scola che è stato un nostro punto di riferimento durante la lavorazione.

Quale realtà avete voluto rappresentare?

Francesca Archibugi: Ho lavorato tanto con Francesco per mettere a fuoco questi personaggi. Non volevamo fare uno spaccato della società, ma volevamo piuttosto raccontare dei personaggi che rappresentavano dei sentimenti che ci riguardano tutti. Abbiamo raccontato e non abbiamo giudicato. Io non parlo mai per bocca di un personaggio.

Francesco Piccolo: La risposta sta forse proprio nell’aver scelto questo film francese. Infatti quando lo abbiamo visto, abbiamo subito detto che questa storia di divisione poteva funzionare perfettamente anche per l’Italia, in un Paese divisa in due mondi e ci piaceva molto raccontarli avendo simpatia per tutti i personaggi sia se sono più o meno vicini ideologicamente.


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