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Il restauratore (Conferenza stampa)

Pubblicato il 8 gennaio 2012 da Marco Di Cesare


Il restauratore (Conferenza stampa)

Roma, 05/01/12. Ci troviamo nella sede centrale della Rai, in Viale Mazzini, per assistere alla proiezione della prima delle sei puntate della miniserie Il restauratore, prodotta dall’Albatross per la messa in onda su Rai Uno; esordio domenica 8 gennaio. Alla successiva conferenza stampa sono presenti, tra gli altri, gli attori Lando Buzzanca, Martina Colombari e Paolo Calabresi, i registi Giorgio Capitani e Salvatore Basile, il produttore Alessandro Jacchia e la responsabile di Rai Fiction Paola Masini.

Signor Lando Buzzanca, quello di Basilio Corsi è un ruolo difficile e drammatico, ma che rappresenta una possibilità di riscatto per un uomo che si è macchiato di un delitto.
L.B. Personalmente non credo al paranormale, per cui mi sono chiesto come avrei potuto dare credibilità al personaggio e come credervi io stesso. A quel punto ho deciso di rifarmi a una miracolistica laica, parlando dell’energia che Basilio ha dentro di sé dopo la tragedia che lo ha colpito: se un malato va in cura da un guaritore e poi riesce a guarire, deve ringraziare sé stesso, la sua disperata voglia, e non il guaritore. E come si manifesta ciò nel caso di Basilio? Attraverso uno shining, una ’luccicanza’. Ho affrontato tutto con umiltà, pensando a come ’non fare’ il paranormale, donando una fede laica al personaggio, una base solidissima: da una parte la fede nella condanna alla vendetta, la quale rappresenta un atto inutile, visto che non può di suo restituire quello che è stato sottratto; un altro principio è l’indifferenza (qui mi sono rifatto a una lettura giovanile di Gramsci, che condanna l’indifferenza come un crimine); infine l’abnegazione, la rinuncia a sé stesso per amore verso la famiglia, verso gli altri. Soprattutto volevo raccontare di un uomo che potesse dare una speranza alla gente: magari in India c’è una persona così...

Martina Colombari, qual è il rapporto del personaggio da lei interpretato, Maddalena Fabbri, con il restauratore?
M.C. Per Maddalena il restauro è la sua esistenza, la sua linfa: tutto questo, però, l’ha portata a non avere una vita privata, dei legami, sino a quando Basilio non arriva nella bottega. Maddalena è spaventata dal dono dell’uomo, così inizialmente cercherà di prendere le distanze da lui; ma poi nascerà un’amicizia e anche lei apprenderà i modi per poter restaurare sé stessa e comincerà ad aprire gli occhi e ad accorgersi che intorno ci sono delle persone e che non esiste solamente lei. Maddalena è una donna dei nostri giorni che sa quello che vuole; sembra molto strutturata, ma questa sua grande forza lascia comunque trasparire una certa instabilità fatta di alti e bassi; sembra che niente la tocchi, ma invece dentro di sé nasconde un grande vuoto. E questa è stata la prima volta in cui mi è stata data la possibilità di recitare una donna e non una semplice ragazza con gli occhi azzurri e i capelli biondi; la sera, dopo aver lavorato sul set, tornavo a casa con la sensazione di avere portato qualche cosa e potevo dire di avere fatto del mio meglio.

Giorgio Capitani, quale è la chiave di lettura de Il restauratore?.
G.C. Fino ad ora sono sempre riuscito a realizzare il cinema e la televisione che avrei voluto vedere come spettatore. E quando mi è stato proposto di lavorare su Il restauratore ho subito sentito una piccola scintilla. Con la collaborazione della produzione e della Rai siamo riusciti a tirare su un cast sul quale eravamo tutti d’accordo. Gli attori sentono che io li amo e loro mi restituiscono lo stesso affetto; penso che gli attori non siano solamente degli interpreti, ma degli autori.

Basile, come si è interfacciato con Capitani?
S.B. È stata una bella responsabilità, però alla fine si è rivelato tutto più semplice grazie alla professionalità della troupe e degli attori.
Per quanto riguarda la tematica del restauro, vorrei far notare che questa serie, con questa messa in onda, è come se avesse avuto una luccicanza, una preveggenza. Perché ’Restauratore’? Voi sapete che ogni giallo è un restauro: la storia parte da una situazione tranquilla, accade qualcosa e poi c’è un investigatore che deve restaurare la società e riportarla alla tranquillità iniziale. E tutto ciò va in onda, in questo momento, con il nostro Paese che è in restauro.

Siete andati in Serbia per girare la fiction: come mai?
A. Jacchia. Non è stata una nostra volontà quella di andare fuori dall’Italia, bensì una necessità di fatto. Avete visto la prima puntata e avrete notato come sia integralmente ambientata nel centro storico di Roma, in zone in cui sarebbe impensabile mettere in piedi una produzione per sette mesi, per cui abbiamo ricreato Roma a Belgrado, in teatro di posa, come facevano gli americani quando venivano qui per girare a Cinecittà.

Signor Buzzanca, vorrei chiederle se ha mai operato delle scelte per abnegazione verso il prossimo e in base a quali considerazioni sceglie un copione. Infine ieri sera una fiction che tratta del paranormale su Canale 5 (Il tredicesio apostolo, ndr) ha fatto sette milioni di spettatori: lei e gli altri pensate che, vista la crisi che sta vivendo il Paese, qualcuno possa credere nei poteri extrasensoriali?.
P. Masini. La fiction andata in onda ieri sera tratta sicuramente del paranormale e, per quando riguarda l’audience, penso rappresenti una sorta di record negli ultimi dodici mesi per i canale Mediaset. Invece Il restauratore non tratta del medesimo argomento: vi è sì presente un elemento riguardante l’incomprensibile, un elemento molto semplice, ossia la capacità di guardare nell’animo degli altri, ma è un dono che il nostro protagonista ha acquisito per la grande sofferenza che ha vissuto in passato; per cui qui vi è qualcosa di più psicologico che paranormale, poiché è vero comunque che la sofferenza affina la nostra sensibilità. In proposito mi viene in mente una commedia hollywoodiana, What Women Want: lì il personaggio interpretato da Mel Gibson inizialmente non riesce a stabilire rapporti con le donne; ma, quando subisce una scossa, improvvisamente riceve il dono di poter entrare nella loro testa. In questo film non ci interessa sapere se la capacità del protagonista sia o no paranormale, ma ci interessa leggere la psicologia. Dopodiché il successo di ieri sera è il sintomo, in una fase di restauro del nostro Paese, di come ciò che va oltre il paranormale sicuramente possa attrarre il pubblico.
L.B. Dagli anni Settanta fino ad oggi ho sempre scelto, poiché ne avevo la possibilità, ma io ho scelto anche quando non ero nessuno. Avevo fatto tre film: Divorzio all’italiana (il debutto); un provino e divento il copratogonista, assieme a Manfredi, de La parmigiana, rischiando poi di prendere un premio; faccio Sedotta e abbandonata e mi offrono Sedotti e bidonati, con Franchi e Ingrassia. Io dico ripetutamente di no, nonostante la produzione mi chiamasse di continuo, ogni volta per aumentare il mio caché (visto che desideravano a tutti i costi un attore che avesse recitato nel film che intendevano parodiare). Alla fine giunsero a offrirmi la stessa paga di Franco Franchi. Vi dico che erano sei mesi che non lavoravo: avevo comprato la macchina e non è che avessi guadagnato chissà quanti soldi; mi era nato il secondo figlio (il primogenito allora aveva sei anni) e casa mia prima mangiavano i bambini, poi io e mia moglie. Avevo bisogno di soldi. Allora mi sono buttato in ginocchio davanti al produttore e regista del film, Giorgio Bianchi, e con le mani giunte l’ho implorato: «Non me lo dica più, se no io accetto!». E quello ha visto un pazzo e mi ha fatto: «Non glielo dico più!». Questo perché non volevo lavorare in quel film per un fatto di etica, malgrado avessi potuto guadagnare nove milioni di lire con i quali, nel 1964, ci si poteva comprare un appartamento. Ma come contento lo stesso: come dormo bene la notte...!
Per cui ho sempre scelto. Però, prima di scegliere, mi rende conto se sono all’altezza di fare un film. Per esempio non ho fatto Rugantino. Pasquale Festa Campanile, mentre giravamo La calandria, è stato sette settimane a cercare di convincermi, con me che dicevo «Io non c’entro con Rugantino: è una maschera romana e io sono siciliano». Ma lui ribatteva: «Ma questi personaggi sono internazionali». E io: «No, è l’anima di un popolo!». E chi l’ha fatto alla fine...? Celentano... Perché c’è chi non gliene frega niente e chi, invece, gliene frega.

Buzzanca, ha mai avuto dubbi sulla sceneggiatura de Il restauratore?
L.B. Sì, mi sono incazzato diverse volte con la sceneggiatura, anche perché mi portava fuori dal personaggio che avevo dentro. Loro lo sanno: rompevo la palle perché secondo me un personaggio non sa a memoria quello che deve dire, è l’attore che sa a memoria. Per rendere quotidiano quello che un personaggio fa sulla scena, per l’attore serve una preparazione incredibile di memoria, per far credere che il personaggio, mentre parla, stia pensando quello che deve dire, invece di conoscerlo a memoria. Questa, per me, è una combinazione terribile, poiché io vivo nel dubbio.


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