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Je suis Ilan - 24 jours (Conferenza stampa)

Pubblicato il 9 maggio 2015 da Stefano Colagiovanni


Je suis Ilan - 24 jours (Conferenza stampa)

Sono le 12.30 di un caldissimo martedì di maggio, ma a Roma sembra già essere arrivata l’estate. All’interno della sede Rai in Via Mazzini è stato presentato in anteprima Je suis Ilan - 24 jours, film incentrato sul dramma vissuto da Ilan Halimi, un giovane ragazzo francese di fede ebraica, prima rapito, poi torturato e ucciso da una banda di violenti antisemiti. Al termine della proiezione intervengono in conferenza il direttore generale della Rai Luigi Gubitosi, il direttore di Rai 2 Angelo Teodoli, il regista Alexandre Arcady, il conduttore di Virus Nicola Porro e gli ideatori del progetto Dreyfus, in collaborazione con Rai per l’iniziativa Alex Zarfati e Barbara Pontecorvo. In sala, assorta in un dignitoso silenzio, è presenta Ruth Halimi, mamma di Ilan. Sembra estate in Via Mazzini, ma nessuno ha voglia di scherzare.

Direttore Teodoli, a lei il compito di presentare questa iniziativa proposta da Rai 2.

Angelo Teodoli: Rai 2 è da sempre interessata a questo tipo di iniziative, ora soprattutto con la collaborazione del programma Virus. Senza ombra di dubbio c’è molto da dire su questo film. Stiamo parlando di un’attività contro il terrorismo, contro il razzismo, contro l’antisemitismo ma, soprattutto, è un’iniziativa di grande umanità e abbiamo interpretato questa nostra missione più come un gesto d’amore verso una madre e suo figlio torturato e ucciso in nome di non si sa cosa, che come pura informazione. Durante la trasmissione Virus di giovedì sera verranno ascoltati diversi esponenti di svariate religioni, con lo scopo di approfondire il tema trattato nel film, per poter confrontarci con diversi punti di vista.

Quanto è necessario organizzare un evento di questa portata al giorno d’oggi?

Alex Zarfati: Una delle frasi più significative con le quali si apre il film è E’ incredibile come tutto questo sia successo a Parigi nel 2006... Ecco, bisogna fare in modo che più gente possibile venga informata e indotta a riflettere sulla storia di una normale famiglia francese. L’importanza di tutto il nostro lavoro risiede nel marcare quell’elemento di antisemitismo sottaciuto durante le indagini, un elemento che lega il rapimento di Ilan Halimi ad altri episodi di grande attualità. Quest’anno abbiamo assistito a un gravissimo atto di terrorismo a Parigi, al quale è seguita una grande ondata di indignazione...ecco, perchè tale mobilitazione non è seguita al rapimento di Ilan nel 2006? Quali sono gli strumenti da adottare per riconoscere e difendersi dalla minaccia del fondamentalismo e del razzismo? L’operazione del progetto Dreyfus, supportata dal coraggio della Rai per portare tale messaggio in prima serata, per noi ha un rilievo fondamentale. Negli ultimi anni in Francia si sono susseguiti altri episodi simili a quello di Ilan, ma secondo noi tutto parte proprio dal rapimento di Ilan. Se in quell’occasione si fosse compreso da subito il peso di associare al rapimento un movente su base razziale, probabilmente saremmo stati in grado di anticipare e prevedere altri gravi episodi come l’attentato a Parigi di qualche mese fa.

Sappiamo che per marcare l’importanza di questa iniziativa si sono unite molte altre organizzazioni ed enti italiani e internazionali.

Barbara Pontecorvo: Quel che ci ha colpiti di più è la partecipazione di così tante persone, un intento partito da ambienti diversi e non soltanto dalle comunità ebraiche. Il messaggio che vogliamo veicolare è che oggi si può morire per quel che si è, a causa della propria identità e ciò è inaccettabile per chiunque. Proprio attraverso questo messaggio universale la serata è stata strutturata per poterci ritrovare tutti insieme, perchè non c’è alcuna differenza e tutti uniti possiamo ritrovarci per combattere questo male.

Arcady lei ha detto che questo crimine antsemita non rappresenta un semplice fatto di cronaca, ma l’indice di un grave fenomeno sociale. E’ questo questo che l’ha spinta a realizzare questo film?

Alexandre Arcady: Innanzitutto voglio far sapere quanto sia felice per la presenza di Ruth Halimi (mamma di Ilan) in sala, e ciò mi commuove. Così come sono felicissimo della volontà della città di Roma di voler avuto organizzare questo evento. Il fatto che una grande rete della Rai abbia deciso di trasmettere questo film in prima serata rappresenta un atto straordinario, di grande portata educativa. Questo film è stato prodotto in condizioni estremamente difficili e non ho potuto approfittare dell’appoggio della televisione nazionale francese, nè di Canal Plus, nè dell’appoggio dei grandi media e ciò è dovuto alla tendenza di nascondere sotto il tappeto quanto accaduto, un far finta di non vedere, far finta che va tutto bene e credo che la tragedia che ha conosciuto Ilan e la sua famiglia sia strettamente collegata anche a questo genere di comportamento, l’evitare di gettare olio sul fuoco. Ho cercato di capire come la polizia non ha voltuo vedere la realtà di questa situazione e ringrazio Ruth per aver così tanto urlato che si trattava di un crimine antisemita, che poi alla fine ciò è stato accettato. E la decisione della Rai di trasmettere il film deve servire come esempio alla tv francese, soprattutto se consideriamo uno spiacevole episodio accaduto ieri a Bagneux, nel quartiere dove Ilan è stato segregato, dove c’era esposta una targa commemorativa che è stata divelta. Occorre una forte presa di coscienza, perchè l’antisemitismo esiste in Francia e questo film può contribuire alla lotta e alla conoscenza.

Signora Halimi, immaginiamo come la ferita da lei subita non potra’ mai rimarginarsi e quanto grande sia il dolore che lei prova nel ricordare le sofferenze di Ilan, ma lei ha scelto di non dimenticare e ricordare così il rapimento di suo figlio, poi torturato e ucciso perche’ ebreo. Ci racconti la sua battaglia affinchè la verità possa essere conosciuta da tutti.

Ruth Halimi: Il dramma di Ilan, prima rapito e poi torturato nell’arco di ventiquattro giorni è davvero enorme, soprattutto perchè gli autori di tanta crudeltà erano tutti giovani, tra i diciassette e i ventitrè anni, di varia origine, che lo hanno torturato gratuitamente. Ora ci si potrebbe chiedere il perchè di queste torture e la risposta è estremamente semplice, purtroppo: tutto ciò non sarebbe accaduto e mio figlio sarebbe sopravvissuto se non fosse stato ebreo. E’ importante prendere delle iniziative, essere vigili, attuare anche azioni di tipo repressivo, ma accompagnandole sempre con l’educazione, spiegare ai più giovani che se hanno bisogno di denaro, il miglior modo per procurarselo è quello di lavorare, senza torturare o, peggio, uccidere nessuno.

Nicola Porro, quella che andrà in onda giovedì sera sarà un’edizione speciale di Virus. Perchè oggigiorno è sempre più importante poter dire “Je suis Ilan”?

Nicola Porro: Noi ci siamo ispirati a dei fatti da deliberare. A volte ci sono degli aspetti nella storia e nella cronaca talmente orrendi, per le quali abbracciamo il coraggio di Ruth per poter rivevere attraverso i ricordi e le immagini questa storia. Molti altri fatti simili accadono a Roma, così come in Europa e ce ne dimentichiamo. Bisogna conoscere questi fatti per poter deliberare e, soprattutto nei talk-show, spesso si trattano questi accadimenti in modo asettico, come se si fosse all’interno di un laboratorio. Avere, invece, la possibilità di vedere queste immagini accadute nel 2006, in Francia, nella patria dei diritti umani è qualcosa che va conosciuta e affrontata per prepararsi al futuro. Questo è vero servizio pubblico e questo spesso filo rosso va tenuto sempre teso. Per cui ringrazierò sempre Ruth Halimi, che ha dimostrato una forza e un coraggio che io stesso non so se riuscirei a esternare.

Quanto tempo è occorso per realizzare il film?

A.A.: Ci sono voluti diversi anni, perchè dopo la morte di Ilan, in qualità di regista, mi sono convinto che si correva il rischio di dimenticare la vittima, di dimenticare Ilan, a vantaggio dei suoi carnefici: difatti capita spesso che la gente si ricordi ancora il nome della banda che rapì e uccise Ilan (la banda dei barbari), mentre capita che dimentichino il nome di Ilan. Così ho desiderato testimoniare tutto ciò attraverso il cinema e grazie al libro di Ruth (24 jours: la verité sur la mort d’Ilan Halimi) ho capito cosa dovessi fare, mi ha rivelato la strada giusta da intraprendere. Insistere sull’aspetto educativo, far capire ai giovani la verità su Ilan e mi viene automatico pensare a tutti coloro che vivevano nel quartiere dove è stato tenuto prigioniero, perchè bastava che solo uno di loro parlasse per permettere a Ilan di salvarsi.

La Rai scende in campo con i suoi mezzi contro il razzismo, l’antisemitismo e contro tutti i fondamentalismi con questa straordinaria iniziativa. Le conclusioni del direttore generale Luigi Gubitosi.

Luigi Gubitosi: Noi ci limitiamo a svolgere il nostro mestiere, la nostra missione, ovvero il servizio pubblico. L’intolleranza razziale, la paura del diverso e l’odio nascono principalmente dall’ignoranza, da idee sbagliate che sono diffuse spesso negli strati più poveri e meno colti della popolazione. Il servizio pubblico della Rai deve essere anche quello di controbilanciare queste idee, far sì che si diffonda l’inclusività, di evitare che queste tragedie accadano. Si tratta di un dovere di racconto e di prevenzione. Goya diceva che il sonno della ragione genera mostri, ecco io credo che il film serva a sventare la nascita di questo tipo di mostri.


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