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La dolce arte di esistere (Conferenza stampa)

Pubblicato il 8 aprile 2015 da Stefano Colagiovanni


La dolce arte di esistere (Conferenza stampa)

É una splendida mattina dal profumo primaverile in Largo Marcello Mastroianni, tra i sentieri antichi di Villa Borghese. All’interno della minuta e accogliente succursale della Casa del Cinema, il Cinema dei piccoli, è in programma la proiezione del nuovo lungometraggio di Pietro Reggiani, La dolce arte di esistere. Al termine della visione, dopo una breve pausa, si torna in sala, dove regista, e una piccola porzione del cast principale, composto da Francesca Golia e Anita Kravos, accolgono la stampa per soddisfare le loro curiosità.

Com’è nata questa idea, da cosa nasce questa intuizione?

Pietro Reggiani: L’idea è nata grazie a una tendenza a immaginare dei paradossi, quindi sfruttando il tema dell’invisibilità e dello scomparire per colpa di troppe attenzioni che mi sembrava molto valida e, al contempo, con l’idea di scomparire se non si riceve attenzione. Ecco, questi due concetti mi sono sembrati subito capaci di aprire molti scenari, raccontando sentimenti che avrei potuto maneggiare con una certa accuratezza e da qui è nato il film, anche se la scelta principale è stata quella di avere l’invisibilità psicosomatica come forma di malattia sociale e non come un caso eccezionale, non come strumento per trasformare due persone che scompaiono in celebrità, uniche nel loro genere e facilmente destinate a incontrarsi, dato che questo avrebbe infierito sulla storia con una certa meccanicità. Ho preferito scegliere un percorso più intimo.

Quanto tempo è occorso tra scrittura, casting e riprese?

P.R.: Non poco. Nel 2007 dovevo ancora finire di scrivere la sceneggiatura. E così la scrittura è durata circa un anno e mezzo. Poi a Venezia ho visto un film russo girato con soli sessanta mila euro e mi son detto che era il momento di lavorare anche con pochi soldi (poi, per fortuna questi si sono moltiplicati). Purtroppo questo non era un film semplice da girare con pochissimi soldi come si può fare oggi, anche perchè avendo molte location nella quali lavorare (più di 70) ho capito che sotto le otto settimane non si sarebbe riusciti a girare e avevo bisogno di una troupe che mi seguisse tutto il giorno. Comunque abbiamo girato nell’estate del 2012 e lì sono cominciati i problemi di montaggio, perchè i toni molto sottili da mantenere in raccordo con la sceneggiatura non andavano lesionati. All’inizio volevo montare da solo, ma dopo un anno mi sono reso conto che ciò non sarebbe stato possibile, quindi mi sono fatto aiutare da tecnici esperti.

Perchè ha scelto di inserire una voce fuori campo persistente, invece di lasciare spazio agli attori?

P.R.: La voce fuori campo era già presente nella sceneggiatura e la ritenevo molto importante. Quando ho scritto il film ero così dentro questi personaggi che alcune sfumature erano chiarissime per me, così ho deciso di utilizzare con prepotenza la voce narrante per raggiungere quella completezza del racconto che io immaginavo. All’inizio era addirittura la mia, poi mi hanno convinto a chiedere aiuto a Carlo Valli.

Come ti sei rapportata al tuo personaggio e a questo concetto dell’invisibilità?

Francesca Golia: Questo è stato per forza un personaggio molto diverso da tutti quelli che ho interpretato fino a ora, per il quale ho dovuto faticare abbastanza, dato che non avevo gli strumenti per comprendere la surrealità di cui era dotato. Ho cercato di leggere molte volte la sceneggiatura e affidarmi a Pietro (Reggiani), che è un regista molto minuzioso e mi ha aiutato moltissimo nel migliorare la resa nei dettagli. Poi per me come attrice è frustrante parlare poco, dato che nel film si lascia molto spazio alla voce narrante fuori campo, quindi capite come mi sono da subito presa la briga di ascoltare il più possibile Pietro e lavorare molto sulle espressioni del viso, per evitare che il mio personaggio assumesse i contorni di una macchietta.

Che significato ha questo film per Anita Kravos?

Anita Kravos: Il mio personaggio è secondario rispetto a quello di Francesca (Golia), ma molto incisivo. Ho conosciuto Pietro (Reggiani) in Belgio e mi sono messa a seguire con interesse la sua produzione e abbiamo poi parlato di questo film un pò surreale. Poi ho ricevuto una sua telefonata a Roma ed eccoci qui...

Considerato il budget non altissimo, come si è evoluta la produzione di questo film?

P.R.: Devo rendere merito agli organizzatori, che mi hanno aiutato moltissimo, perchè considerata la lunghezza della sceneggiatura e questo aspetto finanziario non idilliaco, un pò tutti avevamo una scena da togliere e grazie a una collaborazione seria ed efficente, il lavoro è andato a buon fine. Alla fine siamo dovuti restare tre giorni in più a Trento, tuttavia sono riuscito a tenere sotto controllo il mio lavoro, a focalizzare senza problemi gli obiettivi da raggiungere, sempre aiutato dai bravissimi produttori che avevo affianco.

E quello di autoprodursi, magari un pò come ha fatto lei, aiuta anche la realizzazione di film indipendenti?

P.R.: Io credo che sia una cosa molto soggettiva: L’estate di mio fratello l’ho prodotto con un mio amico, ma questa non è una via obbligata. Il fatto è che oggi è talmente difficile trovare i soldi per lavorare in questo modo che, per chi vuole fare cinema, è sempre meglio prendere quattro soldi da qualche sponsor, piuttosto che mettersi in fila per accaparrarsi uno spazio negli interessi di grandi case di produzione che difficilmente si ottengono e, quasi sempre, ti fanno perdere moltissimo tempo.

Come sei entrato nella psicologia di questi personaggi da te creati e su cosa ti sei documentato per costruirli?

P.R.: A parte qualche problemino personale che conosco molto bene, devo dire che li ho sentiti subito miei, molto vicini, come se fossi in grado di capirli senza alcuna difficoltà. Sentivo che tutto quello che giravamo mi tornava in base a quanto scritto e pensato. Poi per i punti di riferimento non mi sono affidato magneticamente su un determinato esempio esterno, più che altro perchè volevo mantenere un certo equilibrio tra il carattere surreale della pellicola e la presenza di questa malattia psicosomatica che, al di là dell’invenzione in sè, è presentata come un elemento veritiero, una malattia vera.

In quante sale uscirà il film?

P.R.: Per ora solo due: una a Roma e una a Torino. Poi vediamo come si evolverà la cosa nelle prossime settimane. Siamo fiduciosi per quanto riguarda la distribuzione.

La dolce arte di esistere uscirà nelle sale il prossimo 9 aprile.


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