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Le Conversazioni - Incontro con Toni Servillo

Pubblicato il 22 giugno 2014 da Antonio Napolitano


Le Conversazioni - Incontro con Toni Servillo

Toni Servillo ha concluso la preview del festival Le Conversazioni, che per la prima volta quest’anno ha avuto un assaggio romano dal 17 al 19 giugno presso la Rai di Viale Mazzini, per poi proseguire dal 27 giugno al 6 luglio nella sede originaria della piazzetta di Capri. Il tema di quest’edizione dell’evento ideato da Antonio Monda e Davide Azzolini è “la corruzione e la purezza”. Per l’attore napoletano intervistato da Antonio Monda è stata l’occasione di poter confidarsi e parlare apertamente del suo lavoro e del rapporto con i temi del festival, ne è venuta fuori una bella conversazione in cui Servillo non è mai stato banale ma sempre capace di analizzare e trovare spunti originali per discutere sull’arte e sul ruolo dell’attore. Ecco alcuni tra i passaggi più interessanti.

Monda: “Come hai iniziato?”

Servillo: “Ho cominciato a recitare al liceo, ma è stato fondamentale quello che mi hanno trasmesso sin da bambino mio padre e i miei zii. Erano grandi spettatori, amavano molto il teatro e facevano anche le comparse al San Carlo. Sono loro che mi hanno trasmesso lo stupore e la magia di rimanere incantati davanti alle meraviglie del teatro. Non credo nelle vocazioni. Io mi sono appassionato al teatro vedendolo in televisione ed è un peccato che non succede più. Noi napoletani naturalmente vedevamo molto Eduardo e, legato al tema della famiglia, voglio raccontare un aneddoto divertente. La tradizione voleva che ogni Natale tutta la nostra famiglia allargata si riunisse per vedere Natale in casa Cupiello. Erano visioni collettive. C’erano zii, cugini, nonni, parenti alla lontana. E noi bambini eravamo davanti a tutti. Quando vedevo l’opera e tutti quei personaggi particolari con mamme schizoidi, nipoti mezzi scemi, genitori ignavi, bastava che mi girassi e rivedevo lì in quella mia famiglia quell’universo bislacco che era messo in scena. Nacque lì quella passione goldoniana del confondere il mondo nel teatro. E questo succedeva grazie alla televisione che si sostituiva alla ritualità dell’andare a teatro soprattutto per chi non poteva andarci”.

Monda: “Quanto ti ha insegnato Eduardo?”

Servillo: “Quanto insegna ancora! Eduardo è ancora presente, continua ad insegnarci. Eduardo è in bilico tra una dimensione che è totalmente votata alla recitazione, ma contemporaneamente si sottrae alla recitazione dando all’attore una dimensione moderna, perché sviluppa recitazione di tic, dubbi, nevrosi. Proprio questa maniera in cui faceva emergere questo mix di recitazione e sottrazione rende la figura di attore estremamente moderna. È un equilibrio costante tra la dimensione del comico e l’approfondimento della coscienza e questo è un elemento di grande purezza. Non c’è eccesso di comicità, non c’è uno stereotipo di commedia e bravura fine a sé stessa. Il narcisismo recitativo è una forma di corruzione del nostro mestiere. Eduardo invece declina il noi che è il fondamento del teatro e lo sottrae all’esperienza del teatro l’io, l’ego”.

Monda: “Il cinema immortala, il teatro invece non resta”.

Servillo: “Sono due modi diversi di esercizio del mestiere, l’attore di cinema e l’attore di teatro sono marito e moglie che dormono in stanze separate. Il film è una faccenda del regista, mentre il palcoscenico è il regno dell’attore che deve essere bravo a portare il testo nel cuore del pubblico. La bellezza del teatro è l’essere in grado di rimetterci di fronte al nostro essere limitato, ci ricorda che siamo sempre migliorabili, e soprattutto ci mette davanti alla paura quotidiana dell’insuccesso. Il teatro somiglia prepotentemente alla dimensione della vita nella sua forma caduca: il teatro passa e non resta.

Monda: “ Com’è il tuo rapporto nei confronti del testo?”

Servillo: “Non sono un regista di teatro, anche se firmo le regie; mi considero interprete, mi metto al servizio del testo. Non appartengo a quei teatranti che amano la mistica delle prove, io adoro le repliche. Più reciti un testo più lo capisci. Io mi sento sempre enormemente inferiore al personaggio che voglio interpretare. Una creazione poetica è infatti uno sforzo profondo di un autore, naturalmente quando parliamo dei grandi autori. Sono personaggi che esistono a prescindere da te e sono creature superiori a te. Uno dei problemi del teatro di oggi è che si è perduto il fascino da parte degli attori nel ritenere che la complessità del personaggio la si raggiunga solo ed esclusivamente mettendolo in rapporto alla complessità della propria personalità. Il teatro è sintesi della vita, ma è soprattutto un’occasione di conoscenza”.

Monda: “Esiste un fine dell’attore?”

Servillo: “L’arte serve a far sì che l’universo drammaturgico funga da specchio e ci riscaldi il cuore. L’attore deve sempre domandarsi se e a cosa serve quello che fa. Il teatro è disordine, perché è un tentativo di imitare o sintetizzare la vita. E la vita è caos. Per questo la bellezza del teatro è poter restituire questo disordine in termini di energie vitali, una festa di sensi e intelletto. Il disordine però ha delle impurità con cui fare i conti. Per questo mi piacciono autori e attori come Eduardo. Mi piacciono di meno invece gli attori sublimi che ti portano nella condizione della vita vicina all’astrazione e che non hanno alcun contatto con la crudeltà”.

Monda: “Credo che convieni con me nel dire che Totò è stato un grandissimo. Ma perché i comici non vengono mai premiati?”

Servillo: “E’ stato immenso. Come diceva Abbado a proposito di Rossini, Totò allontana la tristezza dal mondo. Tutti amiamo la comicità, ma sotto sotto siamo spaventati dalla capacità sovversiva ed eversiva del comico. Ci spaventa e preferiamo pensarli come semplici narratori di barzellette. Ma il comico fa un lavoro incredibile, ti porta in una sfera in cui perdi tutti i riferimenti, tutto è insensato, detta lui le regole. I grandi comici riescono a far nascere una risata da un pianto e viceversa”.

Monda: “Quando hai capito che saresti diventato un attore?”

Servillo: “All’università. Ero iscritto a psicologia e ad un esame il professore che era un sacerdote, mi vide stanco e mi chiese come mai. Gli risposi che ero uno studente lavoratore e timidamente ammisi che facevo l’attore. La risposta fu davvero inaspettata: << Smetta perché gli studi le ingombrano lo spirito!>>"


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