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LIBRI - L’arte di guardare gli attori

Pubblicato il 19 dicembre 2007 da Sila Berruti


LIBRI - L'arte di guardare gli attori

Un manuale pratico è per sua definizione un libro tecnico, ricco di contenuti informativi e didattici, punto di riferimento per le nozioni fondamentali relative ad un dato argomento. Scrivere un manuale pratico per ‘guardare’ gli attori è impresa sotto molti versi stimolante e anche curiosa. Claudio Vicentini ci prova affrontando l’argomento con una buona capacità di scrittura, accattivante, ricca d’esempi presi da lavori di teatro o di cinema che tutti conoscono. Anche gli attori scelti per lo studio sono molto famosi: Marlon Brando, Dario Fo, Sordi, Gassman, De Filippo, o Troisi, Anna Magnani, Mastroianni, Marylin Monroe, Humphrey Bogart, per non dimenticare - Paolo Villaggio, i Guzzanti, Marco Paolini, Luca Zingaretti, e anche Anthony Hopkins, Dustin Hoffman, Clint Eastwood, Jack Nicholson e molti altri.

Così il lettore non si sente “ignorante” o escluso dall’acculturato mondo del critico e segue, e capisce; impara a vedere il teatro sotto una luce diversa e l’attore non solo più come interprete, ma come una macchina complessa che risponde a stimoli personali come a spinte dettate dalla scuola o dall’ambiente. Va bene; ma a che serve? Lo spettatore che va a teatro o al cinema, o ci va per scoprire i meccanismi che muovono l’attore o per godersi lo spettacolo. E’ utile, allo spettatore, scoprire che l’attore alla fin fine altro non è se non una marionetta mossa da fili nemmeno tanto invisibili? Non è meglio - per lo spettatore - andare a Teatro e godersi lo spettacolo? Oppure, quel sottotitolo è un trucco per cercare di vendere qualche copia in più?
Il libro è davvero un manuale utile tra le mani di un futuro attore, di un regista, di uno sceneggiatore o di un critico. Ad uno del mestiere, insomma, e non ad un fruitore di quel mestiere. E sotto questa luce è un testo da raccomandare; suggerire un’interpretazione della mimica di un interprete, scavare nel suo modo di spostare o di non spostare il corpo sul palcoscenico, indagare se la sua tecnica è quella della immedesimazione o della imitazione è un insegnamento importante e da non sottovalutare; in altre parole, lo spettatore può leggere questo libro e poi cercare di dimenticarlo, mentre l’attore o il regista alle prime armi se lo deve portare sempre in tasca. Senza considerarlo una Bibbia, è ovvio, perché Bibbia non è.

Molti degli esempi e dei raffronti presentati allo studio sono perlomeno discutibili. Qualche esempio? Per spiegare la “regola degli oggetti” ovvero la possibilità che un attore ha di utilizzare gli oggetti di scena, Vicentini costruisce un parallelo fra Filomena Marturano di Eduardo De Filippo e Scene di un matrimonio di Ingmar Bergman. E’ noto come, nella prima, Eduardo De Filippo e Regina Bianchi si fronteggino immobili malgrado la violenza delle battute, senza toccare nessuno degli oggetti presenti sul palcoscenico, mentre nella seconda, Liv Ullmann ed Erland Josephson affrontano il medesimo tema, quello della crisi di una coppia, utilizzando e spostando un’infinità di oggetti, sistemando piatti, maneggiando tostapane, una bottiglia, imburrando tartine ecc... E Vicentini affida questa diversa scelta interpretativa alla sola volontà degli attori, dichiarando che “…Non si capisce bene se le differenze che ci sembra di notare siano essenziali, o solo casuali. Se dipendono dalla tecnica degli attori, o semplicemente dallo sforzo di rendere personaggi che appartengono a due epoche, a due paesi e a due condizioni sociali diverse. E non sappiamo insomma su che cosa dobbiamo concentrare la nostra attenzione.”

Ma perché? A parte il fatto che Vicentini sembra non tenere in alcuna considerazione la differenza di fondo, ovvero il palcoscenico e il set cinematografico, sembra ovvio constatare che la scelta di Eduardo e di Regina di rimanere immobili sia l’unica possibile per frenare la rabbia omicida del protagonista e che il solo muovere una sedia o risistemare un piatto sulla tavola preparata sia un modo palese di “abbassare” il tono della violenza che carica la scena, mentre nel caso di Scene di un matrimonio la violenza deve essere bandita, fra una casalinga del nord e un altrettanto civile insegnante di psicotecnica, che per ragioni culturali riescono a comunicare nella ripetizione degli atti giornalieri e, per questo, tranquillizzanti. Se in un ambiente del genere i due attori rimanessero immobili, il significato, il valore della scena, cambierebbe totalmente, suggerendo l’idea che i due protagonisti non si capiscono, non riconoscono un terreno comune dove poter comunicare. Scelte, dunque, che non sono frutto di tecnica, ma di sensibilità cui non sarà stato estraneo il regista. Un altro esempio l’autore lo ricava da Scusate il ritardo di Massimo Troisi, nella scena in cui l’attore napoletano aiuta Lina Polito ad aggiustare le coperte del letto e nota come la donna continui a parlare continuando a rassettare, mentre Troisi interrompe qualunque azione, porgendole la sua battuta. Ma Troisi recita con le mani e non può fare altrimenti… mentre da questi due esempi, Vicentini deduce che “…Esiste un modo di recitare in cui l’uso degli oggetti e dello spazio di scena è minimo, e un modo in cui appare invece totale e continuo. Quando è minimo l’attore si esprime esclusivamente, o prevalentemente, attraverso la mimica del volto, i movimenti del corpo, delle braccia e delle mani, i toni della voce. Quando è continuo l’attore recita svolgendo un’attività costante, fisica e concreta, in relazione agli oggetti che gli stanno intorno. E si tratta di due maniere fondamentali di recitare.” Ma non è forse meglio aiutare il lettore a comprenderne le ragioni, piuttosto che la tecnica?


Autore: Claudio Vicentini
Titolo: L’arte di guardare gli attori. Manuale pratico per lo spettatore di teatro, cinema, televisione
Editore: Marsilio
Collana: I Nodi
Dati: 256 pp
Prezzo: 19,00 Euro
Anno: 2007
webinfo: Sito Marsilio


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