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Kids Stories

Pubblicato il 30 ottobre 2011 da Lorenzo Vincenti


Kids Stories

Due storie geograficamente distanti ma vicine per drammaticità, due episodi di un film che racconta in immagini le difficoltà della crescita in contesti a noi sconosciuti. Si può riassumere così Kids stories, il film che il regista, fotografo e compositore francese Siegfried Debrebant ha presentato in questa sesta edizione del Festival capitolino. Attraverso gli occhi di Kabir, bimbo indiano fuggito da scuola dopo esser stato rimproverato dai professori per non aver fatto i compiti, e quelli di Altimbek e Arujan, fratelli kazaki costretti per la prima volta a confrontarsi con i fenomeni dell’innamoramento (il primo) e dello smarrimento (la seconda), lo spettatore viene condotto nei meandri di un’opera artistica articolata in cui l’aspetto sociologico si mescola all’indagine di natura antropologica, creando al contempo un mosaico essenziale e minimalista delle diverse fasi adolescenziali. L’approccio estetico adottato dal buon Siegfried è quello tipico dell’artista contemporaneo, duttile e preparato, capace in ogni momento di lasciarsi guidare dalla forza della propria ispirazione e dalla libertà concessa da un copione scarno ed essenziale. Il risultato è un ibrido che se da una parte affascina per la rarefazione delle immagini e per la libertà di un insieme indefinito, dall’altra disorienta per la mescolanza azzardata di stili e linguaggi e per una natura filmica in continua mutazione. Sull’approccio documentaristico iniziale, infatti, si innestano con il passare del tempo le pulsioni dell’artista visionario in grado di ideare immagini statiche e surreali da inserire nel violento turbinio di sequenze nevrotiche (inquadrature sbilanciate e camera a spalla ovunque), il tutto mentre il Siegfried fotografo costruisce parallelamente i suoi quadri esemplari che indugiano sugli occhi di bambini unici e sui quei loro atteggiamenti così magnificamente spontanei. Ognuno di questi elementi perciò, compreso il movimento continuo delle singole immagini e il disequilibrio che le contraddistingue, contribuisce a deviare l’attenzione dello spettatore dall’aspirazione documentaristica del film e a far deflagrare continuamente i meccanismi del genere o l’esigenza dei requisiti utili alla sua riuscita. Come l’invisibilità ad esempio (vedi l’asciutto stile dei Dardenne) o il rifiuto assoluto di invasività (come insegnava il primissimo Ken Loach), concetti abiurati dall’intraprendenza di Siegfried e dalla sua voglia di porre un marchio evidente su ogni singola inquadratura scelta. Sembra quasi un figlio illegittimo di Dogma il regista francese mentre il suo montatore Hervé Schneid assume il ruolo di alleato fedele in una strategia tesa a indurre lo straniamento dello spettatore di fronte al realismo estremo delle storie raccontate. Il montaggio è per questo l’elemento che più costruisce l’essenza di Kids stories, ne eleva il valore e ne accentua i significati attraverso un lavoro di esclusioni e accelerazioni ritmiche. L’asfissia provocata dall’insostenibile incedere di immagini insicure manifesta il desiderio autoriale di lasciar trasportare al ritmo interno dell’opera il fardello di una narrazione altrimenti imbrigliata, mascherando in questo modo anche un limite contenutistico evidente e una incoerenza di fondo. Il moto continuo elaborato dal lavoro di montaggio va a sottolineare così il tema principale dell’opera: il movimento continuo e ininterrotto di fanciulli pronti a crescere, la loro preparazione alla vita, l’esplosione di emozioni differenti di fronte alle sorprese della quotidianità. La corsa di Kabir per la città (in fuga dalle regole), il movimento lento e vagabondo della piccola Arujan (persa nella steppa), gli spostamenti continui dell’aspirante “uomo” Altimbek (verso la propria amata e verso le responsabilità della vita adulta) sono erranze simili a quelle dell’Antoine Doinel de I 400 colpi. Costituiscono, al pari della corsa sfrenata verso il mare compiuta da Antoine nel finale, l’emblema dell’esigenza di libertà universale anelata dall’essere umano. Una esigenza che si trasforma e diventa ben presto ricerca della via migliore e giusta, in un “moto a luogo” che da irrequieto e istintivo deve per forza trasformarsi in attento, ponderato e costante nel tempo.


CAST & CREDITS

(Kids Stories) Regia: Siegfried; sceneggiatura: Siegfried; fotografia: Siegfried; montaggio: Hervé Schneid; musiche: Siegfried; distribuzione internazionale: Films Distribution (France); origine: Francia; durata: 90’.


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