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Intervista a Valentina Esposito

Pubblicato il 23 settembre 2014 da Sarah Mataloni


Intervista a Valentina Esposito

Roma, 19/09/2014

Valentina Esposito è la regista di “Viaggio all’isola di Sakhalin”, ultimo lavoro della Compagnia del carcere di Rebibbia, in scena al Teatro Argentina il 19 e il 20 settembre 2014. Lo spettacolo è liberamente ispirato ad Anton Cechov e Oliver Sacks, e conta un cast di circa trenta detenuti attori.

Lo spettacolo in scena al teatro Argentina si ispira all’esperienza che Cechov, nell’esercizio della sua seconda professione, (quella di medico) fece visitando l’isola di Sakhalin. Al reportage di Cechov, si intreccia il racconto di Oliver Sacks sulla “acromatopsia”.Come viene affrontata in questo lavoro la condizione dell’isolamento e perché la scelta di questo testo?

Alla fine dell’ottocento Cechov fece un viaggio, per andare a visitare la colonia penale di Sakhalin, che all’epoca era una vera e propria isola di detenzione. In questa circostanza, scrisse 400 pagine sulle condizioni di vita di queste persone tenute in uno stato di isolamento quasi completo. Il testo di Sacks, invece è un testo scientifico che racconta di una malattia realmente diffusa in Micronesia, per cui l’80% della popolazione soffre di “acromatopsia”ovvero, incapacità di vedere i colori. Unendo queste due fonti letterarie, noi parliamo di altro: non si tratta di una cecità fisica reale, ma di una cecità dovuta a un forte trauma psicologico che colpisce queste persone costrette all’isolamento in un istituto (l’istituto non è identificato con un carcere, ma evidentemente lo richiama). Gli studi e le sperimentazioni condotti nell’isola portano alla conseguente valutazione: eliminando la causa di quel trauma affettivo, eliminiamo alla radice gli effetti. L’unico rimedio possibile per i reclusi dell’isola sembra ritrovare i propri familiari. Quindi vita reale si intreccia con ciò che succede sul palco: il “viaggio all’isola di Sakhalin” porta a ritrovare gli affetti; oggi in questo teatro, le famiglie dei trenta detenuti-attori, sono qui.

Quindi “Viaggio all’isola di Sakhalin” è soprattutto un percorso artistico ed esistenziale degli attori detenuti?

Certo. All’interno di questo percorso letterario si intrecciano le vite degli attori-detenuti, ci sono momenti in cui gli attori chiamano le loro mogli e i loro figli per nome, ci sono veri e propri contributi personali dei protagonisti filtrati dalla letteratura.Questa è una forma di lavoro in cui letteratura e vita sono in completo equilibrio: la vita incarna la letteratura, la rende reale e la letteratura, illumina la vita con la poesia.

Come hanno reagito gli attori alla preparazione del lavoro?

Per loro preparare lo spettacolo è stato un gran lavoro. Fare teatro in carcere non è un percorso semplice, né per noi che lo proponiamo né per loro che lo affrontano. Alcuni sono alla prima esperienza. Loro si sono riconosciuti in questo racconto; non hanno filtri e questo è bellissimo: sono trenta attori ma soprattutto trenta persone che portano in scena in primo luogo il loro vissuto. La forza che viene dalla loro interpretazione viene dalla loro vita.

Nel 2012 i detenuti-attori della Compagnia, guidati da Fabio Cavalli, sono stati i protagonisti del film dei fratelli Taviani Cesare deve morire. L’esperienza ha proiettato la dimensione del carcere a livello internazionale.

Cesare deve morire, è stato interpretato da un’altra compagnia, Reparto G12, Alta Sicurezza. In carcere abbiamo quattro compagnie: Reparto G12 Alta Sicurezza, Reparto G8 (debutti teatri esterni), Reparto G9 (precauzionale) e poi una band musicale. Cesare deve morire è stato realizzato dalla compagnia dell’Alta sicurezza, guidata da Fabio Cavalli; i detenuti non avevano la possibilità di uscire e quindi il film è stato girato interamente dentro le carceri. Abbiamo più di cento detenuti “attori”a Rebibbia ogni anno e il lavoro prosegue ormai da 12 anni: dal 2002 il Centro Studi Maria Salerno è impegnato nella realizzazione di progetti culturali rivolti ai cittadini detenuti.

Pensate di diffondere il lavoro portato in scena al teatro Argentina?

Si, organizziamo un festival a Rebibbia: il Festival dell’arte reclusa, che ha avuto inizio il 30 giugno 2014 con un anteprima di questo spettacolo (Il festival è attivo dal 2004). Tutte le compagnie del carcere di Rebibbia si esibiscono, ospitiamo anche spettacoli esterni, c’è un calendario che ogni anno proponiamo e apriamo le porte del carcere (abbiamo un teatro di 400 posti). Il pubblico deve prenotarsi almeno una settimana prima: per il momento sono previste solo pomeridiane, ma speriamo presto di organizzarci anche con spettacoli serali.



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