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Petit Quinquin, la prima serie tv di Bruno Dumont tra Clouseau e Twin Peaks

Pubblicato il 20 ottobre 2014 da Antonio Napolitano


Petit Quinquin, la prima serie tv di Bruno Dumont tra Clouseau e Twin Peaks

Dopo il successo internazionale della serie televisiva Les Revenants, la Francia si dimostra essere un mercato e terreno di sperimentazione fertile per l’audiovisivo europeo. Poche settimane fa è stata trasmessa dal canale Arte, con una discreta audience, Petit Quinquin, una serie particolare che molti hanno definito un mix tra Twin Peaks e True Detective. L’ha scritta e diretta Bruno Dumont, vincitore per ben due volte del Gran Premio della Giuria di Cannes con L’Humanité (1999) e Flandres (2006) e al suo esordio come regista televisivo. Il New York Film Festival ha presentato in anteprima americana la serie televisiva e ha ospitato Dumont per un interessante dibattito sul suo lavoro e sulla contaminazione del cinema.

Come mai questo esordio televisivo? Le è stato commissionato o è nato da una sua esigenza? E soprattutto lei guarda la televisione?

Sì, la guardo ma a dire la verità non pensavo minimamente di fare una serie tv. È stata la rete Arte che ha insistito più volte e alla fine, dato che da diverso tempo avevo voglia di misurarmi con una commedia, ho ritenuto che fosse l’occasione giusta e ho ceduto al corteggiamento. Per quel che riguarda la tematica da affrontare, mi hanno dato piena libertà, mentre mi hanno imposto il formato tecnico su cui lavorare e il numero di puntate, cioè mi hanno chiesto di fare quattro episodi.

Chiaramente questo film ha un tono e una durata diversi rispetto agli altri, ma affronta tematiche ricorrenti nella sua carriera, anche se con un registro diverso. Ritiene che questo film abbia rappresentato un momento di rottura nei confronti del resto dei suoi lavori? E in riferimento al desiderio di fare una commedia, ritiene che ci siano elementi comici negli altri suoi film?

La commedia ha sempre fatto parte delle mie opere, ma il dramma che raccontavo era talmente profondo che ha sempre preso il sopravvento. Se si pensa ad esempio a Pharaon De Winter che ha interpretato L’Humanité e al suo modo di guidare la macchina, si può ben vedere che corrisponde a quello di Carpentier (il poliziotto in Petit Quinquin). Da questo punto di vista il lato comico è sempre stato presente nei miei film. La commedia e la tragedia non sono altro che due facce della stessa medaglia. La commedia è molto più complessa da mettere in scena perché gli aspetti comici sono in superficie e quindi è necessario fornire dei dialoghi molto precisi. Nei drammi invece vengono date molte meno indicazioni. La comicità deve essere ritmata quasi come un orologio, ad esempio in diverse scene con l’Ispettore, la comicità è stata creata al momento del montaggio in maniera quasi meccanica.

Anche in altri film lei ha lavorato con attori non professionisti e ci sono sempre dei visi assolutamente originali. Come funziona per lei il casting e in particolare nel caso dell’Ispettore, c’è stata una ricerca fisionomica?

Stamattina ero nella sezione fiamminga del Metropolitan Museum of Art (MET) e riflettevo che tutti i visi dei miei film sono in quei dipinti. Spesso mi viene chiesto dove trovo i miei attori e io rispondo che li trovo per strada e non c’è niente di eccezionale in questo. Ciò che è eccezionale è riuscire a fare di Quinquin un eroe. Ed è ciò che facevano i fiamminghi nei loro dipinti. Non è quello che invece facevano ad esempio gli italiani. La differenza tra attori professionisti e attori non professionisti è che i primi hanno voglia di lavorare e gli altri no! Ma c’è qualcosa di recalcitrante nei non professionisti che trovo comunque attraente, perché in un certo senso non cercano di recitare bene a tutti i costi e quindi vanno diretti in un modo particolare. Cerco di lavorare sempre con persone che siano del luogo e penso che la comicità derivi principalmente dalla distribuzione dei ruoli. L’ispettore nella vita reale non è assolutamente comico. La comicità deriva proprio dall’avere attribuito a lui un ruolo comico.

Come mai la scelta di una location così particolare come il nord della Francia?

Io vivo a nord della Francia tra Calais e Boulogne-sur-Mer proprio di fronte all’Inghilterra, un’area in cui si sente un fortissimo accento regionale, c’è un paesaggio molto particolare ed entrambe le cose sono elementi espressivi molto forti. Il mio lavoro di regia sta nel trovare la giusta armonia, perciò basta prendere l’ambientazione per com’è ed il gioco è fatto. Mi piace molto lavorare con la luce del nord e ritengo che i visi delle persone abbiano un rapporto diretto con il paesaggio.

Ritorniamo al comico. Quali sono i suoi riferimenti?

Mi piace molto il cinema muto e il cinema comico in generale, perché li considero al tempo stesso burlesque e poetici ed è sempre stata la fonte di ispirazione per i miei film. Penso che tutto sia stato detto e fatto con il cinema muto.

La serie è comica, ma ci sono comunque quattro omicidi e non si capisce come e se vengono risolti.

Non dimentichiamo che è tutto un nonsense, sopra le righe, allo stesso modo sono trattati i crimini. Non bisogna cercare un significato, questo film si avvicina al surrealismo e nel surrealismo non ci può essere una logica. Io in realtà prendo in giro le serie poliziesche, quindi non ho la necessità di prendere le cose sul serio.

Ha utilizzato per la prima volta il digitale, continuerà a farlo?

A me non piace per niente il dibattito che ha preso piede almeno in Europa sulla supremazia del 35 mm sul digitale. Esistono dei film girati in 35 mm che sono brutti e allo stesso tempo dei film in digitale particolarmente ben fotografati e ben girati, perché esiste un’arte del digitale.

Ci sarà un seguito a questa serie?

Sì, ci sto pensando ma credo che farò prima un film per poi riprendere questo progetto tra due o tre anni, perché se decido di proseguirlo è necessario che io mi possa rinnovare e dare una nuova vita al film stesso. Nel frattempo i bambini saranno cresciuti. E allora mi faccio delle domande: “Avrò voglia di farlo?” “Avrò voglia di lavorare di nuovo con dei bambini?” “Li dovrò sostituire con altri bambini o li potrò riprendere dopo 5 anni con i loro cambiamenti?” Sono domande a cui per ora non ho risposta…


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