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Qualcuno da amare (Conferenza stampa)

Pubblicato il 28 aprile 2013 da Marco Di Cesare


Qualcuno da amare (Conferenza stampa)

Roma, 16 aprile 2013. L’ultimo film di Abbas Kiarostami, presentato in Concorso a Cannes 2012, distribuito in Italia dalla Lucky Red, uscirà nelle sale il 24 aprile, inizialmente in un numero di cinquanta di copie.
La presentazione alla stampa, alla presenza del maestro iraniano, si è tenuta a Roma, nella ’Casa del Cinema’ di Villa Borghese. Il dibattito è stato condotto da Enrico Magrelli, il quale ha affermato che in questo film si respira l’aria del cinema classico giapponese ma anche l’atmosfera della letteratura classica del Paese del Sol levante.


Qual è il suo rapporto col cinema giapponese, come spettatore e come cineasta? Perché ho la sensazione, del tutto forse infondata, che questo sia un film perfettamente nippo-iraniano...
Abbas Kiarostami. Fino a stamattina anch’io credevo che il film fosse iraniano-giapponese, ma dopo averlo rivisto ora, mi sono reso conto che è giapponese-iraniano!
Ho girato Qualcuno da amare in Giappone perché un film è un qualcosa che si trova dappertutto e noi troviamo questa idea che appartiene a tutti e a tutto. Quando siamo lontani reputiamo di essere molto differenti tra di noi ma, in realtà, se ci riflettiamo, vediamo che queste lontananze ci creano soltanto malcomprensioni: in realtà ci assomigliamo tantissimo, abbiamo molte similitudini.

Mi chiedevo come mai questa fine molto tranchant, una fine che quasi non è una fine... E poi quando avverranno le riprese del suo prossimo film, in Puglia.
A.K. Direi che il finale di Qualcuno da amare non è strano, ma inusuale. Quando, nella sceneggiatura, sono arrivato alla frase in cui si descrive la pietra che irrompe attraverso la finestra, mi è venuto in mente che dovevo scrivere ’The End’. E ho aggiunto che avevo ancora tempo per poter pensare a un altro finale: ho riflettuto, anzi ho dovuto riflettere per un anno, dato quello che è successo in Giappone nel 2011 e, però, alla fine, ho deciso che questo era il finale che mi piaceva di più.
Qual è l’attore dentro il quale siano noi presenti e consideriamo che la fine è la fine della storia? Noi arriviamo a metà strada e dopo un po’ abbandoniamo la storia e proseguiamo, ma la storia non finisce: noi entriamo ed usciamo. Perciò possiamo pensare che la fine del film non è la fine della storia e che il professore potrà avere altre avventure.
Se dovessi fare un film, sarebbe sicuramente in Puglia. Ho una sceneggiatura già pronta, ho individuato le location e quasi l’interprete principale, però, in questo momento, io personalmente non mi trovo nelle condizioni per realizzare il film.

Lei all’incirca ha detto che tutto il mondo è paese... Però penso che, per quanto riguarda la situazione di noi italiani, una ragazza giovane non accetterebbe mai una relazione con un ragazzo così maschilista... E lei, attraverso questa pellicola, ci ha mostrato il Giappone come una società maschilista.
A.K. Ho sbagliato: ho pensato che fossimo molto simili, ma se lei mi dice che siamo molto diversi...!

Cosa pensa degli avvenimenti di Boston (l’attentato del 15 aprile avvenuto durante l’edizione 2013 della maratona, ndr)? E che cosa sul tema della creatività in Iran, il quale con forza si propone in tutti i Festival?
A.K. Per quanto riguarda la prima parte della domanda, condivido pienamente il pensiero che si sia trattato di un atto violento da condannare assolutamente, rivolto contro persone innocenti.
Parlando della creatività dovrei dire che questa va al di là delle condizioni sociali di un Paese, non potendo essere soffocata in alcun sistema. E potrei dire che oggi, nonostante le tantissime difficoltà, sono testimone di una vivace attività artistica in Iran: vedo e conosco giovani colleghi, nell’ambito cinematografico, che realizzano film esprimendosi in un modo eccellentemente fresco. Perciò posso dire che la situazione sociale, qualche volta e addirittura, potrebbe anche aiutare a vivacizzare sempre di più la creatività.

Vorrei sapere il percorso del film dopo Cannes e, se è uscito in Giappone e in Iran, quali sono state le reazioni...
A.K. Non ricordo esattamente, ma credo che circa venti Paesi hanno portato, o lo stanno portando, Qualcuno da amare sugli schermi.
Per quanto concerne il Giappone potrei dire, anche se non con totale certezza, che lì vi sono state reazioni opposte: chi lo ha amato fortemente e chi non lo ha assolutamente accettato. Dovrei dire che in Giappone gran parte della popolazione non ama il proprio cinema tradizionale, mentre gran parte dei cineasti riproduce il cinema americano e non ama quello del proprio passato. E, ovviamente, il mio cinema ha avuto l’influenza dei grandi registi giapponesi come Ozu o Mizoguchi. È strano ma, da quanto sono venuto a sapere, Qualcuno da amare negli Stati Uniti ha avuto un grandissimo successo e la critica lo ha accolto molto bene. Sembra che il Giappone oppure l’Europa abbiano più interesse verso il cinema hollywoodiano, mentre gli Americani stessi si sono un pochino distaccati da quest’ultimo e si stanno interessando al cinema d’autore o europeo.
In Iran non vi è stata la possibilità di mandare il mio film sugli schermi cinematografici. Ho proposto di doppiarlo e di vedere se potesse esservi qualche problema per presentarlo in Iran, ma comunque non è stato accettato. Comunque so che è uscito in formato video coi sottotitoli in inglese

Mi sembra allora di capire che il film è stato girato in giapponese... Come ha scelto gli interpreti? Già li conosceva?
A.K. Sì, il film è stato girato in giapponese: tutti, attori e troupe, erano giapponesi; io ero il regista ospite. Per il casting del primo attore, il personaggio del professore, ho cercato tra molti professionisti, ma mi sono trovato in una difficoltà; inoltre tutti i professionisti anziani erano abituati a recitare, cosa che, nel mio cinema, non andava bene, dato che avevo bisogno di una recitazione naturale, con un’espressione naturale come io desideravo. Perciò ho cercato il protagonista tra le comparse, un uomo che faceva la comparsa da cinquant’anni e che mai aveva pronunciato alcuna parola sullo schermo. Visto che non accettava di partecipare al mio film, gli ho detto: «Guarda che non devi dire assolutamente niente! Si tratta solamente di due pagine, con pochissimi dialoghi». E, due pagine dopo due pagine, ho cercato di fare in modo che lui continuasse ad andare avanti... Io avevo una grandissima stima nei suoi confronti, perché si trattava di un personaggio veramente molto rigoroso, sereno e responsabile ma, a film terminato, non mi sentivo ancora soddisfatto. Alla fine lui mi ha ringraziato moltissimo, mandandomi un messaggio nel quale affermava di essere stato molto contento di avere lavorato con me, aggiungendo però che era stato molto duro e difficile per lui e che preferirebbe tornare a lavorare come comparsa e non come attore.
Sono andato in Giappone per realizzare questo film perché credevo che ancora nel mondo potessero esistere persone come lui. E se in Italia non avete tipologie di ragazzi violenti come quello di Qualcuno da amare, probabilmente non avete neanche questo signore che preferisce rimanere nell’ombra...

A parte che noi, nel passato, abbiamo avuto grandissimi cineasti che hanno utilizzato attori non professionisti... Comunque, proprio parlando d’Italia, lei ha girato in Toscana (Copia conforme nel 2010, ndr) e, un altro film, quando si sentirà pronto, probabilmente lo girerà in Puglia: che cosa le piace del nostro cinema e del nostro Paese? Ha dei registi italiani di riferimento, anche del passato?
A.K. Permettetemi di non dover elencare i registi italiani che amo, perché potrei dimenticarmi di qualche nome e ciò mi metterebbe in imbarazzo, poiché l’impronta del mio cinema parte dal Neorealismo italiano. Voi non ci crederete, però tutta la mia adolescenza e la mia giovinezza sono trascorse passando da una sala all’altra per guardare i film italiani. Direi che conosco da molti anni l’Italia e che la conosco tramite il suo cinema: ho un senso di familiarità quando mi trovo qui e credo che questo non valga solo per me, ma per gran parte degli iraniani, i quali amano l’Italia e vi si trovano molto bene. Per me e per i compagni della mia generazione al di fuori dell’Iran vi era solo l’Italia, poiché la vedevamo sullo schermo.

Non vi è quindi stato modo di far uscire Qualcuno da amare in Iran, un film che, ai nostri occhi, appare non possedere alcun elemento scabroso che possa suscitare diffidenza e imporre una censura. Vorrei chiederle se ci può raccontare qualcosa di più sui suoi rapporti con il suo Paese...
A.K. Non vorrei entrare nei dettagli, poiché ho risposto molte volte a tale questione... È difficile poter dire quale rapporto vi sia tra me e il governo iraniano... Dovrei dire che non ci capiamo, non c’è un rapporto diretto, non vi è reciprocità né comprensione: vi sono delle difficoltà e direi che, in un certo senso, queste le accettiamo, avendone parlato diverse volte. Qualcuno da amare non ha nulla che possa farlo considerare fuori legge o da censurare. Comunque preferirei non addentrarmi nelle spiegazioni dettagliate, poiché non amo lamentarmi. Il mio Paese ha molte difficoltà, come molti altri Paesi: ma forse il mio ne presenta di maggiori.

Quando ha iniziato a pensare che l’abitacolo di un’automobile potesse essere il luogo dove poter far letteralmente parlare il suo cinema e se, eventualmente, nel film pugliese è prevista una maggiore ariosità?
A.K. È dal 2002 che ho iniziato a portare la mia macchina da presa dentro l’abitacolo di una macchina. Direi che un abitacolo è simile a qualsiasi altro luogo: si tratta di una scelta personale riguardo una location, perciò si potrebbe scegliere una macchina come qualsiasi altro ambiente. A me sembra che si debba chiedere un permesso per girare una scena all’interno di un’automobile ma, dal mio punto di vista, non vi è alcuna differenza tra l’abitacolo di una macchina o una camera da letto, un ufficio o un altro luogo.
La volta precedente avevo promesso ai miei spettatori che non avrei più fatto riprese all’interno di un abitacolo: promessa non mantenuta! Così ho detto che smetterò adesso ma, ripensandoci, mi sono ricordato che vi sono altri due film che dovrò realizzare dentro un’automobile...! Poi mi domando: in quale altro luogo potrei mettere due generazioni così lontane, due realtà così differenti, un anziano e una giovane, che parlano tra di loro in un modo intimo, mentre neanche si guardano, ma hanno un legame che si crea in un ambiente così stretto? Per cui le rispondo che, ogni volta che mi servirà l’abitacolo di una macchina, io vi entrerò! E, per il momento, potrete vedere gli spazi aperti guardando attraverso i finestrini dell’automobile!

Lei vive da tanto tempo in Francia: ha mai chiesto il passaporto francese? Le domando ciò perché ho conosciuto Ramin Bahrami, un grande pianista iraniano, trentaseienne, che fuggì dal suo Paese, dopo che i suoi genitori vennero uccisi in prigione: lui aveva undici anni. Ha studiato a Milano e ha trovato delle persone sensibili che lo hanno aiutato a diplomarsi al Conservatorio. È un grandissimo interprete di Johann Sebastian Bach. Ha scritto anche un libro, nel quale ha affermato di essere guarito grazie a Bach (Come Bach mi ha salvato la vita – Mondadori 2012, ndr). Lui ha richiesto per tanti anni il passaporto italiano, ma gli è stato rifiutato; un mese fa ha ottenuto quello tedesco.
A.K. Non vedo nessuna necessità di chiedere la cittadinanza in un altro Paese, poiché per me la cittadinanza non riguarda il passaporto, bensì rappresenta il legame col mio Paese, che io amo: non voglio essere nazionalista, ma io sono fortemente legato al mio Paese e sono cittadino del mio Paese. Cambiare il passaporto, poi, sarebbe troppo poco: se in tal modo potessi cambiare la mia razza, la mia pelle, i miei ricordi, la mia identità, allora forse potrei rifletterci su...
Inoltre devo aggiungere che non vivo in Francia, bensì in Iran; anzi, non ho mai vissuto in Francia... Io vivo dove mi trovo: adesso sono qui, perciò vivo qui; tra qualche giorno sarò in Iran, perciò vivrò in Iran...

Sono rimasta molto colpita, perché ho trovato Qualcuno da amare molto giapponese, profondamente immerso nell’atmosfera del Giappone e della Tokyo di oggi, con questo confronto-scontro tra generazioni e il rapporto tra i villaggi e la metropoli... Vorrei chiederle se le piacerebbe tornare a girare in Giappone.
A.K. Quando ho scritto la sceneggiatura e l’ho proposta al mio produttore, dicendo che volevo realizzare un film in Giappone, lui mi ha guardato un pochino male. Io gli ho detto: «Non so se farò un film buono oppure no, però ti garantisco che sarà un film giapponese». A film terminato, tutte le persone che lo hanno visto mi hanno detto «Non vediamo l’ombra e lo sguardo di uno straniero: è veramente una pellicola giapponese». Ma devo ammettere che è stato veramente molto duro e difficile... Durante le riprese mi è venuta a trovare l’assistente di Akira Kurosawa, la quale mi ha visto addirittura sulla sedia a rotelle perché mi facevano molto male le ginocchia e usavo il bastone. Allora lei mi ha detto che mi trovava molto male, aggiungendo poi un suo ricordo riguardo Kurosawa: «Ho visto la stessa reazione quando lui stava realizzando Dersu Uzala in Russia: era devastato e piangeva ogni notte». Al che le ho risposto: «Io non piango ogni notte, ma una sì e l’altra no!».


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