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Reality: Incontro con Matteo Garrone

Pubblicato il 27 settembre 2012 da Edoardo Zaccagnini


Reality: Incontro con Matteo Garrone

Roma, Casa del cinema, 24 settembre 2012. Matteo Garrone è seduto al centro di una lunga tavolata. Al suo fianco, tra gli altri, l’attore Aniello Arena e gli sceneggiatori Maurizio Braucci, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso. Si comincia con un applauso a Marco Onorato, grande direttore della fotografia, scomparso di recente dopo aver dato un immenso apporto a Reality, ultimo film di Garrone, che ha vinto il gran premio della giuria al recente Festival di Cannes ed è stato presentato anche a Toronto. "Quanto deve il film ad un capolavoro del cinema italiano come Bellissima?" chiedono al regista. "Bellissima è uno dei film di riferimento - risponde Matteo - ma in Reality ci sono anche atmosfere alla Eduardo De Filippo e riferimenti alla commedia all’italiana, penso a Monicelli in particolare, e c’è memoria di quel meraviglioso cinema italiano degli anni ’60 e ’70. Pian piano, però, Reality si sposta dalla commedia all’italiana verso L’inquilino del terzo piano, e il film diventa un viaggio nella mente di un uomo che perde la propria identità. Come atmosfere, un film di riferimento è stato Matrimonio all’italiana di De Sica, tratto proprio da un’opera teatrale di Eduardo. Abbiamo pensato di rivisitare certo cinema italiano con una storia che ce lo permetteva, realmente accaduta, ed abbiamo cercato di evitare sia le trappole della denuncia che quelle di un cinema di chiari intenti pedagogici. Abbiamo cercato di raccontare i personaggi dall’interno, con umanità, senza prenderci mai gioco di loro, sperando di riuscire a toccare dei sentimenti, e creare delle emozioni nello spettatore. Speriamo di esserci riusciti..

Come è cambiata negli anni l’ossessione della popolarità?

Garrone: Nel film c’è da una parte questo desiderio di evadere dalla propria realtà per inseguire un sogno. C’è però anche un discorso sul contagio, perchè c’è un intero quartiere, tutta una famiglia che contagiano Luciano, un personaggio ingenuo e puro, a modo suo. Credo che oggi, tuttavia, il rapporto con la televisione sia legato non solo al fatto di voler apparire, ma anche al fatto di esistere. Per molte persone, entrare in televisione vuol dire avere una sorta di certificazione della propria esistenza. Molte cose che accadono in televisione sono più vere delle cose che accadono nella vita di tutti i giorni, per tanta gente. Il mio film, che nella seconda parte si scurisce molto, affronta un tema e un problema esistenziale, non narcisistico. Luciano cade in certe trappole di un sistema, e in quelle stesse trappole potrei cadere io. Da parte mia non c’era intenzione di fare alcun discorso moralistico, nessuna voglia di dire "questo qui, questo Luciano, quanto è scemo, ad avere questi modelli". Certi modelli sono legati alla società dei consumi, sono trappole illusorie nelle quali tutti possiamo rimanere imprigionati. Io credo che vivendo nella società dei consumi si è sempre vulnerabili a seduzioni che possono arrivare dall’esterno.

Come avete lavorato con l’attore Aniello Arena?

Garrone: E’ stato un percorso che come altre volte è partito da lontano. Visto che giriamo in sequenza, il lavoro con l’attore inizia dalla sceneggiatura e va avanti fino alla fine delle riprese. In questo modo seguo tutti i passi della drammaturgia e cerco di capire come il protagonista li vive. Con Aniello il dialogo è sempre stato aperto, con lui ho cercato di capire tutti gli stati d’animo di Luciano. Ci tengo a dire, però, che Reality vive di una coralità. Mi piace sottolineare il lavoro di tutta la famiglia, che è un po’ il detonatore di quello che accade al protagonista.

La stessa domanda viene fatta ad Aniello Arena, l’attore detenuto che in carcere ha scoperto il teatro e che da tanti anni lavora con "La compagnia della fortezza" di Armando Punzo

Arena: Matteo, appunto, gira in sequenza. Sul set si parlava e si cercava di trovare la giusta emotività per il personaggio. Matteo era molto attento a farmi capire se eravamo sulla strada giusta oppure no. Lui è un regista che riesce a farti vivere tantissimo il personaggio. Di Luciano mi appartiene la parte allegra, solare. Ci tengo a dire, però, che il teatro di Armando Punzo non mi ha formato solo dal punto di vista artistico ma anche da quello interiore. Il teatro è vita vera, e questo mi ha cambiato molto dentro. Armando è riuscito a far scattare qualcosa dentro di me. Grazie a lui, so che non sono solo un detenuto, ma sono anche altro.

Domanda per Garrone: Come ha scelto Aniello Arena?

Garrone: Mio padre era critico teatrale ed andavamo molto a teatro insieme. Una delle compagnie che amavamo di più era quella della fortezza di Armando Punzo. A Luglio, a Volterra, andavamo spesso a vedere gli spettacoli di Armando, e Aniello è da dodici anni uno degli attori più importanti della sua compagnia. Quindi lo conoscevo bene. Già lo volevo per un ruolo in Gomorra, ma il magistrato in quel caso non diede parere favorevole. Ci abbiamo riprovato con Reality ed è andata bene.

Come hai fatto per scrollarti da dosso Gomorra?

Garrone: Reality nasce da questo motivo: da anni subivo la pressione di Gomorra, il suo peso, e volevo provare a fare un film divertendomi e cercando di fare qualcosa di diverso. Raccontai questa piccola storia a Massimo Gaudioso, che mi trasmise subito un entusiasmo contagioso. Doveva essere un piccolo racconto, poi il film ha preso un altro spessore, e sono stato felicissimo di averlo fatto. E’ stato anche molto faticoso, per certi versi.

Come hai lavorato con tutto il gruppo della famiglia?

Garrone: Sapevamo, insieme ai collaboratori, che Reality era un film corale. Bastava anche sbagliare uno solo dei personaggi secondari e sarebbero caduti anche tutti gli altri. Quindi era importantissimo trovare un giusto equilibrio tra il comico e il drammatico. Dovevamo essere attenti a non cadere mai nel grottesco. La famiglia di Luciano era una "vera" famiglia e lo è rimasta anche dopo le riprese. Lo ridico, fare il regista significa anche avere la capacità di creare un gruppo. Il cinema è un’arte collettiva, se fai le scelte giuste sei ripagato. Io sono il responsabile, ma i meriti vanno condivisi, altrimenti non si va da nessuna parte.

Dopo Gomorra hai detto no a film sulla malavita, hai scelto di rimanere in Italia. Una carriera si fa anche con i no..

Garrone: Quando faccio una scelta devo sentire che il progetto mi porterà in un territorio che non conosco. Dopo Gomorra l’idea di ritrovare una certa leggerezza era per me importante. Nasce così Reality. Certo, sono stato sedotto da Hollywood, ma se avessi accettato, chissà, magari non sarei riuscito neanche a finire il film. Resta il fatto che sono molto contento di aver realizzato reality.

Ci sono scene di carattere religioso nel film. E’ vero che per "essere" abbiamo bisogno di un occhio che ci guardi? C’è questo tipo di domanda nel film?

Garrone: Nella vera storia da cui parte il film c’è un cugino del protagonista che è molto credente. E mi sembrava interessante partire da qui per avere un doppio registro, per avere più piani di lettura, uno anche da commedia. Nel film c’è l’aspetto di cui parli, sul quale però non entro, lascio aperta la lettura allo spettatore, preferisco non darne io, né dare delle risposte. Lo lascio fare allo spettatore..

Uscendo il film il 28 riesce ad entrare nelle cinquine?

Garrone: Si, vi rientra. Se sarò fortunato bene, altrimenti fa lo stesso. Come andrà andrà. Quello che conta più di tutto è la sala..

Quanto possono aiutare i premi?

Garrone: I premi aiutano a valorizzare il film, a dargli delle possibilità in più, non solo in Italia quanto nel mondo. Io sono stato di recente in giuria a Venezia, e dall’altra parte, in concorso, al Festival di Cannes. Dico, allora, che per vincere ci vuole anche fortuna. Non basta fare un buon film, bisogna incontrare la sensibilità dei singoli giurati.

Come hai lavorato sulla ricostruzione dei reality?

Garrone: C’è stato in generale un grande lavoro di ricostruzione da parte dello scenografo. Non solo per i reality, ma anche per tutto il resto, per la piazza dove Luciano ha la pescheria, dove tutto è ricostruito. Il film si muove tra realismo e una dimensione fiabesca, sospesa. Nel caso del "Grande fratello" era difficile raccontare la televisione senza cadere nell’imitazione della stessa. E’ difficilissimo, quasi impossibile raccontare la televisione al cinema senza sfracellarsi. Speriamo di esserci riusciti. Noi abbiamo cercato di trasfigurare quel mondo senza tradirlo.

Domanda agli sceneggiatori sul modo in cui hanno seguito le evoluzioni della sceneggiatura...

Massimo Gaudioso: Il lavoro con Matteo è sempre lo stesso, noi scriviamo, poi c’è un coinvolgimento continuo anche sul set. Lui ci fa vedere le foto delle location e conoscere gli interpreti. E per fortuna, che è così, perchè il nostro lavoro non si esaurisce sulla carta. Sono andato spesso sul set di Reality, e in generale con Matteo ci sentiamo e valutiamo tutti gli eventuali cambiamenti una volta sul campo. La sceneggiatura si nutre di quello che la realtà presenta di volta in volta. Il lavoro non finisce nemmeno sul set, addirittura in montaggio può esserci una riscrittura..

Ugo Chiti: La forza di Matteo sta proprio nel coinvolgimento continuo che costruisce. Lavoriamo sui dubbi e c’è una volontà forte di mettersi in discussione. Lui è capace di telefonare per dirti che una scena ha avuto una forza maggiore rispetto a quella che ci si attendeva, per cui la seguente non serve più. Lui lo sa, non ha bisogno di conferme, ma mette lo stesso tutti al corrente delle evoluzioni. Lui sa condividere, e questo è il valore aggiunto di Matteo.

Maurizio Braucci Matteo sa radiscarsi nel territorio e la sua scrittura si poggia molto anche su questo aspetto. C’è sempre spazio per ridiscutere delle cose. Credo che Reality sia soprattutto un film sul pubblico, più che un film sulla televisione. Quello del pubblico è il grande tema del film. Senza il grande pubblico non si fa la televisione. E c’è in contrasto col pubblico, il dramma di un individuo che non esiste più. In Reality la macchina da presa è puntata su chi sta dall’altra parte. Le persone intorno diventano degli appoggi. Matteo sa lavorare molto sugli spazi, nel film ci sono gli spazi della realtà e quelli della finzione. Gli spazi della realtà vengono sempre più attaccati. Durante il film abbiamo pensato spesso a La ricotta di Pasolini, dove il povero manovale Stracci muore, perchè soltanto morendo esiste.

una domanda sul bellissimo piano sequenza inziale che apre il film

Garrone: Attraverso quel piano sequenza abbiamo voluto sottolineare che stiamo entrando dentro una fiaba, che stiamo raccontando una favola. Nel film il confine tra realtà e sogno, o tra realtà e incubo, è sottile.


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