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Ritratti - Al Pacino, 70 anni d’arte tra palcoscenici, mafia e polizia

Pubblicato il 25 aprile 2010 da Donato Guida


Ritratti - Al Pacino, 70 anni d'arte tra palcoscenici, mafia e polizia

Durante gli anni ’40 del 1900 gli Stati Uniti d’America si apprestano ad affrontare una delle più sanguinose guerre che la storia ricordi. In questo periodo di forte tensione e, più precisamente il 25 aprile 1940, i coniugi Salvatore Botta e Rosetta Gerardi erano probabilmente più concentrati sulla nascita del loro primogenito, Alfredo James Pacino, che non sulla situazione internazionale. Sicuramente nessuno avrebbe mai potuto immaginare che, in quel tremendo giorno di primavera, mentre il mondo intero era in guerra, in un piccolo angolo di New York City una coppia di origine siciliane aveva messo al mondo colui che sarebbe diventato uno dei più grandi attori che il cinema e il teatro avessero mai conosciuto.
Alfredo James Pacino, meglio noto come Al; professione: attore! O meglio sarebbe dire “l’Attore”, quello con la “A” maiuscola, l’uomo-personaggio che lascia gli spettatori senza fiato, li schiaffeggia con delle interpretazioni che resteranno stampate per anni nella mente degli amanti (e non) del cinema e del teatro. Non stiamo parlando di una persona che ha avuto la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, ma di uno che il metodo stanislavkijano lo ha scelto come vero e proprio modus vivendi (sotto questo punto di vista, a lui si affiancano soltanto altri due mostri sacri come Robert De Niro e Meryl Streep). Per chi fosse appena sbarcato sulla Terra e, ovviamente, non avesse ancora avuto il piacere di conoscere (mediaticamente!) il Sig. Al Pacino, a suo favore parlano i personaggi da lui costruiti, indossati e, il più delle volte, creati: dal capofamiglia Michael Corleone al cubano Tony Montana, dall’ex spacciatore portoricano Carlito Brigante allo pseudo-gangster Lefty Ruggiero, passando per il truce e onesto poliziotto Serpico e l’ebreo Shylock, fino a giungere ad essere il Diavolo in carne ed ossa. Alle spalle di questi personaggi un perfezionista, un uomo dal volto cupo, una voce tenebrosa che paralizza lo sguardo dello spettatore, un’aria da maledetto sulla scia di James Dean, Montgomery Clift e Marlon Brando.
Otto nomination all’Oscar e una vittoria nel 1993, quindici nomination al Golden Globe e quattro vittorie; un Leone d’Oro alla carriera, due David di Donatello, un Emmy Award, un Cecil B. DeMille Award, un Life Achievement Award dall’American Film Institute, più altri venti premi, tra cui il meno celebrato (ma comunque essenziale) Marco Aurelio alla carriera ricevuto al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2008; solo questo potrebbe bastare per elogiare una strepitosa carriera ormai vecchia più di quarant’anni. Una carriera difficile, contornata anche da tracolli fisici e morali dovuti al duro lavoro, dal pericolo, dalla solitudine, dall’estremo tentativo di sfuggire alla fama e alle prime pagine dei giornali (che gli è costato anche varie sedute di psicoanalisi), dall’alcol e dalle droghe.
Una carriera dura che, sicuramente, pone le sue basi sulle difficoltà che Pacino ha dovuto superare sin da ragazzino.
Abbandonato dal padre quando ancora aveva due anni, il futuro attore è stato allevato dalla madre e dalla nonna (alla quale è rimasto molto legato fino alla sua morte) nel South Bronx; fin da giovane attirato dalla carriera di attore, a diciassette anni decide di abbandonare gli studi per darsi pienamente al suo sogno. Si trasferisce nel Greenwich Village (cosa che sicuramente gli servirà quando, poco più di dieci anni dopo, vestirà i panni del poliziotto hippy Frank Serpico). Dopo aver frequentato (per un breve periodo) la High School of Performing Art e dopo aver preso lezioni di recitazione dall’attore Charles Laughton all’Herbert Berghof, partecipa a vari spettacoli del Living Theatre, recitando in piccolissimi ruoli. È sicuramente un periodo non felice, questo, per un ragazzo ansioso che vuole a tutti i costi spiccare il volo.
Nel 1966 viene, finalmente, ammesso all’Actors Studio e si rifugia sotto l’ala protettiva di Lee Strasberg. Da qui in poi la sua sarà una vera e propria strada in discesa e avvierà una carriera che, ancora oggi (per fortuna), non sembra voler avere fine. Vince due premi, tra i quali un Tony Award, per le sue interpretazioni nelle opere teatrali Gli Indiani vogliono il Bronx e Does the Tiger Wear a Necktie?. Prima di approdare al grande schermo, ottiene un ruolo in un episodio della serie televisiva N.Y.P.D., proprio un anno prima di essere diretto da Fred Coe in Me, Natalie (1969), anche se in un ruolo minore. Gli anni ’60 si concludono; un decennio che, possiamo dire, è risultato essere una palestra nella quale Pacino ha potuto allenarsi al meglio prima del grande salto da protagonista.

Gli anni ’70

È il 1971 l’anno in cui prende il via il periodo d’oro di Al Pacino: non solo perché Jerry Schatzberg lo sceglie per interpretare il piccolo spacciatore Bobby nel suo film Panico a Needle Park, ma soprattutto perché il regista Francis Ford Coppola decide di puntare tutto su questo giovane e sconosciuto attore offrendogli il ruolo di Michael Corleone nel suo film Il Padrino (1972). Sbaragliando la concorrenza di interpreti del calibro di Robert De Niro, Jack Nicholson, Warren Beatty e Robert Redford, Pacino dà vita al Personaggio, colui per il quale verrà sempre ricordato. Coppola si oppone fortemente ai produttori che non vogliono puntare su un cavallo giovane per un ruolo tanto delicato, e lo stesso Pacino non sembra essere molto convinto di poter interpretare un giovane e plurimedagliato militare “costretto” a prendere in mano le redini di una delle famiglie mafiose più potenti di New York. Convinto dal regista, ad affrontare il primo ruolo cinematografico davvero impegnativo, Pacino va a segno: nomination all’Oscar per miglior attore non protagonista e nomination al Golden Globe per miglior attore in un film drammatico (entrambi i premi, però, saranno vinti, rispettivamente, da Joel Grey e Marlon Brando). Da qui in avanti il giovane attore italo-americano si appresta ad incamminarsi verso la strada che lo condurrà direttamente nell’Olimpo dei migliori attori che Hollywood (e non solo) possa offrire (basti pensare che per interpretare Michael Corleone accettò 35 mila dollari; oggi il suo cache si aggira intorno ai 15 milioni di dollari); intanto continua a frequentare il suo primo vero amore, il teatro: nel 1972 porta in scena Riccardo III a segno di un amore per Shakespeare confermato nel 1996, anno di Looking for Richard, una sorta di documentario sul mestiere d’attore e dalla sua vibrante interpretazione de l’ebreo Shylock ne Il mercante di Venezia, diretto da Michael Redford nel 2004.
Ma è il cinema a vederlo protagonista assoluto; centinaia sono le proposte che gli arrivano, e tanti anche i rifiuti celebri: dal Roy Neary di Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) a Han Solo di Guerre stellari (1977), passando per Ted Kramer di Kramer contro Kramer (1979) fino al capitano Willard di Apocalypse now (1979). Se i rifiuti sono “dolorosi”, i ruoli accettati non sono comunque da buttar via: oltre a rivestire i panni di Michael Corleone nella seconda parte della trilogia di Coppola, viene nuovamente diretto da Jerry Schatzberg per il suo Lo spaventapasseri (1973); ma il miglior apporto all’attore, in questo decennio, gli viene offerto dal regista Sidney Lumet, che in lui vede il volto perfetto per altri due ruoli fondamentali: dapprima, nel 1973, Frank Serpico, onesto e eclettico poliziotto onesto che gli frutta la seconda nomination all’Oscar e il Golden Globe, poi, due anni più tardi, il Sonny di Quel pomeriggio di un giorno da cani, un rapinatore gentiluomo sposato e con figli, ma innamorato del suo amante Leon. Gli anni ’70 si chiudono in ascesa per il quasi quarantenne Pacino che ottiene una nuova nomination all’Oscar (la quinta, senza mai una vittoria) per l’interpretazione dell’onesto avvocato Arthur Kirkland in … e giustizia per tutti (1979) di Norman Jewison.

Gli anni ’80

Solo cinque i film che lo vedono protagonista nel decennio ’80, relativamente pochi per un attore che sembra non volersi più fermare dopo i grandi successi ottenuti fino a questo momento; una brusca frenata dovuta da una vera e propria crisi esistenziale, alla quale si aggiunge un incontrollato uso di alcol e droghe e la maniacale riservatezza che sembra chiuderlo quasi del tutto in sé stesso. Ancora tante le rinunce a film che diverranno dei cult: Nato il 4 luglio (1989), Pretty woman (1990) e Allarme rosso (1995). A causa di questi suoi problemi fisici e caratteriali, la sua aura sembra del tutto eclissarsi; ma di sicuro l’arte di un grande attore non sparisce facilmente. Tra alcuni film che sembrano essere di minor impatto rispetto ai precedenti che lo hanno visto protagonista – opere come Papà sei una frana (1982) di Arthur Hiller e Revolution (1985) di Hugh Hudson – ci sono ancora tanti autori che credono alla sua bravura: tra di loro, è Brian De Palma ad offrirgli un ruolo importante, facendogli vestire i panni di Tony Montana, un profugo cubano che, arrivato negli Stati Uniti, tenta una veloce scalata al potere grazie al controllo della droga. Scarface (1983), remake del grande film di Howard Hawks del 1932, diviene un film di culto, soprattutto grazie alla grande interpretazione di Al Pacino; un film che entra nella vita dell’attore nel momento peggiore e, di conseguenza, lo rilancia all’attenzione di tutti. Poco a poco i problemi sembrano svanire e, finalmente, con la fine degli anni ’80, si smaterializzano definitivamente.

Gli anni ’90

Chiudendo quasi definitivamente con i passati problemi, gli anni ’90 cominciano subito col botto: da un lato si chiude la trilogia di Coppola con Il padrino – Parte III (1990), che gli fa vestire per l’ultima volta i panni di Michael Corleone, ormai intenzionato ad abbandonare la guida della famiglia dopo aver reso legali tutti i suoi affari; dall’altro lato arriva la sesta nomination all’Oscar (la seconda come attore non protagonista) grazie al film di Warren Beatty, Dick Tracy (1990), nel quale interpreta il fumettistico e crudele gangster Big Boy Caprice. Manca davvero poco alla consacrazione assoluta, la quale avviene nel 1993: per la prima volta è in lizza sia per vincere l’Oscar come attore protagonista, sia per quello come non protagonista; il 1992, infatti, è stato segnato da due film fondamentali nella sua carriera: da un lato Americani di James Foley, dove interpreta il venditore di un’agenzia immobiliare, dall’altro il remake del film di Dino Risi, Profumo di donna, che ottiene definitivamente tutti gli onori dovuti. Alla sua (finora) ultima nomination all’Oscar, finalmente Pacino fa centro, portandosi a casa la statuetta dopo aver impressionato il pubblico di tutto il mondo, calandosi nei panni del non vedente Frank Slade, tenente colonnello ormai in congedo da cinque anni. la sua è un’interpretazione commovente e, nel ruolo forse più disperato mai sostenuto, riesce a riemergere definitivamente, rilanciandosi come “il meglio che Hollywood possa offrire”, fresco di statuetta e con tanta energia ancora da voler consumare. E allora le grandi interpretazioni quasi si sprecano: il primo ad entrare nella sua galleria è Carlito Brigante, un ex spacciatore portoricano che, uscito di prigione, decide di cambiare vita, di gestire un locale notturno in piena legalità, e non aver più nulla a che fare con la malavita del luogo; peccato però che, come sembra dire Brian De Palma con il suo Carlito’s way (1993), anche se sei tu a non voler far più del male, la gente di cui ti sei circondato non lascerà mai che ne esci fuori.
Voluto da Brian Singer per il ruolo di Dave Kujan ne I soliti sospetti (1995), rifiuta per entrare in un altro film di Foley, Un giorno da ricordare (1995); a conti fatti, forse una scelta non azzeccata, ma Pacino di scelte giuste ne ha già fatte tante, e continuerà a farle. Nel 1995 Michael Mann lo vuole al fianco di Robert De Niro in Heat – La sfida: è la prima volta che i due più grandi attori di Hollywood si “scontrano” nello stesso film (sarebbe potuto già accadere ne Il padrino – Parte II, ma il gioco di montaggio realizzato da Coppola fa si che i due non possano mai incontrarsi sullo schermo). In questo film è Vincent Hanna, tenente della squadra rapine e omicidi. I due s’incontreranno ancora nel 2008 in Sfida senza regole di Jon Avnet.
Non solo “grande tra i grandi” con ruolo da protagonista, ma Pacino riesce ad essere grande anche quando recita ruoli di secondo piano, affiancato ad attori più giovani che, in ogni caso, anche se protagonisti, non riescono nell’intento di eclissare le sue interpretazioni: accade in Donnie Brasco (1997) di Mike Newell, dove veste i panni del gangster di mezza tacca Lefty Ruggiero, braccato dal poliziotto infiltrato Joe Pistone/Johnny Depp; continua anche in L’avvocato del Diavolo (1997) di Taylor Hackford dove, riuscendo a divenire contraltare di Keanu Reeves, interpreta il Diavolo in carne e ossa, ruolo per il quale forse nessuno avrebbe potuto fare di meglio; infine Oliver Stone lo vuole per fiancheggiare Jamie Foxx in Ogni maledetta domenica (1999), dove interpreta il coach di football Tony D’Amato, un po’ rintronato ma ancora con tanta rabbia in corpo e voglia di far capire al mondo che il vero numero uno è lui (proprio come lo stesso Pacino, grazie a queste interpretazioni, vuole far capire al mondo intero: il numero uno degli attori resta lui). Ed è ancora Michael Mann che lo vuole nel film Insider – Dietro la verità (1997), nel quale, affiancato a Russel Crowe, interpreta il cronista d’assalto Lowell Bergman, idealista e di sinistra, che cerca di sferrare colpi mortali alle varie majors senza scrupoli. Gli anni ’90 sembrano far brillare la sua stella di luce propria: quasi tutti i film scelti sono interessanti e ben costruiti, grazie anche alle sue interpretazioni che, ormai, ne fanno uno dei più grandi attori che Hollywood (e il mondo intero) abbiano mai conosciuto.

Gli anni recenti

Il 2000 si apre con un Pacino schierato dietro la macchina da presa: il suo film Chinese Coffee, interamente finanziato dallo stesso attore, nonostante abbia ottenuto pareri positivi a vari festival, non è stato mai distribuito. Intanto però, dopo aver avuto il privilegio di recitare per i più grandi registi, decide di farsi guidare da giovani leve come Christopher Nolan, che lo dirige in Insomnia (2002) nel quale interpreta Will Dormer, un detective di Los Angeles mandato in Alaska per risolvere un misterioso caso d’omicidio; nello stesso anno è diretto da Andrew Niccol in S1m0ne, dove è Viktor Taransky, un regista ormai in crisi dopo vari film di insuccesso. Se è ancora il cinema a vederlo protagonista, Pacino non demerita nemmeno sul piccolo schermo, anzi. Nel 2003 Mike Nichols lo vuole con sé nel suo progetto Angels in America (nel quale sono presenti anche Meryl Steep, Emma Thompson e Patrick Wilson): Pacino interpreta Roy Cohn, personalità famosa e vicino alla Casa Bianca, che, in un’America che sta diventando omofobica, cerca di nascondere la malattia dalla quale è affetto (l’AIDS), così da nascondere anche la sua omosessualità. Sono oltre trenta i premi ricevuti dalla serie televisiva, e il solo Al Pacino ne vince tre: un Actor Award, un Golden Globe e un Emmy come miglior attore protagonista.
Sono passati quarantun anni da quando il ventisettenne attore italoamericano fece la sua prima apparizione sullo schermo cinematografico grazie a un piccolissimo ruolo: da allora la sua è stata un’ascesa interminabile che, ancora oggi, grazie a You Don’t Know Jack (2010) di Berry Levinson (nel quale interpreta il “dottor morte” Jack Kevorkian, il medico che praticò l’eutanasia su oltre 130 pazienti allo stadio terminale), non sembra del tutto placarsi.
Il 25 aprile 2010 Alfredo James Pacino compie 70 anni: una vita spesa interamente per l’arte, tra palcoscenici shakespeariani calcati con assoluta disinvoltura, sino a ruoli cinematografici di prim’ordine creati grazie alla suo preciso lavoro metodico e alla sua totale partecipazione ai progetti scelti.
Siamo sicuri che non basteranno il doppio degli anni perché la sua stella si eclissi: un corpo celeste che continua a brillare di luce propria e che entra di diritto nell’Olimpo dei Miti nel quale solo pochi, toccati dalla Grazia (proprio come lui), possono accedervi.
Buon compleanno, Mr. Al!


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