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Roma 2016 - Goodbye Berlin

Pubblicato il 22 ottobre 2016 da Fabiana Sargentini

VOTO:

Roma 2016 - Goodbye Berlin

Evviva! Evviva! Evviva! Quanto piacere nel vedere questa piccola storia di amicizia. Si ride assai, con qualche vena amara che si accende ma da cui, senza sprofondarci dentro, si riesce a respirare. Maik ha quattordici anni, per compito scrive un tema di sei pagine dal titolo "Mia madre e la beauty farm", in cui la descrive come vincente giocatrice di tennis con in corpo una bottiglia intera di vodka ("vado a disinitossicarmi" dice ai vicini al club, provocatoriamente); un padre ricco intraprendente architetto, con un’amante con cui non esita ad andare in vacanza durante l’estate lasciando il figlio da solo nella villa con piscina. Maik ama Tatjana, la più bella, che lo considera un disadattato, fino a quando ne arriva in classe un altro messo ancora peggio, Tschick, un ragazzone russo con le scarpe logore e i calzini sporchi che si vedono sotto, una specie di Charlot barbone, che puzza come la madre e, una volta chiamato alla lavagna per essere interrogato, vomita sul primo banco. Sono una coppia destinata: insieme diventeranno insuperabili, coraggiosi, affascinanti. Un on the road classico ma rock, con incontri eccentrici durante il percorso: i nobili in bici con nomi altisonanti, la famiglia estremista religiosa con i sei figli e la madre tutti vestiti di blu che mangiano la loro porzione solo se rispondono esattamente a quiz di cultura generale (che i due eroi, assai più maturi anagraficamente, non capiscono quasi). Come in tutta la filmografia di Fatih Akin (La sposa turca 2004, Soul kitchen 2009) la musica gioca un ruolo preponderante: di matrice pop ma ricercata, suonata da gruppi off, contrappunta con un tocco ulteriore di ironia alcune scene già ai confini tra il surreale e la comica. C’è tenerezza nello sguardo sui personaggi, randagi animaletti in fuga, vispi e allegri, malandrini ma onesti di cuore, uno innamorato dell’amore, l’altro con la bella tempra di vivere di chi ne ha passate molte. Vince il senso di vittoria sulle difficoltà e sulle brutture del mondo tramite i legami tra simili, la voglia di superare i pregiudizi, il contatto purificante con la natura, selvaggia e libera come una pala eolica che gira sopra la testa, sotto cui guardare una miriade di stelle e immaginare qualche insetto su un altro pianeta che specularmente sta compiendo gli stessi riti di iniziazione di questa coppia di amici all’apparenza male assortiti eppure completamente compatibili. Il gancio alla Fandango (regia di Kevin Reynolds, 1985, in cui un giovanissimo e splendente Kevin Costner, alla sua prima apparizione di rilievo in Italia, intraprende un viaggio tragicomico attraverso l’America verso il confine col Messico per disseppellire una bottiglia di Dom Perignon) - rivediamoci tra cinquant’anni qui - apre lo sguardo verso un orizzonte più ampio (il 2066) dove ancora nessuno sa cosa sarà di loro, di noi.


CAST & CREDITS

(Tschick); Regia: Fatih Akin; sceneggiatura: Hark Bohm; fotografia: Rainer Klausmanm; montaggio: Andrew Bird; interpreti: Tristan Göbel, Anand Batbileg, Nicole Mercedes Müller; produzione: Lago Films; distribuzione: StudioCanal; origine: Germania, 2016; durata: 93’


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