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Venezia 67 - Jingwu fengyun – Chen Zhen - Fuori concorso

Pubblicato il 1 settembre 2010 da Giampiero Francesca


Venezia 67 - Jingwu fengyun – Chen Zhen - Fuori concorso

L’estetica del proiettile al servizio della Repubblica popolare cinese. Si potrebbe riassumere, in queste poche parole, il cuore di Jingwu fengyun – Chen Zhen (Legend of the Fist: The Return of Chen Zhen), l’ultima fatica di Andrew Lau. L’abile mano del regista plasma infatti i soliti, meravigliosi, balletti armati mettendoli però questa volta al servizio di una retorica melodrammatica che scivola, nella propaganda nazionalista più spicciola.

Lo scenario in cui si svolge questa nuova avventure di Chen Zhen, già mitico eroe di Dalla Cina con furore, è la Shangai dilaniata dalla guerra civile cinese. Un’ambientazione che, di per sé, tradisce sin da principio l’intenzione di realizzare una pellicola mirata a diffondere una precisa immagine della Cina e del suo popolo. L’immagine di popolo fiero, retto, unito e leale che combatte per una giusta causa seguendo i giusti ideali. Mentre gli odiati invasori giapponesi infatti torturano, stuprano, depredano e gettano nel terrore la popolazione di Shangai, Chan Zhen e suoi compagni appaiono come modelli di virtù e rettitudine. Devoto alla loro nazione più che alla sua stessa vita, fiero di animo e ricco di spirito, questo manipolo di eroi popolari incarna, nella visione di Lau (e, si presume, del governo cinese), l’animo più profondo delle Grande Cina. Una rappresentazione che non può non destare qualche sospetto di tacita adesione alla propaganda di un paese costretto a fare in conti con la complessa immagine che riflette di sè al mondo. Basti pensare, per citare una scena su tutte, alla brutale rappresaglia giapponese contro la libera stampa cinese che Lau mette in scena come cruciale svolta narrativa del suo film. Quale reietto regime massacrerebbe in modo così brutale dei giovani contestatori? Quale brutale dittatura userebbe tanta violenza su poveri indifesi? Quale eroe non difenderebbe le vite dei suoi compagni giornalisti?

Al di là del molto discutibile messaggio, resta comunque la bellezza, terribile ed ammaliante, della violenza messa in scena da Lau. Le lunghe, topiche, sequenze di duelli a mani nude e armi tradizionali appaiono come perle di limpida grazia. Decine di corpi che si incontrano e si scontrano disegnano in scena straordinarie coreografie disposte dal regista con lucida precisione lungo l’arco narrativo della pellicola. Un alternanza di pause drammatiche e scoppi di violenza che lascia sempre in trepidante attesa dello scontro successivo, creando una continua, elettrizzante, tensione. Se dunque, cosa abbastanza impossibile, si potessero tralasciare le implicazioni socio-politiche implicite nel messaggio del film (come troppo spesso accade in molte opere dalla Cina), non si può che apprezzare la teorica bravura di Andrew Lau e restare stupefatti davanti a tanta estasi di violenza.


CAST & CREDITS

(Jingwu fengyun – Chen Zhen); Regia: Andrew Lau ; sceneggiatura: Gordon Chan; fotografia: Andrew Lau, Man-Ching Ng; montaggio: Wai Chiu Chung; musica: Kwong Wing Chan; interpreti: Donnie Yen, Qi shu, Yasuaki Kurata, Anthony Wong, ; produzione: Werk Works Production, Telling Pictures, Rabbit Bandini; origine: Hong Kong, Cina; durata: 113’.


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