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Wenn aus dem himmel... Quando dal cielo... (Conferenza stampa)

Pubblicato il 15 aprile 2015 da Stefano Colagiovanni


Wenn aus dem himmel... Quando dal cielo... (Conferenza stampa)

Ai margini di un’affollata piazza di Campo de’ Fiori, nella sala grande del Cinema Farnese, Fabrizio Ferraro e Daniele Di Bonaventura incontrano i presenti al termine della proiezione del film Wenn aus dem himmel... Quando dal cielo... Ferraro, già autore di altri documentari per cinema e televisione, assieme a Di Bonaventura, straordinario compositore-arrangiatore, pianista e bandoneista, si presentano quasi con timidezza, ma ansiosi di appagare la sete di conoscenza della stampa. Ed è un vero peccato che all’incontro non sia presente Paolo Fresu, trombettista di fama mondiale, in ritardo per problemi di causa maggiore.

Come descriveresti l’esperienza di lavorare a un progetto così intimo e suggestivo, affiancato da attori che, in realtà, sono grandi musicisti, nonchè personaggi di uno spessore straordinario?

Fabrizio Ferraro: Per me è stata una sfida ardua lavorare su questa idea non facile da rappresentare. Ho preferito lavorare attraverso un punto di vista innovativo, focalizzandomi sulla posizione degli elementi in scena, elevando l’ascolto a un qualcosa che andasse oltre il semplice fattore uditivo, che poi è una sorta di chiave di lettura del film. Abbiamo lavorato molti giorni anche solo per decidere da quale posizione cominciare a girare. E poi con Paolo (Fresu) e Daniele (Di Bonaventura) è impossibile lavorare in malo modo.

Com’è stato lavorare al fianco di un personaggio del calibro di Manfred Eicher?

Daniele Di Bonaventura: Manfred lo conoscevo da tanto tempo e lavorare assieme a lui è stato un pò come lavorare assieme a un secondo regista, è un artista straordinario e credo non ci sia nemmeno il bisogno di ribadirlo. Mi ha colpito il fatto che lui fosse lì con noi, e poi un attimo dopo lo cercavi con lo sguardo e sembrava sparito, un pò come una presenza eterea. Non ti fa pesare la sua presenza, perchè svolge un lavoro in maniera raffinata, da grande esperto e conoscitore di musica e questo incide parecchio nelle intenzioni e nel modo di approcciarsi a un nuovo lavoro da parte di un musicista come me.

Nel film si nota una certa predisposizione all’improvvisazione. E’ nata dalla volontà di Manfred la scelta di lasciarvi lavorare senza la presenza di brani precostituiti?

D.D.B.: Si, lui è un grande sostenitore dell’arte musicale per improvvisazione. Manfred è uno che ha un’idea sua molto precisa dell’identità che dovrà assumere il disco e come si vede spesso nel film, è uno che ama spezzare l’andamento sonoro di un’opera con stacchi di diversa composizione. Ciò incide molto sulla resa finale, per questo stimola molto la musica improvvisata.

Questo luogo vuoto all’interno del quale è stato girato il film, una sorta di sala deserta in attesa di spettatori, rappresenta un richiamo verso progetti come questo, rispetto all’enorme afflusso in riferimento del cinema dominante di oggi?

F.F.: Si, è un piccolo tentativo di inseguire il processo della visione, di rafforzarlo. Purtroppo si pensa spesso che il cinema termini con la visione, ma in realtà questo è solo un punto di partenza. Poi accade anche che le sale colme siano in realtà vuote, perchè ci si ferma lì e non si realizza la compiutezza del processo di visione, resta tutto in superficie, le sale non sono vive! Si tende a sedurre lo spettatore e li ci si accorge che non succede proprio nulla, a noi non arriva nulla.

In un film come questo, nel quale sono presenti diversi artisti dotati di una sensibilità e di grande portata artistica, non c’è mai un momento in cui uno prevalica l’altro, piuttosto restano tutti al loro posto, collaborando. Ci sono stati problemi organizzativi durante le riprese sotto questo punto di vista?

F.F.: No, perchè noi volevamo semplicemente restare in ascolto. Certo, inizialmente soprattutto Manfred Eicher, durante una delle primissime registrazioni era un pò preoccupato della compattezza del suono prodotto, anche per la scelta del luogo in sè. Poi si è tranquillizzato e tutto e’ filato via liscio, senza ulteriori problemi di sorta. Nè io, nè Manfred abbiamo imposto questo o quest’altro, ma ci siamo semplicemente soffermati ad ascoltare, aspettando che le meraviglie prodotte da questi due grandi musicisti uscissero fuori come per magia. Tuttavia per rendere possibile ciò c’è bisogno di un lavoro di una precisione incredibile, niente deve essere preso sotto gamba o ritenuto superfluo, altrimenti si finisce col galleggiare nel caos. Alla fine ho letto molte critiche, per fortuna positive, anche se qualcuna l’ho trovata un po’ superficiale, perchè etichettava il film come un prodotto non per tutti, eccessivamente intellettuale...invece io credo che siano i film popolari a essere maggiormente intelletuali, perchè lì c’è un’idea di storia in gioco che è stata creata per essere proposta in un certo modo a tutti e così deve essere per tutti, una certa imposizione, una forzatura. Nel caso del nostro film, invece, c’è sì un’idea di partenza, ma poi questa finisce col prendere corpo attraverso un’infinità di cambiamenti del tutto imprevedibili. E noi eravamo pronti e predisposti ad accoglierli. Sapete che ci abbiamo messo quattro mesi per sceglere semplicemente la posizione della camera nell’Auditorium? Ecco, una base di elementi fisici può aprire le porte a tutta una serie di fattori imprevedibili. Bisogna saper cogliere l’imprevisto.

Come hai accolto la proposta di Ferraro?

D.D.B.: Fabrizio lo conoscevo già e, ovviamente, conoscevo anche Paolo. Ho capito che per scegliere e inserire certi brani occorreva una certa sensibilità, quindi ho capito subito cosa stava cercando Fabrizio. Nel film tutto parte e finisce nel suono, quindi per me è stato un pò come suonare con un terzo musicista, oltre che con Paolo Fresu. Mi sono trovato a mio agio, perchè sia Fabrizio che Manfred sono stati quasi invisibili. Quando ho rivisto il film ho pensato “ma dov’è che stavano?”. Fabrizio ha saputo mettere in evidenza le parti più significative della creazione dell’opera in questione.

Perchè i musicisti vengono sempre inquadrati da dietro o lateralmente e mai di fronte?

F.F.: Il principale obiettivo era quello di rincorrere i suoni, andarli a cercare con gli occhi, le orecchie e l’immaginazione e non lasciare che questi giungessero verso di noi in una prospettiva frontale. Per una volta ho voluto costringere chi guardava a ricercare il suono, a elevare il suono a elemento fondamentale di un’opera e non relegarlo ad accessorio, come avviene nella stragrande maggioranza dei film che vediamo.

Perchè ha scelto proprio questi due musicisti per questo suo film? Fresu e Di Bonaventura sono stati scelti anche per realizzare un film su di loro, oppure vanno considerati strumenti utili per il raggiungimento dello scopo che si era prefissato?

F.F.: Nasce tutto dalla relazione umana. Si fa cinema anche per perdere del tempo, per passare del tempo, quindi si cerca di trascorrerlo soprattutto con delle persone con le quali si sta bene. Nutro una grande stima per la loro musica, proprio perchè giocano molto con l’ispirazione, con i silenzi, quindi mi è sembrata una scelta perfetta. C’è sempre stata una grandissima voglia di stare insieme. Senza tralasciare Manfred Eicher! Una persona straordinaria!

Quanta ispirazione ricava un artista come Daniele Di Bonaventura dal cinema?

D.D.B.: Le immagini cinematografiche sono spesso utili per il processo immaginifico di un artista che, come me, ama soffermarsi a guardare, a ripensare ai luoghi in cui è stato. Quindi un certo tipo di cinema per me, anche se non in modo assoluto, può aiutare questo processo di invenzione, di scoperta dell’idea. E questo film lo considero un inno alla musica.

Wenn aus dem himmel... Quando dal cielo... uscirà nelle sale il prossimo 16 aprile.


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