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Festa del Cinema di Roma 2007 - Parole Sante - Conferenza Stampa

Pubblicato il 27 ottobre 2007 da Sila Berruti


Festa del Cinema di Roma 2007 - Parole Sante - Conferenza Stampa

Presenziano alla conferenza stampa del film Parole Sante il regista Ascanio Celestini ad alcuni dipendenti dell’Atesia.

Per iniziare e rompere il ghiaccio volevo rivolgere una domanda ad Ascanio Celestini: come hai incontrato questa storia?

Ascanio Celestini: Non sono io ad averla incontrata, è lei che mi è venuta a cercare. Sono stati loro, i lavoratori protagonisti del film ad avermi telefonato, per la precisione mi hanno mandato una e-mail , inizialmente per sapere se ero disposto a fare uno spettacolo di sottoscrizione per raccogliere delle firme. Alla fine lo spettacolo non si è potuto fare perché non avevamo lo spazio e la possibilità concreta. Non conoscevo nulla del lavoro nei Call Center, così una sera, era Natale, ho chiesto se qualcuno dei miei parenti ci avesse mai lavorato e ho scoperto che tutta la mia famiglia dai 35 anni in giù aveva fatto questa esperienza. Di lì la mia curiosità è aumentata.
Il mio solitamente è un lavoro di ricerca etnografica, per preparare uno spettacolo raccolgo interviste per due o tre anni. Con loro ho cominciato a farlo senza una idea precisa in testa, mi tenevano aggiornato, mi telefonavano e io li invitavo da me per fare loro un’intervista. In quel periodo stavo in tournée con lo spettacolo La Pecora nera elogio funebre del manicomio elettrico, che trattava appunto degli ospedali psichiatrici e mi sono accorto che tra i call center e i manicomi ci sono delle pericolose analogie legate alle istituzioni di tipo verticale. Queste istituzioni tendono a ridurre la figura del lavoratore a quella del bambino, il lavoro è sentito come un piacere che il datore concede e lo stipendio è più come una paghetta che un compenso relativo al compito svolto. Questo tipo di istituzione a carattere verticale tende ad annullare l’individualità del lavoratore e quindi la sua volontà. Il problema, inoltre, è che questi lavoratori sono trattati come indipendenti solo dal punto di vista contrattuale, mentre di fatto sono dei subordinati. Questo vuol dire che non hanno ferie, malattia e maternità, ma sono pagati poco come un lavoratore a contratto.
Atesia è un luogo di vuoto politico, in cui anche i sindacati sono assenti o al massimo dannosi. Nel film, è lo stesso rappresentante sindacale di Atesia ad affermare che quelli che lavorano lì, di fatto non sono rappresentati. In questa situazione allucinante un gruppo di persone si è messo insieme e ha fatto quello che il sindacato avrebbe dovuto fare. Il precariato è qualche cosa di sostenuto, di fortemente voluto, ma non inarrestabile.

La cosa più bella del lavoro che definirei film, prima che documentario, proprio per il suo carattere personalissimo, è che si sente questa sensazione di isolamento di cui parlavo: che cosa ne pensano i protagonisti, sono soddisfatti?

Lavoratore Atesia: La nostra speranza è che escano fuori alcune cose importanti. La nostra esperienza dimostra che il precariato è il frutto di alcune scelte e in questo senso è stata esemplare nel mostrare come la legge trenta metta al primo posto l’azienda e la sua tutela. Ho visto mamme che per paura di perdere il posto, allattavano durante piccole pause che si prendevano mentre la nonna gli portava il neonato al centro commerciale di fronte al call center.

Volevo domandare ad Ascanio Celestini: in uno dei film presentato nella sezione Extra Le pere di Adamo spicca ed un certo punto una dichiarazione: "La vita è precaria, l’amore è precario: perché non dovrebbe esselo anche il lavoro?". Lei cosa ne pensa?

A.C. : Che il lavoro sia precario è una balla. Il lavoro precario non esiste. Il lavoratori o sono autonomi o sono subordinati. L’attuale sistema vede molti lavoratori che vivono il rischio degli autonomi e gli svantaggi dei subordinati. Io lavoratore, non posso sentire su di me il peso dell’azienda e non godere dei benefici quando sale il profitto. Il mercato esige un lavoro flessibile? Va benissimo. Io stesso, in qualità di attore, sono un lavoratore autonomo, ma non guadagno cinquecento euro al mese, questo significa che flessibilità e sfruttamento non sono la stessa cosa.

Ho lavorato anche io per Atesia e quindi vi volevo ringraziare per il vostro lavoro. Atesia è sempre stata al limite della legalità spostando di fatto ogni volta il confine di cioè che era lecito fare. Avete ottenuto quelche beneficio?

A.C.: Queso documentario non nasce con l’esigenza di ottenere qualche cosa di materialmente concreto, ma vuole raccontare una storia. Per questo non mi sono sentito particolari pressioni artistiche o non ho fatto attenzione allo stile, non mi interessava affatto. Quello che volevo era raccontare questa storia e farlo nel modo più completo possibile. Erano le persone ad interessarmi. Così come non mi sono curato dei retroscena politici, del fatto che il direttore di Atesia sia molto legato alla Margherita.

L.A. : La speranza è che sia di esempio. Che si capisce che bisogna organizzare e non abbassare la testa. In questa società non ha bisogno di grandi capi, ma di associazioni tra persone, e per fare questo è necessario che ci sia una presa di coscienza. Noi siamo stati tutti licenziati e denunciati, il che dimostra che ci sono degli interessi molto forti in gioco. Il loro problema è che noi non abbiamo nulla da perdere. Ci sono persone che hanno perso il lavoro per aver risposto male al capo e per molto meno.

L.A. : Per il momento abbiamo ottenuto che nei Call Center non sia più ammesso un certo tipo di contratto a progetto, che più di mille dipendenti siano stati messi sotto contratto a tempo indeterminato se pur Part-Time (con l’obbligo di rinuciare a tutti i benefici pregressi non goduti di cui avrebbero di fatto avuto diritto) e la legge trenta è stata rimessa in discussione al livello nazionale. Atesia è un laboratorio di precariato da sempre: si sono sperimentati tutti i tipi di contratti e questo fa delle nostre vittorie delle vittorie eccezionali.

Avete ricevuto particolari pressioni?

L.A. : Oltre quelle interne che ci aspettavamo, i licenziamenti e le intimidazioni, sono le intimidazioni esterne che non avevamo messo in conto. Il giorno in cui molti di noi insieme ad altre quattrocento persone sono stati licenziati dentro Atesia c’era la polizia e fuori la celere.

A.C. : Quello che volevamo era parlare di problemi concreti in maniera concreta, non ci interessa raccontare di precariato in generale perchè al livello astratto siamo tutti più o meno d’accordo. Anche Bush non è a favore della guerra, in generale. Insomma quello che dice il Papa sul precariato ha un valore relativo, perché il suo è uno dei lavori meno precari del mondo. O no?


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