X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Festa del cinema di Roma - Il vizio della speranza

Pubblicato il 24 ottobre 2018 da Anton Giulio Onofri

VOTO:

Festa del cinema di Roma - Il vizio della speranza

Edoardo De Angelis alza il tiro e punta su un livello maggiore di autorialità con Il vizio della speranza, quarto titolo di una filmografia iniziata con una commedia (Mozzarella Stories), poi virata verso il thriller (Perez), per impennarsi con il lusinghiero risultato del drammatico e disturbante Indivisibili, premiato con 6 David di Donatello e altrettanti Nastri d’Argento, più numerosi altri premi qui e là per la Penisola. Resta indubbia, e confermata, la capacità del regista napoletano di gestire il suo racconto per immagini con quella mobile visionarietà sempre più rara in un cinema italiano ormai preimpostato, salvo le eccezioni dei soliti suoi tre o quattro ‘autori forti’, sulla griglia espressiva delle fiction televisive: nell’apocalittico scenario di quella Terra di Nessuno fra il Nord di Napoli e la provincia di Caserta che da L’imbalsamatore di Matteo Garrone in poi ha assunto il ruolo di manifesto paradigmatico di un degrado italiano civile e morale simile alla ‘Frontiera’ di certi Western crepuscolari degli anni ’70 del ‘900, la cinepresa di De Angelis si aggira fluida e nervosa tra le dune sulle rive della foce del Volturno, insegue e pedina Maria (la moglie del regista, Pina Turco) e il suo costante andare e ritornare da una riva all’altra in compagnia del suo pitbull per traghettare come un dantesco Caronte prostitute extracomunitarie che affittano il proprio utero per sopravvivere, anime miserabili, condannate a rinunciare a una maternità brutalmente interrotta con la separazione immediata dei bambini subito dopo il parto. Maria, figli non può più averne, o almeno è quello che crede, perché un bel giorno si scopre incinta... Da qui dovrebbe prender vita la speranza del titolo (ispirato ad una frase di Giorgio Scerbanenco), ‘viziosa’ perché vissuta come un lusso proibito cui indulgere contro qualunque non-legge che governi quei luoghi abbandonati dallo Stato e dal buon senso comune. Tuttavia l’impianto scenografico delle selvatiche spiagge costellate di baracche e palafitte, i cieli lividi dello scolorito inverno meridionale, la squallida edilizia palazzinara del circondario, compreso un repertorio di umanità composto da papponi, tossicodipendenti, freak e misfits vittime del caotico fenomeno migratorio di questi anni esibito cinematograficamente in maniera forse un po’ troppo esasperata ed espressionistica, finiscono per smorzarsi e perdere forza tragica per colpa di una voluta monocordia nell’impostazione dei caratteri e delle sensibilità delle diverse dramatis personae, tutte ammantate di un compiaciuto understatement appesantito dalla remissiva accettazione di un fato da brandire come strumento ricattatorio per giustificare un’inedia innaturale, almeno, e senz’altro, in quella fetta geografica d’Italia: De Angelis non è Garrone, e in luogo dello straniamento lirico e quasi attonito dei primi film del regista romano, c’è in questo Il vizio della speranza una gestione incerta dei toni del melodramma, che lo portano a franare giù per le pendici di una catatonica sceneggiata partenopea, nonostante la notevole presenza fisica e la convinta partecipazione delle altre attrici incaricate di dar corpo e voce agli altri due grandi personaggi femminili del film (Marina Confalone e Cristina Donadio). Promosse con un 6 politico le musiche originali di Enzo Avitabile che spalmano sul dramma una patina di vitalistico piagnisteo non sempre correttamente a registro, colpa della mancata deflagrazione di un materiale così ricercatamente lugubre e meschino va in buona parte attribuita alla sceneggiatura (firmata dallo stesso De Angelis in coppia con un Umberto Contarello qui in versione mano sinistra) che salvo qualche raro picco riservato all’anziana eroinomane, senza dubbio il personaggio più riuscito e inedito del film, prevede un fondo di misticismo bigotto che nel finale scade in una pessima stonatura di messa in scena, responsabile di un tonfo grave e irredimibile, causa di una bocciatura dolorosa ma doverosa.


CAST & CREDITS

(Il vizio della speranza); Regia: Edoardo De Angelis; sceneggiatura: Edoardo De Angelis; fotografia: Ferran Paredes; montaggio: Chiara Griziotti; musica: Enzo Avitabile; interpreti: Pina Turco, Marina Gonfalone, Cristina Donadio, Massimiliano Rossi, Odette Gomis; produzione: Tramp Limited, O’Groove; distribuzione: Medusa Film; origine: Italia, 2018; durata: 90’


Enregistrer au format PDF