X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Intervista a Cosimo Terlizzi, regista di L’uomo doppio

Pubblicato il 9 marzo 2013 da Giovanna Branca


Intervista a Cosimo Terlizzi, regista di L'uomo doppio

Al Cinema Aquila di Roma, il 5 marzo, Cosimo Terlizzi – videoartista e regista pugliese – ha presentato il suo ultimo film/documentario/diario intimo L’uomo doppio, già presentato al Festival di Torino in Italiana.Doc e prodotto da Viola Prestieri, Valeria Golino e Riccardo Scamarcio. Prendendo le mosse dagli eventi raccontati nel suo film precedente, Folder, cioè il suicidio dell’amica transessuale Fabiana, Cosimo Terlizzi prosegue la sua ricerca spostandola verso se stesso, in un processo di scoperta del sé. Alla ricerca dell’io sulle macerie della mortificazione dell’ego, in una tensione verso l’alto accompagnata dai mezzi forniti dalla filosofia, l’arte, la psicanalisi ed infine la fisica stessa.

Per capire L’uomo doppio bisogna necessariamente partire da Folder. Perché è così importante ripartire, di nuovo, da Fabiana?

Per affrontare in maniera ancora più intima l’argomento che Fabiana mi ha suggerito: distruggi il tuo ego. Folder è stato un’elaborazione del lutto. Ma ho anche letto questa frase, che Fabiana aveva scritto ovunque, e l’ho lasciata lì a riposare. Poi l’ho elaborata come si deve rispetto al mio vissuto. In L’uomo doppio si tratta delle esperienze che ho raccolto in un periodo preciso della mia vita, magari se fosse passato dell’altro tempo sarebbe stato diverso. Volevo vedere dove mi portava questa ricerca, dove vuole arrivare questa frase: distruggi il tuo ego. E’ l’idea di base delle religioni monoteiste, che vogliono avvilire il corpo. L’ego è inteso come sesso, corpo, tutto ciò che è legato alla corporalità. Proseguendo con la ricerca ho intellettualizzato il concetto usando la filosofia, l’arte, la fisica subatomica. L’uomo doppio è il risultato di un processo fondato sul lasciarsi andare nella ragione e nell’intelletto, nella vita del corpo come nell’esercizio della mente. E’ l’uomo inteso come significante e anche come significato.

Parlando di Folder avevi “giustificato” la tua scelta di rendere pubblica la scelta drammatica di un’amica e i suoi privatissimi particolari attraverso la necessità di denunciare. Invece non c’è denuncia nell’uomo doppio, si tratta più di scoperta di sé. Non è che allora Fabiana e la sua esperienza, col senno di poi, rappresentano anche qualcosa del tuo ego – inteso nel senso in cui ne parli in l’uomo doppio, come qualcosa che ci tiene imprigionati nel nostro corpo - con cui dovevi fare i conti? Qualcosa che appunto si supera in L’uomo doppio, in cui si passa alla ricerca dell’io?

Folder è il frutto della mia reazione immediata a quell’evento drammatico: la rabbia, il dolore, la necessità di denunciare. Ma era una cosa che anche io dovevo affrontare. C’era qualcosa da risolvere anche in me. Perché andare avanti su questo argomento? C’è qualcosa che in noi stessi è da capire meglio, un discorso che nel mio privato ho cercato di propormi, e proporre, facendo di me stesso la cavia. Ho spostato l’attenzione su me stesso, quindi L’uomo doppio è un diario ancora più intimo di Folder.

Nell’intervista citata all’inizio del film dici che utilizzi mezzi “poveri” come macchine fotografiche digitali e anche l’Iphone per dare un’immagine il più fedele possibile della realtà in cui viviamo. Quindi è il realismo del mezzo che ci avvicina alla realtà?

L’idea non è quella di rappresentarsi ma di lasciare che la realtà emerga. C’è sempre il difetto del tocco della finzione, ma se io utilizzo questi mezzi sono loro stessi a trasportarmi. Per L’uomo doppio si è parlato di film d’avanguardia e di sperimentazione: la sperimentazione c’è stata, ma in una fase precedente; credo non sia adeguato definirlo in questo modo perché di fatto il film è fortemente calato nella realtà, che è anche, appunto, quella del mezzo.

Si potrebbe lanciare un paragone “impossibile”. Senti delle affinità tra il tuo ultimo lavoro e The Tree of Life? Senti un corrispettivo, anche se in chiave laica, tra l’apologia del mistero e della meraviglia della creazione del film di Malick e la contemplazione della natura verso la fine di L’uomo doppio, alla luce della scoperta della “particella di Dio”?

Questa similitudine l’hanno vista anche altri, come Riccardo Scamarcio, ma io onestamente non la sento. Il finale di L’uomo doppio è il culmine di un processo personale di ricerca, non credo di essere stato influenzato dal film di Malick, che tra l’altro non mi è piaciuto. Il discorso che mi interessava era quello sul concetto di vuoto, alla luce della scoperta del bosone di Higgs e più nel senso in cui lo intendono le filosofie orientali.


Enregistrer au format PDF