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Intervista a Ferzan Ozpetek

Pubblicato il 20 marzo 2003 da Alessandro Borri


Intervista a Ferzan Ozpetek

Le fate ignoranti è stato insieme al mucciniano Ultimo bacio il film che col suo clamoroso, inaspettato successo, due anni fa ha alimentato le speranze per una fantomatica “primavera” del cinema italiano. Anche quest’anno, subito dopo il Muccino di Ricordati di me, Ferzan Ozpetek torna con La finestra di fronte, a cercare di bissare il colpaccio. Finora la filmografia del regista italo-turco è stata perfettamente divisa tra due città, ugualmente fantasmagoriche e millenarie, da cui Ozpetek ha cercato con pervicacia di estrarre angoli inediti per ambientarvi le sue storie intime e sospese: la natia Istanbul per Il bagno turco-Hamam (1997) e Harem Suarè (1999), Roma nel caso dei due lavori più recenti. Il caso ha voluto che in La finestra di fronte comparisse per l’ultima volta un attore legato a tanti momenti del cinema italiano: un doveroso ricordo per il grande Massimo Girotti.

Tra le ragioni del riscontro favorevole a Le fate ignoranti c’era anche la scoperta di una Roma insolita. Questa idea faceva parte fin dall’inizio del progetto?

Sono stati fatti talmente tanti film su questa città, che sento forte l’esigenza di posarvi uno sguardo diverso da quello degli altri. In Le fate ignoranti ho utilizzato l’Ostiense, i Mercati generali, perché vivevo da quelle parti e preferivo mostrare il Gazometro rispetto al Colosseo, agli scorci turistici. Nel nuovo film invece, dovendo raccontare la piccola borghesia, ho scelto le case popolari di Monteverde, via Donna Olimpia: le ho scelte per il loro calore, che manca agli edifici di periferia più recenti, con le finestre piccole e i soffitti bassi. Sono questioni estetiche che vanno prese in considerazione quando si racconta una storia, ma l’ambiente deve essere servo della narrazione, e non il contrario. Non faccio mai inquadrature gratuite per far vedere meglio l’ambiente. Per Il bagno turco giravo in una vecchia casa coi soffitti bellissimi, e qualcuno della troupe mi suggeriva di inquadrarli, ma un film non è un documentario, e faccio sempre vedere solo ciò che è funzionale nel contesto di ogni scena.

L’idea per La finestra di fronte è nata proprio vivendo la città, da un incontro fortuito con un vecchio signore che si era perso, vero?

È stato una quindicina di anni fa. Di ritorno dalla spesa ho incontrato questo vecchio sul Lungotevere, nello stesso luogo dove poi ho ambientato delle scene. Ho girato anche al Ghetto, un altro posto che mi piace molto, e a Testaccio. Si vede il personaggio di Giovanna Mezzogiorno che prende l’autobus, la metropolitana. È la città che mi piace, quella in cui vivo tutti i giorni.

Un altro aspetto interessante è il rapporto tra due tempi della città: quella di oggi e quella delle persecuzioni razziali del 1943.

Quello che mi affascina di un luogo è la stratificazione delle vite delle persone che lo hanno abitato. Quando passo davanti a una casa, immagino tutti gli eventi di cui è stata teatro: magari lì qualcuno si è baciato, qualcun altro è stato ammazzato. Mostrando le visioni del passato non ho toccato niente dell’ambiente. A volte per rievocare gli anni ’40 ho usato solamente delle voci, su immagini delle strade come sono ora, con le macchine, il traffico. Mi interessa la memoria insita nei luoghi più che la ricostruzione storica.

Il titolo del film è ispirato da una storia turca, e questo ci porta all’altra città chiave del tuo cinema, Istanbul.

È una città di enorme fascino e bellezza, tutta da scoprire. Ci potrei fare quaranta film, come su Roma. Ai tempi de Il bagno turco, molti mi hanno detto di aver scoperto tramite il mio film posti che magari conoscevano ma non avevano mai visto veramente. Anche lì ho evitato di girare nei luoghi turistici, il Topkapi o il Gran Bazar, nonostante le insistenze del produttore turco.

Quali sono i film che meglio hanno saputo rappresentare Roma, secondo te?

Sguardi meravigliosi su Roma sono quelli di Roma città aperta, Ladri di biciclette, Roma di Fellini. Ma ci sono anche molti film minori, commedie degli anni ’40 o ’50, film spesso sottovalutati che raccontano benissimo la città, le sue strade, e mi fanno veramente sognare. Penso a Campo de’ fiori di Bonnard o a Il segno di Venere di Dino Risi, dove Franca Valeri lavora al diurno della Stazione Termini.

Un fermo immagine da tutti questi film, il momento per te più significativo.

Difficile dirlo, troppe sarebbero le immagini da citare. Una che mi colpisce moltissimo è quella di Umberto D. sul tram, che osserva la vita che scorre, pensa al suo passato...

[marzo 2003]


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