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Intervista a Francesca Comencini - Berlino 2010

Pubblicato il 18 febbraio 2010 da Antonio Valerio Spera


Intervista a Francesca Comencini - Berlino 2010

Al Golden Bear Lounge dell’Hyatt Hotel di Berlino, centro nevralgico del Festival, abbiamo incontrato Francesca Comencini. Chiamata dal direttore della Berlinale Dieter Kosslick a far parte della giuria, in questi giorni sta visionando tutti i film del concorso sotto l’occhio attento di Werner Herzog.

Come sta andando il tuo lavoro di giurata?

Sta andando molto bene. Tra noi giurati c’è un ottimo clima. La cosa bella ed interessante del far parte di una giuria di un festival è che devi vedere tanti film. Quando partecipi ad un festival con un tuo film non riesci quasi mai a vedere nulla. Da giurato invece riesce a vedere un’intera sezione, e ciò ti dà un ‘idea complessiva della selezione, ti dà uno spaccato di qualcosa.

Com’è Herzog presidente di giuria?

Devo dire che è un presidente molto attento. Con lui mi sto trovando bene.

Ti puoi sbilanciare sui film in concorso?

Non posso dire nulla. Posso però ammettere che il livello medio è molto alto.

Come giudichi l’esclusione dei film italiani dal concorso?

Innanzitutto bisogna dire che anche se non c’è nessun film italiano in concorso, cosa per cui mi dispiace molto, ce ne sono ben 5 nelle altre sezioni. Per cui non penso che ci sia stata poca attenzione per il nostro cinema. Tra l’altro questi 5 film sono tutti molto diversi tra loro. E’ il segno che il cinema italiano è variegato, è forte, che ha una sua forza interiore e che riesce a portarla e a farla sentire anche all’estero. Comunque penso siano inutili le polemiche sull’esclusione degli italiani dal concorso, serve a poco mettere in luce i problemi del cinema italiano solo in questi momenti. Credo che i dati non si debbano evincere il giorno prima o dopo le selezioni dei festival.

Pochi giorni fa Silvio Soldini ci ha detto che il modo migliore affinché un film riesca a travalicare i confini del proprio paese è raccontare bene il proprio il paese. Sei d’accordo con questa affermazione?

Sono d’accordissimo. E’ questo il modo migliore. Ma raccontare il proprio paese non vuol dire parlare di grandi tematiche, non significa mostrare le città, i problemi. Si può raccontarlo anche con storie intimiste, quelle che in molti pensano siano il male del nostro cinema.

Sei soddisfatta del risultato di Lo spazio bianco?

Con un po’ di distacco, si lo sono. Il film è arrivato. Certo mentirei se non dicessi che volevo un successo maggiore. Bisogna riflettere sullo sfruttamento dei film, uno sfruttamento che a volte non corrisponde con quel tipo di film. Penso che ci debba essere più sostegno nelle piccole sale, nelle sale dei piccoli centri cittadini. Comunque, Lo spazio bianco ha vinto tre premi al Festival di Bari.

Tu giri anche molti documentari, qual è attualmente la situazione del documentario in Italia?

La situazione del documentario è catastrofica. Non esiste un circuito di produzione né di distribuzione. Sono invisibili. La televisione potrebbe e dovrebbe dare una mano. Anche perché ora ci sono anche tantissimi giovani, pure molto bravi, che tentano la strada del documentario.

Puoi accennarci qualcosa sui tuoi nuovi progetti?

Sto pensando ma senza ancora idee definitive. Diciamo che uno verterà come sempre sul mondo del lavoro ed un altro sugli adolescenti, che il cinema italiano ancora non ha saputo ben descrivere. Oggi si parla tanto di adolescenti, ma in realtà non sappiamo chi sono loro.

In questi giorni che idea ti sei fatta della Germania, da un punto di vista culturale e cinematografico?

L’impressione che ho avuto è che ci sia tantissima attenzione da parte delle istituzioni. Si percepisce che qui la cultura sia molto importante.

Cosa ispira il tuo lavoro di regista?

Vado in giro, osservo, vivo la mia vita, sto con i miei figli. Quando un regista non è al lavoro su un film non ha una vera disciplina. Un regista deve scrivere, deve leggere, vedere film e deve osservare.


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