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Intervista a Francesco Lande, regista e attore del monologo ’Chi resiste nella palude’

Pubblicato il 8 aprile 2014 da Redazione Close-up


Intervista a Francesco Lande, regista e attore del monologo 'Chi resiste nella palude'

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Francesco Lande, regista e protagonista del monologo Chi resiste nella palude, in scena dall’8 al 18 aprile presso il Teatro Tordinona di Roma, sul recupero della memoria storica, relativa alla bonifica della palude Pontina.

Lo spettacolo è mutuato dai ricordi dei tuoi familiari. Chi è stato il primo a raccontarti le storie dell’epoca?
La mia mamma ed il mio papà raccontavano le “loro” storie ma la cosa che più rimaneva impressa era il differente tono con il quale mio padre, più grande di mia madre di nove anni, narrava gli eventi; i suoi racconti erano “appesantiti” dal fragore della Guerra e dai problemi legati alla fatica di quel periodo. La mia mamma, invece, conservava il ricordo dei giochi con tutti i fratelli nei campi, nel cortile e nei canali.

Lo spettacolo è nato da una serie di improvvisazioni. Come ha preso corpo?
Era l’agosto del 2009, dopo un primo incontro con Riccardo Mallus (l’aiuto regista n.d.r.), tra una chiacchiera ed una bibita fresca, senza impostare una direzione precisa. Nello spazio teatrale di Opera prima abbiamo lavorato liberamente sui racconti fino ad avere del materiale sufficiente per poter fare delle scelte e pensare alla prima struttura. Successivamente sono stati messi in ordine tutti gli spunti e a settembre, per ’testare’ il lavoro, abbiamo fatto le prime prove aperte con gli amici.

La bonifica della palude pontina è anche al centro dal libro di successo di Antonio Pennacchi, Canale Mussolini. E’ una coincidenza o hai preso spunto anche da questo romanzo?
Di Antonio Pennacchi ho letto Il fasciocomunista e mi è piaciuto molto, ma non ho mai letto Canale Mussolini. Chi resiste nella palude è nato l’anno precedente alla pubblicazione del suo libro, quindi è una coincidenza il fatto che i due lavori parlino del periodo della bonifica. In realtà è un periodo importante che ha segnato il territorio ed è quindi normale che stimoli la voglia di raccontarlo.

In scena usi dialetti differenti secondo i diversi personaggi. Il tuo vuole essere anche il ritratto di un’Italia che sente, oggi più che mai, il desiderio di essere unita al di là delle differenze?
Questo me lo auguro e in ogni caso i dialetti differenti derivano dalle origini della mia famiglia: mio nonno paterno era sardo, mia nonna di Sermoneta così come buona parte della famiglia di mia madre. Non era la nostra intenzione di partenza, però mi piace l’idea di dare allo spettacolo anche questa possibilità del senso unitario.


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