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Intervista a Gila Almagor

Pubblicato il 10 novembre 2014 da Monia Manzo


Intervista a Gila Almagor

Ospite d’onore dell’appena passato “Pitigliani Kolno’a Festival - Ebraismo e Israele nel Cinema” (1-5 novembre), incontriamo alla Casa del Cinema di Roma dove si è tenuta la manifestazione, una delle più note e amate stelle del cinema israeliano, Gila Almagor. È una donna che incede con un passo deciso e oltre ad essere ancora molto affascinante al di là degli anni, ha nello sguardo una luce abbagliante per chiunque la fissi negli occhi. Rompiamo subito il ghiaccio, dopo una forte stretta di mano, con una prima domanda abbastanza semplice ma diretta.

Cosa ne pensa della sua esperienza di donna produttrice, attrice e sceneggiatrice?

Sono molto contenta che oggi a differenza del passato ci siano protagoniste femminili delle Storie, registe e produttrici, ma ci è voluto molto tempo, così come anche nel teatro basti pensare a quello shakespeariano in cui le donne venivano interpretate dagli attori.
Comunque la donna è sempre stata importante nella società israeliana, ha sempre avuto un ruolo rilevante basti pensare al fatto che ha l’obbligo del servizio militare da molto tempo. Il problema invece riguarda solo alcuni ambienti, tra cui quello dello spettacolo, in cui si deve lottare per conquistare alcuni ruoli. Insomma ci vuole ancora del tempo.
Io ho iniziato molto presto a fare cinema, avevo 17 anni e allora i ruoli femminili erano molto scialbi.

Solo al cinema o anche a teatro?

Anche a teatro... e anche li è stato molto difficile adattarmi, perché l’importante era la bellezza, l’estetica, e ho sofferto molto per questo motivo. Qualche volta è una maledizione. Infatti i ruoli che dovevo interpretare erano più o meno sempre gli stessi. Quel tipo di carriera non faceva per me, avevo bisogno di essere ed esprimere qualcosa di diverso, di più profondo.

Questa è una delle ragioni per cui è diventata anche una produttrice?

Sì proprio così, diventando più responsabile di quanto accade e contribuendo a rendere i ruoli femminili più completi rispetto al passato. Prima ero schiava di alcuni stereotipi femminili. Ho dovuto tenere i capelli biondi per 3 anni perché ero entrata nell’immaginario dei registi in quel modo e ognuno di loro mi voleva così, perché era molto raro vedere una ragazza bionda. È stato terribile.

C’è una sorta di riequilibrio ora?

Volevo diventare una vera attrice. Infatti dopo 10 anni di grandi successi sia a teatro che al cinema ho deciso di smettere di lavorare in Israele e mi sono fermata per 2 anni. Ho vissuto a New York per ricominciare da zero. Ho preso lezioni di balletto classico frequentandolo assieme ad una bambina di 6 anni, perché volevo utilizzare le mani, il mio corpo totalmente. I miei insegnanti erano il massimo che si potesse immaginare: Lee Strasberg e Ute Hagen. Allora avevo una voce diversa e sono riuscita a cambiarla molto - la odiavo. Volevo avere una voce più bassa, per poter interpretare parti drammatiche e con una voce di giovane non è possibile.
Pagai delle lezioni molto costose a Uta Hagen. Era la migliore insegnante che ci potesse essere. La prima volta che mi ha visto, mi ha domandato perché fossi lì? Mi ha detto:’Sei una pazza? Vieni dal mio agente e inizia una brillante carriera anche qui?’ Io le ho risposto che non mi importava nulla della carriera ma che desideravo studiare. Quindi mi ha mandato a studiare balletto classico, chiedendomi simpaticamente se poi le volessi ancora bene.... Certo che gliene volevo. Ute aveva una voce stupenda e io volevo diventare come lei. Lei era un gigante, un’attrice afro-americana meravigliosa. Ogni giorno mi diceva: ‘Alla fine della giornata avrai la voce che meriti’. Dopo due anni la mia voce era completamente diversa e da quel momento in poi potevo usarla insieme al corpo come preferivo. Nella nostra società credo che oggi domini l’aspetto esteriore.

Cosa suggerisce ai giovani attori per non cadere nella trappola dell’estetica?

Ci sono delle meravigliose giovani attrici oggi e alcune sono solo bellissime, perciò non si può generalizzare. Consiglio loro di studiare per utilizzare realmente la propria voce, il proprio corpo. Si deve spalancare la mente ed essere aperti verso il mondo e alla persone, essere sensibili, arrivare a livelli ai quali non si dovrebbe, per imparare tutto delle persone.

Il talento quindi non basta...

No assolutamente. Se si vuole diventare non solo un attore, ma un vero artista si deve studiare moltissimo e essere sempre impegnati in questo senso. Non mi troverai mai seduta in un caffè di Tel Aviv a fare vita mondana. Perché sono troppo impegnata a fare il mio lavoro. Ancora oggi mi esercito con la voce e con il corpo. Al momento sto lavorando al National Theater di Tel Aviv.

Comunque trova il tempo per occuparsi della sua Fondazione a favore dei bambini. Quando è iniziato questo progetto e qual’è la motivazione che l’ha spinta a cominciare?

Ho iniziato 39 anni fa, per caso: ho incontrato un bambino malato tramite un amico che mi ha chiesto di farlo. Gli ho chiesto perché avesse scelto proprio me e mi ha risposto che era stata una voce ad indicargli proprio me. I bambini malati sono un’ingiustizia, rappresentano un mistero di Dio.
Da quel momento per quattordici anni mi sono impegnata da sola a mandare avanti la Fondazione, perché volevo dimostrare di essere in grado di farlo: attingendo dalle mie tasche e impiegando molto del mio tempo. Soprattutto sono stata spinta ad impegnarmi per creare un’organizzazione dove non ci fossero interessi economici: la mia è l’unica.
Dopo tutto quel tempo mi sono resa conto che non potevo più sostenere i ritmi e uno dei miei migliori amici si è unito a me. Da quel momento la fondazione si è trasformata nel risultato maggiore della mia vita: a novembre porterò a Londra un bambino cieco ad incontrare Andrea Bocelli, di cui sa tutta la storia e con il quale si identifica. Ci sarà un concerto e il bimbo sarà suo ospite. È un regalo che gli ho voluto fare..

Anche nella malattia quindi sono importanti i momenti di gioia? Le cose vissute?

Certo tutto quello che possiamo fare per i bimbi malati è fargli vivere i loro sogni e ogni mese organizziamo una festa per i bambini malati di cancro, in cui invitiamo le più grandi star, i loro beniamini.

Lei diventa una specie di maga per loro...

Sì, sono anche una maga … spesso riuniamo tutta la famiglia dei bambini malati. Perché come si può immaginare le energie dei genitori sono concentrate sulla malattia e questo elemento può danneggiare l’equilibrio familiare.

Pensa che nel prossimo futuro verrà con il suo teatro anche in Italia. Ne avremmo bisogno noi che siamo un po’ bloccati...

Al momento non so perché il mio impegno è tutto concentrato sul teatro nazionale israeliano e avendo come marito un produttore dipendo anche dai suoi impegni.
Penso comunque che il cinema e il teatro italiano siano pieni di esempi geniali di attori e registi. Anche se in un periodo sembra tutto statico è solo un momento in cui la fiamma del talento si sta alimentando, ma poi alla fine risorgerà nella sua pienezza.


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