X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Intervista a Joe Dante - Il mio ululato a Venezia!

Pubblicato il 10 settembre 2009 da Carlo Dutto


Intervista a Joe Dante - Il mio ululato a Venezia!

Nel mezzo del cammin del nostro festival, incontriamo Joe Dante allo Spazio Style Lounge dell’Hotel Excelsior, tra un Moet Chandon e uno sguardo al mare sottostante. L’intervista con il regista di Gremlins, Explorers, Small Soldiers avviene prima della proiezione dell’ultimo film del regista cresciuto nella factory di Roger Corman, presentato qui a Venezia, The Hole in 3D. Lo stesso Dante ha visto il film finito solo una settimana prima.

Come ha fatto a rileggere delle tematiche proprie del cinema cosiddetto di serie B in film mainstream come L’Ululato o Gremlins?
Mi considero fortunato perché ho iniziato a girare film nel periodo di transizione in cui tutti quei film considerati trashy, da drive-in, destinati a un pubblico di ragazzi, iniziarono a diventare film di serie A anche per un pubblico più adulto. Tutto a un tratto arrivò una grande attenzione e tanti capitali per fare film come Batman, considerati di sotto-cultura popolare, da disprezzare. Quei bambini come me sono cresciuti e ora film che 20 anni prima sarebbero stati serial o film di serie B.

Leggendo la sinossi, si può dire che anche The Hole in 3D sia, come la maggior parte dei suoi film, un horror formato-famiglia?
Certo che si, non avrei potuto descriverlo meglio! I miei film non fanno così paura, c’è molto humour, anzi e questo abbassa la paura! Ma se avete paura dei clown, non andate a vederlo!

Il film parla di due fratelli e una ragazza che trovano nel seminterrato di casa una voragine senza fondo da cui si sprigionano le peggiori forze del male. I tre dovranno affrontare le loro paure più ancestrali e primarie per sopravvivere e risolvere il mistero. Una voragine che in qualche modo è metafora del periodo di crisi che stiamo vivendo, un filo rosso di questa Mostra del Cinema, da Capitalism a Repo Chick?
Le riprese del film si sono svolte effettivamente nel momento culminante della crisi economica che dagli Stati uniti aveva iniziato la sua via verso il resto del mondo, ma è una condizione che è rimasta forse inconsciamente sullo sfondo. Non ho mai pensato alla crisi in atto girando il film o alcune particolari scene, non fa parte quindi di quel filone à la Michael Moore che invece affronta direttamente l’argomento.

Che significato da alla paura, lei che nei suoi film horror ha sempre esorcizzato la paura con una grande, sana dose di humour nero?
La paura è un’emozione di base, è ciò che non conosciamo e che esce da The Hole, tocca le corde emozionali di tutti, per questo il genere horror è tanto popolare. Per il lancio de L’ululato (1978 ndr), il flano recitava: “Immagina che le tue peggiori paure diventino realtà”: uno slogan che avrei benissimo potuto utilizzare anche per The Hole in 3D…La mia paura più grande comunque, il mio incubo ricorrente è di non riuscire a fare più film! Aggiungerei anche che mi ha tremendamente spaventato l’amministrazione Bush!

Immancabile, per un regista statunitense, un pensiero sull’elezione di Obama alla presidenza Usa: si sente sollevato?
l’elezione di Obama devo dire che nei primi tempi mi sentivo sollevato, ma mi spiace ammettere che la sua amministrazione si sta sempre più rivelando più simile a quella di Bush e questo non può che turbarmi. Gli americani hanno troppe paure, sono sempre arrabbiati e per molte cose, e ora anche Obama, dopo gli entusiasmi iniziali è molto meno amato in patria.

La sua filmografia rivela un rapporto molto proficuo con la tecnologia, ora molto di moda e di cui troppo spesso i registi abusano. Come l’ha utilizzata nella sua carriera?

davvero di non averla utilizzata troppo io stesso! Sono sempre stato affascinato dalla tecnologia 3D, fin da bambino negli anni Cinquanta ricordo l’introduzione del 3D nei cinema, anche se poi si tratto di un esperimento o poco più che non fu continuato a causa degli altissimi costi che le sale cinematografiche dovevano sobbarcarsi per proiettare i film in 3D. Dopo molti tentativi, oggi le tecnologie si sono notevolmente avanzate anche in termini di diffusione e ne vedremo delle belle con Avatar, di cui non ho visto ancora le prime immagini, ma che immagino sarà un film rivoluzionario da questo punto di vista. La tecnologia degli effetti speciali si sta sempre più trasformando in strumento stesso della narrazione, da utilizzare come scelta stilistica come si utilizza un bianco e nero, o il colore, o il cinemascope. Non sarà il 3D a fare la qualità da sola dei film, ma spero che l’utilizzo del 3D avverrà in modo discriminatorio, solo per quei film dove davvero ce ne sia bisogno!

Come si rapporta in questo ai suoi colleghi Spielberg, Zemeckis, Peter Jackson, che fanno grande uso degli effetti speciali? Un filo rosso che vi collega per le tematiche dei vostri film o semplicemente per una ragione generazionale?
Tutti questi registi, cui aggiungo anche James Cameron, sono stati e sono tuttora tutti all’avanguardia nell’uso degli effetti speciali e delle tecnologie cinematografiche. Pensa ad esempio a Spielberg, uno con cui ho lavorato direttamente, e alla Industrial Light and Magic che al tempo elaborò nuove tecnologie, nuove macchine da presa, aprendo nuovi spazi di espressione nel cinema. Ora che il 3D sta prendendo piede, e con la sempre maggiore affidabilità delle nuove tecnologie, sono sicuro che saranno sempre più i registi che ne faranno uso. Basti pensare al fatto che negli anni Cinquanta, quando si stava già spegnendo l’interesse al 3D, ci furono registi come Alfred Hitchcock che invece girarono film con questa tecnologia (il Maestro inglese con Delitto Perfetto, 1954 ndr), ma venivano proiettati in 3D in pochissime sale…

Nel suo film Matinee (1993) ha omaggiato la stagione del cinema di William Castle e i suoi sistemi per influenzare il pubblico durante le proiezioni dei film. Si sente un pò come William Castle oggi?
No, quella sorta di trucchi pioneristici che ho mostrato nel film erano semplicemente parte dello show, con le scosse elettriche sotto i sedili degli spettatori. Nel futuro credo che l’interazione con il pubblico sarà sempre maggiore, e si creerà un dilemma per i registi nel raccontare una storia nel momento in cui il pubblico arriverà a decidere come va avanti il film.

Lei è qui a Venezia in veste di giurato del Concorso, che esperienza si sta rivelando, dopo oltre una settimana di festival?
Devo dire per venerdì avrò visto 25 film, se poi aggiungo anche quelli che vedrò per mia scelta, fuori da quelli del Concorso, saranno quasi trenta! Il problema è che la sera magari ricordi una scena ma non ricordi di quale film fosse! Una esperienza eccitante, comunque, che davvero mette alla prova il proprio amore per il cinema! I festival servono comunque tantissimo dato che permettono a molta gente di vedere dei film che magari non avranno mai distribuzione.

Lei è autore di due dei forse migliori episodi della serie dei Master of Horrors. Serie di genere prodotte con budget, location e durata delle riprese e del montaggio finale limitati. Una vera e propria sfida produttiva vinta anche grazie all’ottimo riscontro di pubblico e critica. Girare un film horror quasi fosse un cortometraggio lungo che tipo di esperienza è stata e che lei sappia è prevista una terza serie?
Per me e per gli altri registi provenienti dagli studios in particolare è stata un’esperienza totalmente liberatoria: durante tutta la fase produttiva dei film nessun regista ha mai ricevuto pressioni, nè mai interferenze sul set. Non abbiamo avuto poi la “pressione” delle preview al pubblico di ragazzini e alle note che lasciano dopo queste visioni, piene di critiche e impressioni. Mi piacerebbe continuare ma che io sappia non è prevista una terza serie!

Di cosa aveva paura da bambino e che film la spaventano?
Da bambino rimasi folgorato dalla paura vedendo Tarantula (diretto da Jack Arnold, 1955 ndr), la storia di un ragno gigante che sognavo sotto il mio letto la notte. Sono sempre stato affascinato dai film di paura e dopo alcuni tentativi di fermarmi nella mia passione cinematografica, i miei genitori si sono presto arresi. A parte i film di Romero, non ci sono registi specializzati nel genere horror, anche se un film che mi ha sempre spaventato è The innocents, un film del 1961 (diretto da Jack Clayton con Deborah Kerr e Michael Redgrave ndr), una storia di fantasmi.

Lei crede nei fantasmi?
Curiosa domanda: direi infatti che, si, ci credo, quando giro un film e sono su un set e restano tracce delle persone nei luoghi fisici dove hanno girato.

Lei non scrive quasi mai i suoi film: quanto tradisce uno script durante le riprese?
Io scrivevo le sceneggiature all’inizio, ma ho scoperto che esistono persone che scrivono molto meglio di me, ma faccio molte aggiunte e cambiamenti alle sceneggiature che ti portano a deviare dallo script. Secondo me un film passa attraverso tre passaggi, che portano a tre film diversi: quando sono scritti, quando sono girati e quando sono montati.

Leggendo la sinossi di The Hole in 3D si rileva uno dei topoi del cinema horror, il tema dell’antro infernale sotto la casa. I suoi film sono ricchi di omaggi cinefili più o meno volontari, qui ci sono riferimenti o omaggi a qualche film, per esempio a The Gate o regista specifico, per esempio Fulci?
Il mio non è stato un diretto omaggio a The Gate. In effetti ci sono molti film con titoli simili al mio, the Hole o The Holes, io stesso ho suggerito altri titoli, ma alla fine non si è trovato nulla di meglio. Questo film quindi non è che l’ultimo lavoro della mia filmografia con il titolo non azzeccatissimo. Ormai sono arrivato al punto che gli omaggi o le citazioni sono inconsce, non mi devo sforzare, ho talmente tante immagini nella mia testa che spesso rivedo i miei film e penso di averla rubata da altri film miei o di altri.

Interessante è anche la colonna sonora, che lavoro ha fatto per le musiche?
In realtà la colonna sonora, di cui sono molto soddisfatto, è stata registrata dall’Orchestra sinfonica slovacca a Bratislava per risparmiare e il compositore (Javier Navarette ndr), che ha sostituito Jerry Goldsmith - che è morto da poco e che aveva musicato tutti i miei film - si è rivelato davvero bravo!

Nell’aneddotica della storia del cinema si parla molto della diatriba da Guiness dei Primati sul primo film che proponesse una trasformazione live di fronte alla mdp e che mette in contrapposizione il suo L’Ululato con il Landis del Lupo mannaro americano a Londra. Ci svela l’arcano?

Il primo film in cui la trasformazione in lupo avviene di fronte alla macchina da presa è in ordine cronologico il mio, L’ululato. Io e la produzione volevamo lanciare il film dal punto di vista commerciale e questo espediente mai provato prima di allora fu la chiave di tutto. Nel mio film, a differenza di quello di Landis, pur essendo molto meno perfetta dal punto di vista tecnico, può vantare il fatto che degli attori erano nella scena e ho potuto registrare le loro reali reazioni alla trasformazione in atto di fronte a loro. La scena girata da Landis ha anche piccoli errori, per esempio è illuminata male e si vede nell’immagine del braccio.

Venezia, 9 settembre 2009


Enregistrer au format PDF