X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Intervista ad Alina Marazzi

Pubblicato il 22 dicembre 2002 da Marino Galdiero


Intervista ad Alina Marazzi

Com’è nata questa idea?

Intanto non avevo intenzione di fare un film su la vicenda personale di mia madre o le questioni famigliari, non ci avevo mai pensato. Ho trovato questi vecchi filmati 16 millimetri, e guardandoli ho capito che lì c’era un piccolo patrimonio cinematografico, ed avevano per me un valore evocativo ed affettivo enorme. Non li ho guardati tutti insieme, sono circa 20 ore di materiale, tutti filmati girati da mio nonno dal 1926, ed io ho solo quelli sino al 1972, poi lui ha continuato a girare in 8 mm in super 8... E per cui guardavo e ripercorrevo il secolo e la storia della famiglia, rivedevo il nonno giovane, mia nonna... ce pure una ripresa del giorno quando è nata mia madre... Lui aveva questo gusto per l’osservazione molto particolare, praticamente un tuffo nel passato incredibile, e credo abbastanza raro trovare così tanto patrimonio all’interno di una famiglia

Prima non li avevi mai visti?

No, ne avevo visti un paio quando eravamo bambini al ritorno da un viaggio dei nonni. Ero però assolutamente inconsapevole che fossero così tanti..., e che ci fosse stata questa rigorosa meticolosità... anno dopo anno... tutte le vacanze, tutti i viaggi, tutti i nipoti, tutti i bambini, era tutto documentato. Erano passati più di 20 anni dalla morte di mia madre quando li ho ripresi, quindi è stato abbastanza scioccante rivedere tutto quello in film, in più le immagini d’archivio in generale sono sempre molto struggenti, evocative, volti di persone che non c’erano più.

Il film è inevitabilmente un film alla ricerca di tua madre, di un volto, che trova il suo apice nella parola, è come se quest’oggetto misterioso sfuggente lo ritrovi attraverso la parola...

La parola fa da contrappunto alle immagini.

C’è una prima selezione che hai fatto che è di tipo cronologico storica...

Ho iniziato a montare il film seguendo un ordine cronologico, prendendo anche delle immagini vecchie di mia nonna ragazza, e sono arrivata sino ad un certo punto, ed erano circa 40’. Ho mostrato questo montaggio su cui avevo appoggiato delle musiche ad amici e colleghi, e tutti sono rimasti subito colpiti. Con la montatrice, Ilaria Fraioli, man mano che montavamo le stesse immagini, in questi volti, nello scambio di sguardi che si attuava non solo all’interno dello schermo, ma dentro e fuori lo schermo, ci sembrava come se si costruisse una storia un dialogo. In fondo è un film che parla della vita, del rapporto tra genitori e figli, dell’amore, del disagio esistenziale...

Un secondo livello è la storia di tua madre...

La seconda fase riguarda l’arricchimento di quelle immagini con fotografie, la ripresa dei diari, le lettere. Ho riletto i diari le lettere che avevo in parte letto anni prima e ho trascritto ogni cosa selezionato e ricostruito... in realtà io ho scoperto la storia nei suoi dettagli man mano, attraverso il film, facendo il film mi sono raccontata la storia oltre che raccontarla ad altri. E’ come se ogni volta scoprissi una cosa nuova, a volte erano le immagini che mi suggerivano degli accostamenti con delle parole, a volte erano dei testi che mi facevano venire in mente delle immagini che avevo visto che mi facevano fare dei salti nel passato. Il film ha una struttura cronologica ma segue anche dei salti, come se fossero dei flashback, per cui questo mondo passato, presente nel vissuto interiore di mia madre, era già lì documentato.

Un montaggio dove il passato e il presente in maniera proustiana, si rivelano l’uno con l’altro...

All’inizio volevo solo selezionare queste immagini, poi ci siamo appassionate, per cui la costruzione della struttura del film l’abbiamo scritta in sala di montaggio, un lavoro fatto a quattro mani. Ci sono dei punti di montaggio visivo che spiegano molte cose, abbiamo dovuto lavorare con del materiale reale, quindi con qualcosa di molto prezioso, al tempo stesso ci siamo comportate con quelle immagini e con quelle persone come se fossero dei personaggi di un film e per cui ne parlavamo come se stessimo montando un film di fiction. Era proprio come se fossero dei personaggi creati per lo schermo e questo c’ha dato molta libertà nel superare alcuni passaggi.

Ci sei poi tu con la tua voce...ed è come se dirigessi le immagini con la tua voce, una sorta di regia in campo, coinvolta pienamente a districare la matassa del passato

La voce e il tempo del film è il tempo presente. La lettera all’inizio del film l’ho scritta io, è una lettera ipotetica che mi madre ha scritto a me in un tempo ipotetico, in cui lei dice: Cara Alina ora ti racconto la mia storia...

C’è una identificazione forte tra il cinema l’immagine e il mondo femminile. Il volto del cinema è come se fosse femminile, il volto di una madre, capace di generare...la ricerca di questo volto è la ricerca di una “generazione”

Riguardo allo scambio tra generazioni ci tenevo a mantenere quella parte più vecchia che riguarda la nonna, in fondo è la premessa di tutto quanto. Io ho iniziato un dialogo con mia madre, però esisteva già un dialogo diverso con sua madre, ed è la classica ripetizione della vita... quando uno diventa grande si rispecchia nel proprio genitore, e rivaluta alcune cose che non erano apparse chiare. È come se ci fossero tre incroci di sguardi, più volte io ho messo vicino lo sguardo di mia madre con lo sguardo di sua madre, e mentre loro si guardano in realtà ci sono anche io che guardo loro

Il tuo percorso prima di arrivare a questo documentario

Il mio primo documentario l’ho realizzato nel ’90. Era su un’isola siciliana che si chiama Marettimo, un’isola delle Egadi, una storia sull’emigrazione, anche lì con un’attenzione particolare al vissuto delle donne che rimanevano a casa, gli uomini che emigravano... ho continuato con dei documentari per la televisione svizzera italiana, sempre di argomento di tipo sociale o culturale, però con grande libertà, documentari di un’ora, per cui ne abbiamo fatto uno su Milano, la Milano da bere, prima che scoppiasse tangentopoli, e un altro sulla relazione tra inquinamento ambientale e crisi del mondo del lavoro nel Mediterraneo. Dopo ho fatto una lunga esperienza in carcere (sorride) cioè lunga.. per circa un anno ho tenuto un laboratorio video all’interno del carcere di san Vittore, e quello stesso anno mi è stato proposto di fare un documentario di due puntate di un’ora l’uno per rai 2, sui ragazzi nei carceri minorili, questo documentario si chiama Ragazzi dentro. L’interesse era uno sguardo sul sociale e parallelamente facevo e faccio l’aiuto regista per il cinema, all’inizio con Giuseppe Bertolucci, poi con Giuseppe Piccioni il rapporto più importante. Un’altra realtà che ha lasciato il segno nella mia formazione è lo Studio Azzurro di Milano, ho fatto con loro un lungometraggio, e alcune ambientazioni (ambienti sensibili) la loro riflessione sulle immagini mi interessa molto. Non so cosa farò in futuro anche perché Un’ora sola ti vorrei è un percorso anomalo, il documentario è la forma che m’interessa di più.

(dicembre 2002)


Enregistrer au format PDF