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Intervista ad Antonietta De Lillo

Pubblicato il 10 novembre 2004 da Mazzino Montinari


Intervista ad Antonietta De Lillo

In un’epoca come questa riflettere criticamente sulle ragioni dei giusti è un’operazione salutare ma anche estremamente complicata. Come hai lavorato sui personaggi de Il resto di niente?

Credo che più che additare i cattivi, dovremmo lavorare su noi stessi, sulle nostre fragilità. Trovare dei percorsi nuovi, più sereni, capaci di penetrare con maggiore efficacia quest’epoca. Io ho amato molto i personaggi usciti dalla penna di Enzo Striano. E volevo essere vicino a loro non trattandoli semplicemente come figure storiche o letterarie. Sono intelligenti, nobili e romantici ma sono anche fragili, non hanno un contatto vero con la realtà, non rappresentano nulla se non un ideale. Sentivo l’esigenza, allora, di esprimere questa fragilità, di operare un lavoro affettuosamente critico che in qualche modo spingesse a una riflessione sull’oggi, appunto, sulle nostre fragilità.

Come mai Eleonora e i suoi compagni falliscono la loro rivoluzione. E così difficile estendere principi come quelli della democrazia, dell’eguaglianza e della libertà a un sentimento comune?

Democrazia, libertà, eguaglianza sono concetti che non devono essere semplicemente comunicati ma anche codificati all’interno di una morale. Sei noi pensiamo alla mafia, ha delle regole fortissime, ha un profondo senso del rispetto, però al servizio di una radicale a-moralità. Il punto è che ogni ideale deve essere sostenuto da una base culturale. Non a caso ho inserito nel film la figura di Filangeri che nel romanzo non era presente. E’ un intellettuale che comprende l’importanza dell’origine e della formazione degli individui e che sa quanto sia decisivo elevare la propria condizione culturale affinché il mondo possa migliorare. Ovviamente accanto alla razionalità è necessario coltivare la spiritualità. Le vicende dei personaggi de Il resto di niente sono commoventi. Ecco, io mi commuovo di fronte a questi individui perché sono mossi dall’utopia, un’idea che noi abbiamo perso e che invece dovremmo recuperare perché è necessaria, è ciò che ci fa muovere e amare.

Hai iniziato a lavorare a questo film cinque anni fa. Poi sono accadute tante cose, è cambiato drammaticamente il quadro politico internazionale e nazionale. Avresti girato lo stesso film nel 1999?

Quando ho letto il romanzo, ero principalmente affascinata dal personaggio di Eleonora, dal suo essere una donna moderna, capace di possedere una sua moralità e di essere libera da ogni vincolo ideologico. Eleonora è una donna fragile ma anche forte di una propria integrità. Col passare degli anni, non ho cambiato il progetto artistico ma sono emersi degli elementi politici importanti che non potevano essere lasciati fuori campo. Ho assunto un punto di vista che tenesse conto di aspetti sociali e politici. Tutto questo è accaduto in virtù della modernità della storia di Eleonora.

Una storia universale ma anche profondamente napoletana

E’ una vicenda vivissima nella mente e nel cuore dei napoletani, basti pensare che il romanzo di Striano pubblicato solo da una piccola casa editrice locale fino al 1999, è stato il più venduto nella città di Napoli. Questo, tra l’altro, mi convince che l’utopia non è qualcosa di inutile. Gli ideali di Eleonora e dei suoi compagni d’avventura sono rimasti e hanno segnato un’evoluzione anche se all’epoca non vennero capiti dal popolo.

Come hai scoperto il romanzo di Enzo Striano?

Io sono una donna tenace che però si lascia anche guidare dalle situazioni. Una mia amica mi suggerì di leggere il romanzo e di farci un film. Come detto a Napoli Il resto di niente era uno dei libri più letti e amati. Successivamente ho incontrato la moglie di Striano, lo scrittore purtroppo era morto da qualche anno. Le dissi che avevo intenzione di fare un film tratto dal libro di suo marito ma che avrei stravolto la storia del romanzo rimanendo fedele allo spirito. A differenza del romanzo, infatti, ho cambiato la struttura narrativa, ho contratto la storia nelle poche ore che precedono la morte di Eleonora. E ho ricostruito il personaggio in modo più emotivo che storico.

Il resto di niente è un film in costume che da un punto di vista stilistico si discosta molto dal genere. Penso di aver osato molto dal punto di vista estetico. Innanzitutto non mi sono fatta intimidire dal racconto storico e dal film in costume. Volevo eliminare la distanza dai personaggi ed evitare di perdermi in un mondo che non era il mio, nei costumi, nei vestiti, nelle acconciature, nei mobili e in tutto quello che concerne la ricostruzione di un ambiente. Insomma, volevo stare con i personaggi, avvicinandomi con affetto. Per questo ho usato la macchina a mano e il 16mm.

Mentre lavoravi a Il resto di niente, hai realizzato un altro film, Non è giusto. L’uso del digitale leggero ha in qualche modo influito nelle scelta del 16mm?

Non è giusto mi ha arricchito, è stata un’esperienza che mi ha permesso di affrontare in modo più moderno un racconto storico. Da quel film ho preso la soggettiva. Ma va aggiunto che in Non è giusto il lavoro è stato più semplice, nel senso che la camera si identificava con la prospettiva dei bambini che osservavano il mondo dei grandi. Ne Il resto di niente la camera non si sostituisce agli occhi di Eleonora ma, come dire, al suo stomaco, al suo cuore. Per questo nel film si sovrappongono linguaggi diversi. C’è la soggettiva di Non è giusto quando Eleonora dialoga con Filangeri prima di morire e quando ricorda i momenti più importanti della sua esperienza politica. Ma c’è anche uno sguardo oggettivo con una camera ferma, simile alla visione di un quadro. E poi c’è una soggettività rappresentata in modo teatrale quando, ad esempio, Eleonora ricorda alcuni episodi del suo matrimonio. Insomma, la soggettiva de Il resto di niente è più complessa e articolata di quella di Non è giusto. E’ spirituale e dunque cambia a seconda dell’emozione che si prova, quando il ricordo riguarda la grande storia, quando la memoria torna ai giorni passati in carcere o quando torna alla mente la morte del figlioletto.

Come è avvenuta la scelta di Maria de Medeiros per il ruolo di protagonista?

Ho immaginato Eleonora come un personaggio fedele a se stesso, che nonostante non si sottraesse alla vita fosse sempre riconoscibile. E’ una persona naturalmente moderna, è istintiva, non ha bisogno di teorie. La scelta di Maria de Medeiros è stata immediata, non avevo in mente altre attrici fuorché lei. Maria è portoghese, ha fatto un film sulla rivoluzione, e incarna una forte personalità unita a un aspetto fragile.

Tra i tanti napoletani c’è anche Daniele Sepe che si è occupato delle musiche.

Daniele conferma quanto questa storia sia sentita dai napoletani. Una storia che trasmette certamente dei contenuti universali che riguardano tutti. Però questa vicenda è fondamentalmente dentro noi napoletani. Gli attori e la maggior parte della troupe sono di Napoli e hanno voluto esserci anche per un piccolo ruolo. Per quanto riguarda Daniele, ha svolto un lavoro fondamentale anche sul set quando si dovevano eseguire le musiche dal vivo. E poi ha realizzato un ottimo commento musicale.

Un altro aspetto importante è stato il trucco.

In tutta la fase di realizzazione ho potuto approfittare di incontri fortunati come nel caso di Aldo Signoretti, un premio Oscar, che si è occupato del trucco riuscendo a unire il rigore alla fantasia. Grazie al suo lavoro i personaggi hanno acquistato vitalità, non sono imbalsamati e distanti. Se il film possiede un’eleganza stilistica lo devo anche a questo incontro fortunato e non previsto inizialmente.

[novembre 2004]


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