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Intervista con Chiara Rapaccini: il mio Mario Monicelli "under ground" al Cineclub Detour

Pubblicato il 5 dicembre 2012 da Giammario Di Risio


Intervista con Chiara Rapaccini: il mio Mario Monicelli "under ground" al Cineclub Detour

Il pubblico del Cineclub Detour di Roma assisterà tranquillo al ritorno, dalle viscere della terra, di un maestro notissimo per il suo pensiero, i numerosi film ed i suoi personaggi paradossali, amarognoli, fuori dal comune. Comincia qui il racconto delle giornate dedicate a Mario Monicelli, dal 6 al 9 Dicembre; ad accompagnarci dalla platea immaginaria fino alla scena principale c’è Chiara Rapaccini, l’artista e famosa illustratrice, compagna del maestro e madre di sua figlia Rosa.

Com’è nata la struttura contenutistica di “Mario under ground”?

È una manifestazione organizzata dal Cineclub Detour e dal critico cinematografico Daniele Lupi; io ho dato una mano e insieme abbiamo deciso di fare qualcosa di veramente “under ground”, anche se poche persone hanno capito immediatamente il gioco di parole. Non ci andava di procedere, come si fa in questi casi, con toni celebrativi; avremmo potuto rivedere La Grande Guerra e I soliti ignoti, viceversa abbiamo voluto presentare un ritratto di Mario originale, discontinuo. Per questo motivo, sarà possibile vedere un’opera di scarso successo al botteghino, anzi un flop totale, che però lui amava tanto: Temporale Rosy. È un film che parla del catch wrestling mediante personaggi particolari, borderline, quelli che Mario amava. Mi ricordo quando andammo in giro per sopralluoghi e provini in nordeuropa, a Liverpool, Lille, Amburgo e le cene con questi uomini e donne altissimi, vestiti da struzzo, colorati e fuori di testa. Alla fine lui scelse come protagonista Depardieu e una boxer americana, che pesava centottanta kg.

Un Festival che sembrerebbe voler spaziare dalle immagini in movimento fino alla politica.

Un appuntamento caratterizzato da piccole chicche in cui interverranno tanti ospiti, tra cui Goffredo Fofi e le “Brigate Monicelli”, che ci parleranno delle manifestazioni che organizzano in giro per il mondo per ricordare Mario. Proietteremo anche i tweet, a volte duri ma autentici, appena successivi alla sua morte apparsi sul blog spinoza.it. Racconteremo un misto di cose che accadono attorno ad un uomo.

E se questo uomo, appunto Monicelli, fosse il protagonista di un fumetto come se lo immaginerebbe?

È una bella domanda. Sicuramente sarebbe un assassino galante, un uomo freddo, elegante e dai gesti cordiali, che prima di compiere l’atto violento fa divertire le proprie vittime. Un personaggio che esorcizza il tema della morte, ed infatti “Mario under ground” è il collante per immaginarlo dentro la tomba che se la ride di tutte le cose che abbiamo organizzato.

Torniamo al fumetto. Come farebbe divertire la vittima prestabilita?

Sicuramente gli farebbe delle ruberie, gli nasconderebbe un oggetto di valore e lo prenderebbe in giro.

Il bene e il male della patria secondo Monicelli.

Mario era in tutto italiano, gli piaceva moltissimo l’Italia e in primis Roma; odiava la campagna, anche se poi veniva volentieri a trascorrere del tempo con me in Maremma, e ritrovava la sua dimensione passeggiando per gli angoli del quartiere Monti. Amava i suoni, il casino e mi diceva sempre: “Io non potrei vivere dove non ci sono tabaccai e tram che fanno rumore”. Quando passeggiavamo con nostra figlia in carrozzina, mi consigliava provocatoriamente di farla respirare dal tubo di scappamento delle auto: “Così cresce sana e forte come i topi di Roma”, che sono sanissimi! Era un uomo che amava vivere in gruppo e stare in giro, per bar e trattorie, con la Suso Cecchi d’Amico, Age, Scarpelli.

Il rapporto di Monicelli con i sistemi di potere come il fascismo e il berlusconismo?

Più che odiare il periodo del fascismo, anche se il padre si suicidò per motivi politici, Mario ha sofferto gli anni di Berlusconi. È stato un periodo in cui si è completamente allontanato dalla sinistra e, se fosse ancora in vita, sicuramente il dibattito politico di questi giorni lo avrebbe infastidito.

In controtendenza con l’opinione pubblica che parla di un ritorno alla “Politica” con le primarie del centrosinistra, non trova?

Sì, perchè lui che veniva da guerre politiche, da una visione ideale della sinistra caratterizzata da letture e dibattiti in famiglia, non sopportava questo valzer di apparato che Bersani rappresenta. Su Renzi e la rottamazione non mi esprimo, ma gli italiani vivono all’interno di apparati e Mario ha sempre osteggiato tale sistema.

Come vede una storicizzazione del regista Monicelli?

Credo che sarà dimenticato come Fellini o Visconti. Non senti mai parlare di questi registi se non all’interno di un circuito festivaliero; forse resterà la fascinazione che ha suscitato nelle giovani generazioni con la sua impronta etica, quella modalità di pensiero che lo faceva uscire dagli argini del tipico cineasta.

E il maestro, come uomo intriso di Novecento, come analizzava lo slittamento del cinema nel calderone del digitale?

Mario andava d’accordo con questa rivoluzione. Era disposto a vedere La Grande Guerra all’interno di una piattaforma nuova e non si sentiva vincolato da un approccio tradizionale, che vuole il cinema come metafora della sala cinematografica. Non ha mai avuto, in tal senso, una mistica retrò: era molto moderno.

Anche se poi considerava il vero cinema quello muto, dico bene?

Si dice bene. Ma non era mai nostalgico, viceversa era un grande osservatore e curioso. Ha fatto tre film muti, ma quando esaltava quel periodo il tono che usava non era mai retorico, e le cose che diceva non erano velate di rimpianto per il tempo passato. Il muto lo affascinava perché il cinema di quell’epoca era un’arte minore, che non aveva bisogno di tanti elementi, come la colonna sonora. Quest’ultima però poi l’ha sempre utilizzata e amata, basti pensare alle melodie de I soliti ignoti o dell’Armata Brancaleone.

Si prendeva gioco anche dell’interlocutore a volte, come Hitchcock.

Faceva sempre la boudate; magari per scagliarsi contro uno che gli stava antipatico e quindi, in alcuni particolari casi, si contraddiceva a distanza di un giorno.

Ha paura che i pensieri del maestro possano essere strumentalizzati?

Lui parlava con passione e che si trattasse di politica o di spezzatino non faceva differenza. Quando veniva invitato alle trasmissioni, un esempio su tutti le ospitate da Santoro, esprimeva le sue passioni e spesso faceva irritare. È interessante questo elemento, perché ci decontestualizza un Monicelli che voleva fare incazzare, smuovere lo coscienze.

Concludendo con il cinema: nei film Monicelli si innamorava dell’”imbroglione”, ma nella vita viceversa strizzava l’occhio al “santo”?

Se consideriamo l’aggettivo santo come sinonimo di onestà, le confesso che Mario è stato l’uomo più etico che io abbia mai conosciuto, e nella vita era incorruttibile. Nei suoi film i protagonisti sono tutti degli sfigati, figure che non riescono mai a portare a termine un’azione. Credo che la sua filmografia sia in fondo la mappatura visiva di una storia che si ripete, come se tutta la sua opera fosse un unico film. Lei mi parla di imbroglioni, ma io li chiamerei “imbroglioncelli”, figure che, in profondità, suscitano affetto e fanno riflettere.

Inizio proiezioni ore 21:00; dal 6 al 9 dicembre. Per maggiori info: www.cinedetour.it


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