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Intervista con David Moscato: i cento anni della Universal

Pubblicato il 9 novembre 2012 da Giammario Di Risio


Intervista con David Moscato: i cento anni della Universal

Facciamo quattro chiacchiere con il dott. David Moscato, Managing Director di Universal Italia, fuori dalla Galleria Alberto Sordi che ospita immagini di film che hanno fatto la storia del cinema. Da Dracula a L’uomo Lupo, da Gli Uccelli ad Apocalypse Now, passando per La Stangata e Lo squalo, sono solo alcuni dei tanti capolavori che la major americana ha sfornato nel corso della sua storia, arrivando quest’anno alle cento candeline.

Guardandoci indietro, in che modo Universal ha forgiato fette di immaginario collettivo e quali caratteristiche la differenziano dalle altre majors?

Se ripercorriamo la storia di Universal notiamo dei passaggi fondamentali in concomitanza con l’evoluzione dei generi cinematografici. Troviamo da sempre elementi facenti parte della vita reale: si va dal bianco e nero all’horror, poi arriva Hitchcock che passa il testimone a Spielberg e tutta una serie di film che presentano uno sguardo al futuro ma che, nello stesso tempo, si prendono cura del passato e della tradizione e mi viene in mente la trilogia Back to the future.. La cifra stilistica sta nel radicare insieme elementi di vita reale, l’attenzione alla storia dell’umanità e, a conclusione del cerchio, l’influenza che la stessa Universal compie ogni giorno sullo spettatore. Un film come The blues brothers è riuscito a coniugare una riflessione sulla musica mediante la storia di essere umani.

Viene in mente anche il vostro focus sull’adolescenza attraverso la fantascienza a partire da E.T.

E.T. rappresenta un momento di passaggio epocale e Spielberg da sempre è colui che ci fa sognare e ci porta nel futuro. Un film come Super8, realizzato dalla Paramount ma che distribuiamo noi di Universal qui in Italia, è un omaggio al cinema adolescenziale ed è interessante questo continuo tornare indietro di Spielberg per recuperare un filone giovanile, tipicamente anni ottanta, con il rullino Kodak e questo mondo reale che incontra sempre il fantastico.

E non tralasciamo l’effetto suspense inaugurato con Hitchcock.

Infatti Hitchcock lascerà il testimone a Spielberg per quanto riguarda all’effetto suspense. Lo squalo riesce a creare tensione anche nei momenti in cui non accade nulla, con l’aggiunta di un altro elemento reso celebre da Universal: le colonne sonore che significano e diventano personaggio.

A livello di approccio, considerando il cinema come un’arte prettamente novecentesca che si inserisce claudicante nel mondo dell’audiovisivo e della cultura convergente, Universal che strategia adotterà in futuro con la settima arte?

Noi di Universal Italia siamo molto concentrati sull’evoluzione del mondo dell’audiovisivo e studiamo i nuovi trend dell’era digitale. Tra questi stiamo dando molta attenzione al mondo dei giovani e dei videogames, e siamo riusciti, con Transformers, continuando la partnership con Paramount, a recuperare le passioni dei giovani portandole a cinema. Oggi è molto difficile catturare l’attenzione del pubblico, c’è una segmentazione di offerta estesa.

Inoltre abbiamo differenti testualità. A volte il videogioco, soprattutto con le saghe, contiene maggiori informazioni rispetto al film o indirizza sceneggiature ed evoluzioni narrative da portare sullo schermo.

Assolutamente. Ci sono dei film che diventano videogiochi e viceversa; è importante prendere coscienza che oggi, un certo tipo di cinema, fortunatamente è accessibile ad un maggior numero di persone. Con la tecnologia si riesce a coinvolgere i giovani, magari non necessariamente ad Hollywood. Se prendiamo Paranormal Activity, girato con quattro soldi e divenuto un film da gran botteghino e che oggi arriva alla quarta versione, allora dobbiamo avere fiducia nella cultura convergente. Bisogna comunque assumersi dei rischi nel momento in cui si dimostra fiducia nel produrre un’opera prima e spero che la mia azienda continui a farlo.

Ad un livello simbolico, lo studio cinematografico, con i grandi ingressi all’aperto e le macchine delle star che hanno fatto sognare intere generazioni, sta lasciando il posto agli spazi chiusi, in cui è il computer e il digitale a vincere. È così anche alla Universal? (gentilmente a questa domanda risponde il marketing director Laura De Chiara)

Come Universal ci teniamo tanto a salvaguardare quell’aspetto così importante negli anni Cinquanta e Sessanta e cioè il simbolismo tipico dello star system; infatti siamo la casa di produzione con il maggior numero di opere del passato rimasterizzate. Contemporaneamente stiamo attivando forti investimenti nella nuova e rischiosa frontiera del linguaggio cinematografico che è il 3D.

In conclusione e staccandoci un pchino dal tema trattato: ma perché in America il cinema, gli attori accompagnano spesso la politica senza bisogno di vergognarsene o suscitare polemiche come accade viceversa qui in Italia?

Il problema è culturale e, da italiano che lavora in una grande major americana, trovo una forte differenza nell’approccio degli addetti ai lavori con il cinema. In America fare un film significa realizzare degli utili e il tutto viene considerato come una base dell’industria cinematografica mentre in Italia si pensa più all’intrattenimento e dunque si perdono di vista i veri obiettivi indipendentemente dal genere. Spostiamoci dal puro intrattenimento e andiamo più sul culturale e allora riusciremo anche a dialogare con la politica ed esportare nel mondo dei progetti.


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