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Intervista con Ludovic Bource: la piacevole fatica nel musicare The artist!

Pubblicato il 19 dicembre 2012 da Giammario Di Risio


Intervista con Ludovic Bource: la piacevole fatica nel musicare The artist!

Mi ci sono volute tre settimane per sviluppare il primo brano e, alla verifica con i produttori, nessuno era contento. Rischiavamo di far saltare tutto ma poi lentamente il film è sbocciato.

E dovremmo essere d’accordo con Ludovic Bource, premio Oscar per la migliore colonna sonora con The artist, visto che questo titolo è il più premiato in giro per il mondo nell’ultimo anno solare tra Oscar, Golden Globe, BAFTA e via dicendo. Ho cercato con le musiche di omaggiare quei grandi compositori, come Max Steiner o Bernard Herrmann, capaci, con il loro mitteleuropeismo, di dotare l’immaginario hollywoodiano di sensibilità, romanticismo. Questo solo uno dei tanti incroci che ci fanno capire il continuo interfacciarsi del film di Michel Hazanavicius con i grandi maestri della Hollywood classica, con le citazioni a Citizen Kane e con quelle precise atmosfere dei film muti dei primi vent’anni del Novecento.

Bource ha incontrato questo lunedì gli studenti del Centro Sperimentale di Roma per inaugurare il laboratorio di musica del semestre invernale 2012/2013. Il giovane compositore, con all’attivo già sei colonne sonore per film, si è sforzato di far comprendere ai ragazzi che la musica è un affare del subconscio, e quando scrivi dei brani per un film devi immergerti nel patrimonio visivo, culturale, dell’epoca che andrai a raccontare. Per The artist ho studiato con Michel tantissimi film muti, Murnau e i formalisti russi. Si imbroncia leggermente poi quando parla delle fasi di pre - produzione: c’è mancato poco che il film non si facesse per gli elevati costi; poi per fortuna è intervenuto Thomas Langmann, figlio del grande produttore Claude Berri, che ha deciso di rischiare tutto.

Un giovane compositore si, ma con le idee chiare trasferite alla fruizione con toni eleganti, rilassati e mai banali. Emerge lietamente l’attività di un artista che lavora sui dettagli, che fa interagire la propria scrittura musicale con le piccole omeomerie fondamentali per caratterizzare il quadro filmico, come la luce e la resa attoriale. Di seguito un breve confronto in cui emerge l’humus di The artist ma non solo.

Perdoni la provocazione, ma come si chiude con lo strepitoso successo di The artist per ripartire con un nuovo progetto? È un po’ stanco mentalmente dopo un anno di festeggiamenti?

Direi di no: stanco è una parola forte. Sicuramente questi ultimi mesi sono stati ricchi di avvenimenti. Sto viaggiando molto, grazie al film, e conosco persone che mi arricchiscono continuamente. The artist lo voglio difendere, anche in quei posti dove non è stato proiettato come in Giappone o in Cina. Inoltre sono un uomo che può permettersi di gestire la promozione del suo lavoro visto che non appartengo a lobby di alcun genere, non ho nulla da vendere e mi nutro esclusivamente di altri punti di vista sul mondo. Intanto la mole di impegno intorno al film sta calando e aspettiamo di parlare riguardo al prossimo Oscar in arrivo (se la ride).

Il fascino del cinema muto si manifesta anche nella figura del direttore d’orchestra, capace di fornire a quell’epoca una colonna sonora live. Per The artist come ha sincronizzato musica e immagine?

Si partiva da un punto A dell’immagine e la si musicava fino ad un punto B. Di solito procedevamo seguendo la sceneggiatura, quindi per blocchi narrativi. Avevo in mente le mie tracce musicali, e via vie le applicavo a sequenze che andavano dai nove ai quindici minuti. La musica esalta la tensione drammaturgica e ho avuto la libertà di poter fare affidamento sul mio immaginario e spesso, negli incontri a casa di Michel, cercavo di spiarlo, scattare foto a oggetti fermi e in movimento per entrare in sintonia con ciò che lui stava creando. Michel disegna perfettamente e dallo storyboard emergevano atmosfere che ho poi tradotto con la musica; per esempio l’eleganza e il declino messe sullo stesso piano dal personaggio protagonista George Valentìn (Jean Dujardin)

Lei ha dichiarato che per la colonna sonora del film avrebbe voluto fare come Kubrick e la musica classica in 2001, Odissea nello spazio. Ed invece?

Invece Michel non ha voluto. L’approccio di Kubrick in quel film riesce a far interagire i livelli di significazione mediante un principio di causa – effetto, in cui la musica è la causa e l’immagine l’effetto; questa capacità geniale unita a uno sviluppo visivo in cui il quadro non viene mai forzato sono un grande insegnamento che mi ha lasciato in eredità l’arte di questo grande regista. Molto spesso noi giovani compositori amiamo troppo lavorare sul sincrono e perdiamo di vista l’obiettivo finale, ciò che a Kubrick interessava: l’opera nella sua complessità.

Ha predilezioni particolari per alcuni strumenti?

Il mio oggetto prediletto è il pianoforte e cerco continuamente di intrecciarlo a altri strumenti. Il piano mi aiuta a concepire la musica in maniera astratta, come un affare che alberga nel subconscio e che ha bisogno di giocare la sua partita sul piano dei sentimenti, delle emozioni. Tutto si gioca nella mente, con emozioni che si sviluppano per un certo periodo e che poi devi concretizzare con il computer e il tuo orecchio.

Lo studioso Edwin Gordon, teorico della Music Learning Theory, ci dice che dobbiamo stimolare le sinapsi dei neonati con la musica classica, così da grandi essi avranno più sensibilità con i suoni. È d’accordo?

Assolutamente. Mio figlio è stato abituato, sin da piccolo, a ascoltare musica classica, il pianoforte e toccare gli strumenti. Ora, che è un po’ cresciuto, vedo che ama le percussioni, ascoltare Brahms e considerare la musica un terreno in cui sprigionare la sua curiosità. I bambini da piccoli hanno grandi potenzialità: riescono ad imparare una lingua straniera solo ascoltandola e senza comprenderne il reale significato, ma sono lì che ti parlano e tu non capisci come realmente abbiano potuto apprendere in così breve tempo. Loro possono recuperare suoni con una sensibilità sconosciuta all’adulto.

Recentemente Gerard Depardieu ha criticato lo stato francese, reo di affossarlo di tasse, minacciando di stracciare il passaporto e ritirarsi in Belgio. Che ne pensa?

Depardieu non è un esempio per la Francia e i francesi. Come puoi prendere sul serio una persona che un giorno cade dal motorino completamente ubriaca, un altro giorno la vedi nuda in un angolo priva di sensi? Per quanto riguarda il problema delle tasse, credo che siamo uno dei paesi europei dove si riesce ancora a pagare il giusto, e poi i grandi ricchi da sempre decidono di trasferirsi nei paradisi fiscali per abbandonare, di fatto, la propria nazione. Una cosa è parlare della crisi, un’altra cosa è strumentalizzare un messaggio politico per fine egoistici, mediatici. Depardieu vuole farsi pubblicità e se va in Belgio o da qualche altra parte non verrà comunque mai considerato come un punto di riferimento per l’opinione pubblica.


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